Tecniche di Nostradamus

mercoledì 2 dicembre 2020

La settima coppa

Sto scrivendo dall’Himalaya, dove mi ero impegnato a ritirarmi qualora non avessi scoperto in poco tempo l’intero codice Nostradamus. In effetti, qualche passettino in avanti l’ho fatto, ma nulla di risolutivo. Purtroppo, come già sperimentato in passato, le intuizioni non arrivano a comando. Bisogna attendere che si accenda la lampadina.

Nel frattempo, non sono rimasto con le mani in mano. Ho scritto il mio primo romanzo, che tratta dei segni dell’apocalisse nei tempi attuali: conflitti locali, armi di distruzione di massa, scandali vaticani, carestie, inquinamento, surriscaldamento climatico e perfino Covid-19. Da appassionato crittografo, ho inserito anche un paio di enigmi. Devo aggiungere che le previsioni dei testi sacri vengono rigorosamente rispettate, perfino con il ritorno di Cristo.

Il libro è disponibile su Amazon, eventualmente cliccando sull’immagine alla destra di questo post.

Per darvi un assaggio, trascrivo di seguito uno dei capitoli:

 

A una trentina di metri a sinistra del punto d’intersezione tra corso Trieste e via Nomentana, di fronte a villa Torlonia, a Roma, accanto a una fermata degli autobus, appoggiata a una barriera di protezione del marciapiede, una ragazza di età indecifrabile, forse venticinque o trenta anni, mangiava un panino piangendo nello stesso tempo. Con la manica del pullover, di tanto in tanto, si asciugava il naso.

Era a digiuno dalla sera precedente, ma non stava mangiando per fame. Anzi, non ne provava affatto. Era solo un modo per sfogare la sua angoscia. Ogni morso al panino era un morso di rabbia al mondo.

Portava in testa un berretto di lana grigio, di quelli che molte persone usano per nascondere l’assenza di capelli provocata dalla chemioterapia. Le si leggeva in volto la paura e la disperazione. Chiunque lo avrebbe notato.

Quel venerdì mattina era appena uscita dal vicino ospedale, dove uno dei medici che la tenevano in cura aveva dovuto far ricorso a tutte la sue arti diplomatiche, poche per la verità, per ammorbidire le brutte notizie che era stato costretto a darle: le cure somministrate non avevano prodotto l’effetto sperato; nella migliore delle ipotesi non le restavano che tre mesi di vita. Si godesse quel che le restava, sistemando le proprie cose. Se avesse voluto, l’ospedale le avrebbe fornito supporto psicologico.

Non vide arrivare quel giovane claudicante che, a bruciapelo, le chiese:

 

·                     Sai dirmi l’ora?

 

Che roba! Certa gente possiede la delicatezza di un elefante. Possibile che questo tizio non veda in che stato mi trovo?”. Questo disse tra sé e sé la ragazza.

 

Senza guardarlo e con poca cortesia, diede un’occhiata all’orologio che teneva al polso e rispose:

 

·                     Le dieci e quarantacinque.

 

Poi, d’impulso, alzò lo sguardo e guardò in faccia quel tipo che le sorrideva con dolcezza, privo della prescritta mascherina sanitaria.

 

Dio che sorriso.” pensò, “Il più bello che abbia mai visto”.

 

Osservò meglio. Lineamenti mediorientali, blue jeans e maglione verde. Il cuore le balzò in gola.

 

·                     Chi sei?”, chiese timorosa.

 

·                     Tu lo sai.

 

·                     Sei quello della televisione?

 

L’uomo sorrise nuovamente. “Dio mio, che sorriso”, pensò ancora la ragazza.

 

·                     Ti sembra che io sia un uomo di spettacolo?

 

·                     No, no! Intendevo chiedere se sei quello di cui parlano con insistenza in televisione. Quello che si fa chiamare Yeshua.

 

·                     Sì, sono io.

 

La ragazza non stava più nella pelle. Stava facendo conoscenza con la luce della speranza. Avrebbe voluto gridare e piangere di gioia. Il suo cuore si mise a battere all’impazzata.

 

·                     Puoi fare qualcosa per me?

 

·                     Forse. Ma, più che altro, sei tu che puoi fare qualcosa per me.

 

·                     Non capisco.

 

·                     Non sei tu a dover capire.

 

·                     Va bene, farò qualunque cosa tu mi chieda.

 

·                     Come ti chiami?

 

·                     Stefania.

 

·                     Bene, Stefania, dammi la mano.

 

Non capita tutti i giorni di parlare a tu per tu con Gesù. Impacciata, per non perdere del tempo rischiando di rompere l’incantesimo, la ragazza si pulì velocemente addosso una mano un po’ unta dal grasso del prosciutto contenuto nel panino che stava mangiando e gliela porse.

 

Yeshua la tenne stretta tra le sue per alcuni secondi, durante i quali dette l’impressione di estraniarsi, e poi la rilasciò.

 

·                     Vai a farti vedere da un medico. Chissà, magari qualcuno ti asciugherà quelle lacrime.

 

Sorrise un’ultima volta e si allontanò zoppicando, lasciando Stefania senza parole.

 

Quel giorno, Giuseppe non aveva fatto altro che cambiare canale televisivo come un forsennato. Aveva girato su internet, aveva sfogliato online tutti i giornali che era riuscito a rintracciare. Aveva visitato i siti delle agenzie di stampa. Nulla, nulla, nulla.

A tarda sera era depresso. Aveva creduto che anche quel venerdì Yeshua avrebbe compiuto un miracolo. Avrebbe così ricevuto una conferma alle sue aspettative. E, invece, delusione totale. Yeshua non si era fatto vedere. Si fece prendere dal terrore di aver fantasticato un po’ troppo, sollecitato dai suoi stessi desideri.

 

Padre Jean-Baptiste si era comportato alla stessa maniera di Giuseppe, ma con speranze opposte. Alla fine della giornata era felice. Yeshua non si era fatto vedere.

Era possibile che la questione si fosse chiusa da sola. Lui non sarebbe dovuto intervenire. Si sentiva sollevato.