Tecniche di Nostradamus

sabato 30 gennaio 2016

Il codice di base

Riepiloghiamo quanto fin qui detto. Nostradamus indica nell’epitaffio la sua falsa data di morte (2 luglio 1566), accompagnandola con l’indicazione della durata della sua vita (62 anni, 6 mesi e 17 giorni). Da un calcolo a ritroso, deduciamo che è nato il 14 dicembre 1503.
Da quanto invece scrive il figlio Cesare, che ha probabilmente ragione, la corretta data di nascita dovrebbe essere il 21 dicembre 1503.
Dunque, Nostradamus sbaglia; e sbaglia di proposito. Infatti, considerato che ogni volta che egli commette un apparente errore siamo in presenza di un ben preciso enigma, e visto che l’epitaffio contiene diversi enigmi, dobbiamo ritenere che anche l’errore sulla data di nascita dedotta dall’errato conteggio abbia uno scopo. Poiché, come stiamo per vedere, il risultato finale dell’indagine è non solo verosimile, ma anche straordinariamente coerente con quanto già sappiamo del codice Nostradamus, possiamo supporre che il ragionamento fin qui fatto è corretto.

In sostanza, è come se Nostradamus ci invitasse a calcolare la data di nascita, ma solo nella sua parte esatta, il mese e l’anno, ignorando la parte errata, cioè il giorno; dunque dicembre 1503 o, meglio, 12-1503.
Il giochetto è vecchio. Ricorderete sicuramente l’enigma delle “profezie” che iniziano il 14.3.1557; il che, applicando la tecnica cabalistica della Gematria, cioè della sostituzione delle lettere ai numeri, significa che esse iniziano con “AD CAE…”, le prime lettere in assoluto delle Centurie (“Ad Caesarem etc.”).
Proviamo, dunque, a tradurre in lettere i numeri 12-1503. La tabella alla quale bisogna fare riferimento è quella dei valori ordinali della Gematria (pag. 69 del mio libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”): 1 = A; 2 = B; 1 = A; 5 = E; 0 = L; 3 = C
Dalla conversione otteniamo le lettere ABAELC. Una facile permutazione delle lettere in base a un’altra tecnica cabalistica (Temurah o anagramma) ci permette di ottenere la parola “Cabale” (la parola francese per “Cabala”). Non solo questa informazione ci conferma l’importanza che viene data alla Cabala nel processo di interpretazione delle Centurie ma, già per arrivarci, abbiamo dovuto fare ricorso a due ben precise tecniche cabalistiche.

Possiamo tranquillamente dedurre che lo scopo della falsa data di morte, incrociata con la durata della vita, è di condurci all’informazione che abbiamo appena scoperto. Un’altra dimostrazione di codice in perfetto stile Nostradamus!

sabato 23 gennaio 2016

Nostradamus e la Cabala

Alterando nell’epitaffio la durata della sua vita, Nostradamus intende creare incertezza intorno alla sua vera data di nascita. Del resto, ormai conosciamo bene il suo stile! Ad ogni apparente errore egli ci propone un enigma. Quanto più grosso è l’errore, tanto più grande ed importante è l’enigma. Quando avremo finito con l’epitaffio, vedremo la diavoleria che ha messo in piedi con quelle mostruose contraddizioni che sono le sue cronologie bibliche: un fritto misto di errori pacchiani, che nascondono un capolavoro di aritmetica, di crittografia, di scoperte scientifiche, di narrazioni personali! Di una genialità insuperabile! Qualsiasi persona in qualche misura amante dei numeri ne sarebbe affascinata, senza riuscire a capire come sia stato possibile armonizzare così tante risultanze numeriche apparentemente incoerenti tra loro, realizzando un’impresa inconcepibile perfino con l’ausilio di un moderno computer.

Per il momento, dovendo investigare la famigerata data dell’epitaffio, facciamo un salto indietro per rinfrescarci la memoria.
Sappiamo che la struttura delle Centurie è ispirata alla versione esoterica della Cabala ebraica: in estrema sintesi, molto estrema, i dieci Sephiroth dell’Albero della Vita trovano un parallelo nelle 10 Centurie; Tiphareth, nel suo doppio ruolo, corrisponde alla Legis Cantio; i 22 sentieri corrispondono alle 22 lettere alfabetiche utilizzate da Nostradamus per la composizione delle frasi in latino; la creazione del mondo secondo il Sepher Yetzirah è riproposta “letteralmente” nelle Centurie.
Sul piano pratico, invece, la Cabala applicabile è quella della Gematriah (interscambio tra numeri e lettere), della Temurah (permutazioni di lettere), del Notarikon (arte degli acrostici).
Ho dato in passato numerose dimostrazioni dell’applicazione di queste tecniche da parte di Nostradamus e non mi ripeto qui. Per qualche sporadico esempio, si può anche visionare il breve filmato in cima a questo blog.

Devo dire che Nostradamus non ha inventato nulla di originale, dal momento che quelle da lui adottate erano tecniche diffusissime ai suoi tempi. Tanto è vero che nel libro “The Codebreakers”, il più grande trattato oggi esistente sulla storia della crittografia, la Bibbia della materia, David Kahn scrive:

Tra le loro tecniche [dei Cabalisti] c’era la Gematria, che assegnava un valore numerico alle lettere della parole ebraiche. …omissis… Meno importante della Gematria erano il Notarikon, che riguardava le lettere delle parole come abbreviazione di intere frasi, e la Temurah, interscambio di lettere in base a varie regole. Queste pratiche funzionavano come materiale di base per la crittografia.[1]

Una cosa posso asserire, sulla base della mia conoscenza del codice Nostradamus: se non si conosce la Cabala, anche conoscendo la crittografia, non c’è modo di interpretare la sua opera. Si illude chi pensa di poter agire diversamente.
In pratica è lo stesso Nostradamus a dirlo, con il giochetto che ha messo in piedi nell’epitaffio, nascosto nella data di nascita, il posto più appropriato per questa indicazione. Infatti, egli ha fatto in modo di specificare che la Cabala sta alla base delle Centurie, così come la data di nascita sta all’origine della vita. Alla prossima!



[1] Quando parlai per la prima volta della Cabala di Nostradamus, non avevo ancora letto il libro di Kahn. Era stato solo sulla base della corretta interpretazione di alcune quartine che avevo scoperto la natura delle tecniche da lui utilizzate.

sabato 16 gennaio 2016

Nascita di Nostradamus

Condizione essenziale per sostenere che l’epitaffio del quale ci stiamo occupando contenga delle indicazioni occulte (nel senso di nascoste, non come espressione di occultismo) è che esso sia stato composto dallo stesso Nostradamus, che ha simulato la data di morte.
Per dimostrarlo, ho cercato di dare un significato a quelli che appaiono palesemente come degli enigmi steganografici, riservandomi di dare una soluzione anche al significato della data della presunta morte.

Ricordo ancora una volta che due edizioni postume delle Centurie contengono alcune particolarità, descritte in dettaglio nei miei libri e succintamente in questo blog, che solo la supervisione diretta di Nostradamus poteva rendere possibili (Migliaio completato da tre Centurie, enigma di Dog e Dohan, cronologia astrologica, minuziosa distinzione tra caratteri in corsivo e caratteri normali, ecc.). La sopravvivenza del nostro amico non è dunque in discussione ed è su questo presupposto che l’epitaffio va studiato: non come dimostrazione di ciò che è già emerso oltre ogni dubbio dall’esame delle Centurie considerate postume ma, al massimo, come ulteriore elemento di prova, utile ma non necessario. Partendo da questo presupposto ci interessa di più, invece, scoprire se esso contiene del codice e se, in particolare, la falsa data di morte racchiude un preciso messaggio.

La tradizione vuole che Nostradamus sia nato il 14 o il 21 dicembre 1503 e sia morto il 2 luglio 1566. Da dove deriva quell’incertezza di sette giorni sulla data di nascita, visto che non esistono risultanze anagrafiche?
Semplicemente dal fatto che la data di nascita viene ricavata indirettamente, con un semplice calcolo a ritroso, partendo dalla data di morte indicata sull’epitaffio che stiamo studiando.
Infatti, lo stesso epitaffio afferma che Nostradamus è vissuto 62 anni, 6 mesi e 17 giorni, permettendo di fissare la data di nascita al 14 dicembre 1503.


E’ vissuto 62 anni, 6 mesi, 17 giorni; è morto a Salon il 2 luglio 1566.

Stranamente, nel libro “L’histoire e chronique de Provence”, il figlio Cesare Nostredame sostiene invece che il padre è vissuto 62 anni, 6 mesi e 10 giorni, con ciò fissando indirettamente la data di nascita al 21 dicembre 1503.

C’è dunque, nel conteggio di durata della vita, una discordanza di 7 giorni, sulla quale potrei pure convenire che si possano fare diverse valide ipotesi, se non fossi prevenuto sull’esistenza di un “trucco”. Infatti, poco convinto dell’involontarietà dell’errore e sapendo che ogni apparente incongruenza in ciò che Nostradamus ci ha lasciato cela immancabilmente un codice crittografico o steganografico, credo possa risultare proficuo cercare lo scopo di questa discordanza. Se riesco a trovarlo, allora avremo la conferma che la data di morte non solo è falsa, cosa che già sappiamo, ma che è stata studiata a tavolino con particolare attenzione, in quanto non esiste codice che si forma per caso, soprattutto quando il messaggio nascosto è coerente col contesto.

sabato 9 gennaio 2016

La morte di Nostradamus

Abbiamo fin qui tentato di dare un significato ad alcune stranezze dell’epitaffio che appare nell’edizione Pierre Rigaud del 1566 delle centurie, la prima delle due edizioni postume (l’altra è del 1568) che presentano dei minuscoli dettagli non attribuibili alla iniziativa del tipografo.

La tesi da me sostenuta è che questi dettagli testimonino la personale supervisione di Nostradamus, evidentemente sopravvissuto alla data ufficialmente nota come quella della sua morte.
Pensiamoci un attimo: sarebbe stato folle ed estremamente stupido permettere che gli elementi di decifrazione di un’opera grandiosa come le Centurie, celati sotto dettagli insignificanti, potessero essere compromessi dalle disattenzioni del tipografo che, per quanto diligente, non poteva essere in grado di rispettare alcune sottili particolarità il cui valore gli era ignoto. Insomma, vi immaginate un uomo come Nostradamus che, dopo aver lavorato per decenni a un’opera minuziosa, affida al caso la stampa di una “a” in corsivo, o di un maiscuolo anziché un minuscolo, o di un carattere di un tipo anziché di un altro?
Non dimentichiamo, tra l’altro, che Nostradamus scriveva con penna d’oca e non aveva modo di evidenziare con chiarezza le centinaia di differenziazioni grafiche di cui aveva bisogno. E’ un aspetto fondamentale, che può sfuggire a noi, abituati all’utilizzo del computer.
Poiché tutte le particolarità delle quali stiamo parlando hanno un senso non più ignoto e considerato che un qualsiasi errore avrebbe potuto compromettere tutto, se ne deduce che non può essere presa minimamente in considerazione qualsiasi ipotesi che escluda la supervisione diretta di Nostradamus.

La conseguente deduzione è che Nostradamus non sia morto il 2 luglio 1566, ma abbia semplicemente preparato la sua scomparsa dalla scena, perché aveva più di un motivo per farlo. Dal libro “L’ultima chiave” sappiamo che era un infiltrato dei Guisa-Lorena a corte, ove il clima si era parecchio surriscaldato quando, dopo la morte del re, Caterina de’ Medici aveva preso in mano la situazione e gli intrighi della “spy story” stavano gradualmente venendo alla luce: Diane de Poitiers avvelenata; Francesco I di Guisa assassinato; Gabriel de Montgomery in fuga; Nostradamus, in grave pericolo, deve sparire. Non gli viene difficile: accreditato come profeta, finge di conoscere con esattezza il giorno della sua morte e redige testamento davanti al notaio quindici giorni prima della data prevista, aggiungendo poi un codicillo solo due giorni prima. Se lui predice che sta per morire, i suoi contemporanei (e anche i creduloni di oggi) non hanno motivo di dubitare. Chissà chi avranno seppellito!

Egli non era nuovo alle sparizioni improvvise, avendolo fatto già molti anni prima, quando si era dileguato nel nulla nonostante avesse già messo su famiglia ad Agen. In quell’occasione era andato a prepararsi al compito che l’attendeva anche se la leggenda, non sapendo come spiegare quella scomparsa, narra che aveva vagato per l’Europa guarendo i malati di peste.

La data di morte dell’epitaffio avalla proprio la tesi di una morte concepita a tavolino in quanto racchiude, con le sue cifre, l’indicazione del metodo principale di interpretazione delle Centurie. Un enigma dunque che, come già visto per altri enigmi, duplica i contenuti dell’epistola a Enrico II, sintetizzandoli e miniaturizzandoli in maniera magistrale.

sabato 2 gennaio 2016

I XIIIJ congiurati


Ricordo ancora una volta i presupposti sui quali ci stiamo muovendo. L’epitaffio sembra essere una sorta di miniaturizzazione dell’epistola a Enrico II, della quale riproduce alcuni enigmi, le cui soluzioni sono indicazioni, destinate al decrittatore, per la ricostruzione della chiave di lettura delle Centurie.

Tra questi enigmi, abbiamo probabilmente individuato la duplicazione di quello che punta al destinatario delle Centurie (M3) e l’indicazione del numero delle nuove quartine (289) che assegnano un ruolo di primo piano all’edizione Du Rosne.
A beneficio di chi si fosse messo in ascolto adesso, ricordo che soltanto quella edizione (unitamente, per certi aspetti, alla Bonhomme) contiene “l’esatta” composizione delle frasi in latino dell’epistola a Cesare, senza le quali la ricostruzione dell’intera chiave verrebbe irrimediabilmente compromessa (per i crittografi: praticamente una chiave di Vernam… in anticipo di alcuni secoli).
Di quest’ultimo aspetto tratta l’enigma dell’ultima parte del brano in latino, quello racchiuso tra le due “I” speciali: “UGI. OPT. V. FELICIT.”.
Come già fatto con le “I” e con le “C” dei precedenti casi, anche adesso dobbiamo evidentemente fare qualche tipo di conteggio. Se proviamo a sommare le “I” otteniamo un 3 (“III”), che non ci dice nulla o, se preferite, ci dice tante di quelle cose da essere praticamente privo di ogni valore. Se ci soffermiamo su tutti i caratteri romani, abbiamo tre “I”, una “V” e una “L”. Ancora nulla.
Tuttavia, se ci pensiamo bene, siamo di fronte a una particolarità: la parola “felicité” manca della “é” finale; e questo “deve” avere uno scopo, non credete? Non può trattarsi di un’abbreviazione, perché non avrebbe senso abbreviare una parola per una sola lettera; il punto finale ha solo ingannevolmente lo scopo di far credere che esso abbia la stessa funzione abbreviativa che assume dopo “opt” e dopo “v”, ma non possiamo tralasciare il fatto che c’è un punto anche dopo “coniugi”, non certo a scopo abbreviativo.
Sembra che Nostradamus dica: ho messo i punti per ingannarti, facendoti contemporaneamente capire che non intendevo affatto abbreviare la parola “felicité”, così come non volevo abbreviare “coniugi”; volevo invece farti capire che la “é” finale sarebbe stata eccessiva. Con questo, volevo indurti a contare le lettere comprese tra le “I”.
Contiamole, dunque: sono 14. E, visto che stiamo parlando di delimitatori costituiti da “I”, ci domandiamo se c’è un nesso con l’altra espressione compresa pure tra le “I”, quella nell’ambito della quale abbiamo rintracciato il “IIII”. Perché, altrimenti, ci sarebbero due brani delimitati dalle “I”?
Le lettere del primo breve brano sono 13. Quelle del secondo sono 14! Ci ricordano qualcosa?
Ma certo! Ci ricordano la quartina I,7 nella quale si parla di “lettere” e di XIII congiurati che diventano XIIIJ, con l’aggiunta di un nuovo elemento un po’ diverso dai precedenti. Vi mostro la quartina, ma non ve la spiego, perché la spiegazione è lunga e  l’ho già data in passato; tra l’altro, ci porterebbe assai lontano dal tema dell’epitaffio. Chi è interessato può andare a questo link