Tecniche di Nostradamus

sabato 30 marzo 2013

L'uomo delle profezie: Fatima


Tutti abbiamo sentito parlare del segreto di Fatima. Si tratta di un messaggio affidato a tre pastorelli dalla Vergine Maria che a Cova da Iria, vicino Fatima (Portogallo), ha fatto una serie di apparizioni a partire dal 13 maggio 1917.

Agli amanti delle coincidenze ricordo che i colpi di arma da fuoco contro Giovanni Paolo II furono esplosi un 13 maggio (1981) alle ore 17.17. Questa circostanza, come vedremo, colpì profondamente il Pontefice.

Due dei tre pastorelli, Giacinta e Francisco, sono morti giovanissimi. La terza, Lucia de Jesus Rosa dos Santos, si è chiusa in convento ove è rimasta fino alla morte, sopravvenuta il 13 febbraio 2005 (ancora un 13). Nel 1941 la suora, su richiesta del Vescovo Josè Alves Correia de Silva, mise per iscritto una sintesi delle apparizioni. Lucia ha spiegato che la Vergine aveva rivelato un segreto diviso in tre parti: la prima parte riguardava la visione dell’inferno; la seconda prevedeva una guerra peggiore di quella in corso all’epoca delle apparizioni (prima guerra mondiale); la terza, infine, non poteva essere rese pubblica.

Fu solo nel 1944 che Suor Lucia acconsentì a mettere per iscritto il terzo segreto che affidò, in busta chiusa, al Vescovo di Leira perché lo consegnasse a Pio XII con la condizione, su espresso ordine della Madonna, di non divulgarlo prima del 1960. Per qualche motivo tuttora ignoto, tutti i Pontefici in carica dopo il 1960 hanno interpretato in senso restrittivo le indicazioni della Vergine e la busta con il segreto è rimasta custodita in qualche inviolabile cassaforte degli archivi Vaticani.

Dopo aver subito l’attentato, mentre era ancora ricoverato al Policlinico Gemelli, Giovanni Paolo II si fece portare la busta. E’ da presumere che egli avesse già letto il segreto e volesse rileggerlo con maggiore attenzione. Particolarmente colpito dalla ricorrenza di calendario e dall’orario, ha visto un nesso strettissimo tra il contenuto della rivelazione e la sua vicenda personale, al punto da ritenere che sia stata la mano materna di Maria, alla quale era devotissimo, a deviare la pallottola dagli organi vitali, salvandogli la vita.

Talmente convinto di questo intervento sovrannaturale, dopo un anno dall’attentato si recò a Fatima per offrire un rosario alla statua della Madonna. Poi, nel 1984, fece incastonare la pallottola che lo aveva devastato nell’aureola della corona della statua. Infine, nel 2000, fece rivelare il contenuto del terzo segreto di Fatima. Ecco il testo trascritto da Suor Lucia, che la Chiesa ha riferito all’attentato (fonte: www.vatican.va):

« Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio. »

Si è molto discusso in merito a questa “rivelazione”, che solo vagamente e con grande sforzo di fantasia può essere riferita all’attentato subito da Giovanni Paolo II. Si è detto, con scarsa convinzione, che la rappresentazione è simbolica. Tutto questo, però, non ci interessa in questa sede dal momento che, per quanto ci riguarda, ad assumere grande rilevanza è il legame vero o presunto, ma comunque percepito dal Pontefice, che si instaura ancora una volta tra il sovrannaturale e “l’uomo delle profezie”.


venerdì 29 marzo 2013

L'uomo delle profezie e Padre Pio


Ho già scritto che Giovanni Paolo II può essere considerato “l’uomo delle profezie” per la quantità di presagi che ne preannunciano il destino. Lui lo sa benissimo tanto da adottare un motto celato nel suo nome e da riconoscersi, come vedremo, nella profezia dei pastorelli di Fatima.

  
Nel 1962, mentre Karol Wojtyla è a Roma per il Concilio Vaticano II, gli giunge notizia che una sua amica, Wanda Poltawska, è in fin di vita per un cancro alla gola. L’allora vescovo Wojtyla scrive una lettera a Padre Pio, chiedendogli di pregare per Wanda. La lettera viene consegnata al commendatore Angelo Battisti, amministratore della “Casa sollievo della sofferenza” a San Giovanni Rotondo. Il Battisti si reca di corsa da Padre Pio, che gli chiede di leggere la lettera. Ascolta in silenzio e poi dice: “Angiolì, a questo non si può dire di no”.


Alcuni giorni dopo, il Battisti riceve una nuova lettera di Karol Wojtyla indirizzata a Padre Pio che, nuovamente, gli chiede di leggergliela.
Wojtyla lo ringrazia per la sua preghiera, aggiungendo che la donna è improvvisamente guarita.
Padre Pio ascolta la lettura di Battisti e poi aggiunge: «Angiolì, conserva queste lettere. Un giorno diverranno importanti»[1].


[1] Bosco Teresio – Padre Pio, una piccola biografia – Elledici 1995

giovedì 28 marzo 2013

L'uomo delle profezie: "totus tuus"


Tutti sanno che “totus tuus” (tutto tuo) è stato il motto di Giovanni Paolo II che, con queste parole, intendeva esprimere la sua forte devozione mariana.

Nel libro “Varcare la soglia della speranza”[1] egli afferma:

"Totus Tuus. Questa formula non ha soltanto un carattere pietistico, non è una semplice espressione di devozione: è qualcosa di più.  L'orientamento verso una tale devozione si è affermato in me nel periodo in cui, durante la seconda guerra mondiale, lavoravo come operaio in fabbrica.  In un primo tempo mi era sembrato di dovermi allontanare un po' dalla devozione mariana dell'infanzia, in favore del cristocentrismo.  Grazie a san Luigi Grignion de Montfort compresi che la vera devozione alla Madre di Dio è invece proprio cristocentrica, anzi è profondissimamente radicata nel Mistero trinitario di Dio, e nei misteri dell'Incarnazione e della Redenzione".

Secondo quanto scrisse nella lettera apostolica RosariumVirginis Mariae, egli aveva tratto il motto dalla preghiera di consacrazione a Maria dal Trattato della vera devozione alla Santa Vergine di San Luigi Maria Grignion de Montfort.
Non disse, però, che il motto era già celato intimamente nel suo nome sin dalla nascita, quasi come un presagio.
Se tutti sanno, infatti, che “totus tuus” è stato il motto di Giovanni Paolo II, solo pochi sanno che “caly twoj” è la traduzione polacca di “totus tuus”. E “caly twoj” non è altro che un anagramma di “C. Wojtyla”.

“Nomen omen" è la locuzione latina che indica la credenza secondo la quale il nome di una persona contiene un presagio relativo al suo destino.




[1] Giovanni Paolo II e Vittorio Messori: Varcare la soglia della speranza – Mondadori (2004)

mercoledì 27 marzo 2013

L'uomo delle profezie: il Papa slavo


Il Papa slavo
Juliusz Slowacki (poeta polacco) – 1848
(traduzione da http://www.lastrada.it/files/Pensaci_su/022-PSapr05.pdf)

 Nel mezzo delle contese il Signore Dio percuote
Un’enorme campana,
Per un papa slavo ecco
Aperto il trono.
Costui davanti alle spade non sfugge
Come quest’italiano,
Spavaldamente, come Dio, va verso la spada;
Il mondo per Lui – è polvere!
Il suo volto, radioso per la parola,
E’ lampada ai suoi servi,
Dietro di Lui fiorenti vanno le razze
Verso la luce – dov’è Dio.
Alle sue preghiere e al suo comando
Non solo il popolo –
Se comanda, anche il sole s’arresta,
Ché la forza è prodigio.
Egli già si avvicina - datore nuovo
Di forze planetarie.
Rifluisce nelle vene dopo la sua parola
Il sangue delle nostre vene;
Nei cuori ha inizio della luce divina
L’irradiante moto,
Ciò che il pensiero pensa attraverso di lui, lo crea,
Ché la forza – è spirito.
E forza occorre, se questo mondo del Signore
Vogliamo sollevare:
Ecco dunque che viene il papa slavo,
Fratello del popolo; -
Ecco già versa il balsamo del mondo
Nei nostri petti.
Una schiera d’angeli fa pulizia con un fiore
Per il suo trono.

martedì 26 marzo 2013

II,97 - Il trailer


Cominciamo con il solito florilegio delle interpretazioni altrui limitandoci, per il momento, alla sola quartina II,97:

Romano Pontefice guardati dall’avvicinarti
Alla città bagnata da due fiumi[1],
Lì vicino schizzerà il tuo sangue,
Tu e i tuoi quando fiorirà la rosa.

Come si sa, il pomeriggio del 13 maggio 1981, il turco Ali Agca spara due colpi di pistola contro Giovanni Paolo II. Il primo proiettile raggiunge il Papa all’addome, esce dai lombi e cade nella jeep. Il secondo, invece, sfiora il Papa e colpisce due turiste. 



Prima dell’attentato, gli interpreti della quartina erano divisi tra la morte in esilio di Pio VI (1717-1799) e l’assassinio di un futuro Pontefice.
Pio VI muore a Valence-sur-Rhone, 90 km a sud di Lione. Poiché, dicono alcuni tifosi di questa interpretazione, il Papa muore (in realtà la quartina non parla affatto di morte, ma di sangue) “vicino” a una città bagnata da due fiumi, è evidente che la quartina parla di Valence, che si trova vicino alla confluenza del fiume Isère nel Rodano.
“No”, dicono altri. Il Papa non “muore” in una città vicino a due fiumi, ma vicino a una città essa stessa bagnata da due fiumi. Va bene quindi Valence, ma solo in quanto si trova vicino a Lione, città bagnata dal Rodano e dalla Saona. In realtà, la distanza tra le due città è di 90 chilometri; ma, si sa, il concetto di distanza è relativo.
Parallelamente a tanta pignoleria nei confronti dei “due fiumi”, nessuno si preoccupa di capire il resto dei versi e delle parole; nessuno si interessa alla questione del “sangue”, della “rosa” e soprattutto dei “tuoi” del quarto verso.
Guérin, riferendosi all’irrisolto problema della vicinanza ai due fiumi, arriva perfino a scrivere che “la geografia di Nostradamus sembra approssimativa”. Dunque, adesso è Nostradamus ad essere approssimativo! Come dire che, se non sono in grado di trovare la soluzione di un problema, allora è il problema ad essere sbagliato.
E pensare che uno così (gli altri non sono molto diversi) ha la pretesa di spiegarci “Il vero segreto di Nostradamus”[2]!
Suvvia Michel… non fare così…! Non ti arrabbiare! La colpa è anche tua. La prossima volta cerca di essere più chiaro!

La situazione migliora un po’, ma solo un po’, dopo l’attentato del 1981, che permette di riconoscere Giovanni Paolo II nell’uomo della quartina.
Ci “prende” Ramotti[3] che, però, vuole strafare con la lettura del quarto verso, vedendoci anche un riferimento all'elezione del “Partito della rosa in pugno” di Mitterrand.
Si dissocia esplicitamente da una corretta lettura Sampietro[4]; da non confondere con San Pietro, visto che siamo in tema. Il Papa, secondo lui, risiede a Roma, e “non avrebbe senso avvertirlo di non avvicinarsi alla città dove è il suo seggio”, cosa che fa il primo verso della quartina; inoltre, aggiunge, l’attentato riguarda soltanto il Pontefice e nessun altro del seguito.
Del seguito certamente no; ma chi ha detto che deve trattarsi del seguito? Forse le due donne rimaste ferite, Rose Hall e Ann Odre, non fanno parte dell’ambiente che circondava il Pontefice, quel giorno?
Di Ann Odre si sa, per esempio, che era venuta a Roma per partecipare a un’udienza del Papa col quale, successivamente, ha stretto amicizia:


Questa era solo il trailer. Il film deve ancora cominciare.



[1] Più propriamente, il verso dice: “la città che bagna due fiumi”.
[2] Pierre Guérin: Le véritable secret de Nostradamus – Payot (1971)
[3] O.C.Ramotti – Le chiavi di Nostradamus – Mediterranee (1987)
[4] L.Sampietro – Nostradamus: settimo millennio – Piemme (2001)

lunedì 25 marzo 2013

Sangue in Vaticano


Nel post “La scelta”, ho promesso l’analisi di una quartina di struttura e di due quartine profetiche: la prima è la I,48 della quale abbiamo appena finita di occuparci; le altre due sono la II,97 e la V,62:

Come ormai dovrebbe essere chiaro a tutti coloro che hanno finora avuto la pazienza di seguire il mio metodo di esposizione, per capire Nostradamus non è affatto sufficiente leggere qualche verso ed estrapolarne il primo significato che viene in mente. Fatta salva la struttura di codifica, ogni parola e ogni dettaglio sono scelti dal veggente con grande attenzione; nulla è casuale e quasi sempre esiste un retroscena dal quale non si può prescindere.
Questo, in realtà, è il vero problema con il quale è difficile confrontarsi e che tutti ignorano regolarmente: la contestualizzazione (soprattutto per le quartine di struttura) e la documentazione storica (per le quartine profetiche). Non è possibile, ad esempio, spiegare il secondo verso della seconda quartina (“Sol Orient, Saturne Occidental”) se non si estende lo sguardo oltre Nostradamus; stessa cosa per l’aggettivo “Tridental” dell’ultimo verso della medesima quartina e per l’intero quarto verso della prima, “Toy & les tiens quand fleurira la rose”.
Questa è la ragione per la quale, come già avvenuto in altre occasioni, dovrò diluire su diversi post la spiegazione completa delle due quartine.

Entrambe si riferiscono all’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981. Proveremo a vedere in quale maniera straordinaria anche il più piccolo dettaglio concorra a definire quel drammatico avvenimento in una maniera così vivida da poterne paragonare la descrizione a un film in 3D.

Oltre ad essere stato un uomo di grande carisma, chi era Giovanni Paolo II? Quale ruolo ha giocato nella storia della Chiesa Cattolica? La questione è complessa e controversa, e non può essere affrontata senza profonde riflessioni. Forse non verranno mai risolte le contraddizioni che la sua figura ha generato. Una cosa però è certa: non c’è dubbio che quel Papa possa essere considerato “l’uomo delle profezie”. Oltre a Nostradamus, a lui si sono interessati Padre Pio, il “ragno nero”, Malachia, forse i pastorelli di Fatima, la poesia polacca del 1800 e, se è vero che “nomen omen” ha un senso, allora anche la sua stessa identità anagrafica contiene informazioni sul suo destino.

Molte volte, durante la preparazione dello schema di ricostruzione di questo evento, sono stato percorso dai brividi: sia per la storia in sé, che assume un alone speciale che oserei definire “mistico”, e sia per le modalità di rappresentazione da parte di Nostradamus, che tradisce delle emozioni così intense che sembrano vissute da un testimone direttamente coinvolto. Se questo vi sembra esagerato, vi invito ad avere pazienza.

venerdì 22 marzo 2013

Quartina I,48 - seconda spiegazione


Sapendo adesso che Marte, Luna, Sole e Saturno sono le varie edizioni delle Centurie, possiamo concludere lo studio della quartina I,48 con l’esplorazione della spiegazione alternativa.

Passati vent'anni del regno della luna
Settemila anni un altro terrà la sua monarchia:
Quando il sole prenderà i suoi giorni lasciati
Allora si compie e termina la mia profezia.

E’ chiaro che in questi versi Nostradamus vuole sottolineare il ruolo delle due edizioni principali: la Du Rosne del 1557 (regno della Luna, che completa la precedente edizione parziale Bonhomme) e la successiva edizione  P. Rigaud (Sole) del 1566, che possiamo considerare edizione princeps.
I vent’anni del regno della Luna (du Rosne) si riferiscono alla “ventesima quartina” delle Centurie, la I,20. Perché proprio il regno della Luna e non quello precedente di Marte (Bonhomme)?
Semplicemente per una questione di fluidità e di coerenza logica: prima del Sole (del quale si parla al terzo verso) viene la Luna.
Ecco dunque la quartina I,20 alla quale fa riferimento la I,48:



Non mi ci soffermo, avendola trattata nel libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”. Si sappia solo che essa fornisce alcune indicazioni strutturali, tra le quali il numero di 942 quartine che compongono l’opera.

In pratica, al primo verso della I,48, Nostradamus dice: “studia la ventesima quartina e capirai che le quartine sono 942”.

Se nella I,48 si parla di “regno della Luna”, è evidente che siamo in presenza di una monarchia. E, così, nel secondo verso egli aggiunge: “un altro modo di prendere in considerazione la monarchia [delle 942 quartine] è costituito dal numero 7000”.
Come sappiamo, il 7000 è il numero che si ricava dalle iniziali della 942a quartina, che sarà pubblicata solo nel 1566, nove anni dopo la Du Rosne, con l’inclusione delle ultime 3 Centurie. “Un altro terrà la monarchia” (verbo al futuro).

Quando potremo calcolare questo 7000? Lo dice il terzo verso: “Quando, con la pubblicazione del sole (ediz. P. Rigaud), verrà recuperato ciò che prima è stato lasciato fuori” [quando il sole prenderà i suoi giorni lasciati].

(Quarto verso) Allora, cioè alla 942a quartina (o 7000), si conclude l’opera profetica.

Riepilogando quanto detto negli ultimi post:

La prima chiave fornisce l’estensione delle Centurie, dall’epistola a Cesare alla quartina X,100.
La seconda chiave delimita il campo di studio, specificando le edizioni valide.
La terza chiave, della quale abbiamo appena visto un frammento,  spiega la struttura delle quartine delle Centurie, il cui numero esatto è 942, corrispondente al numero 7000 della prima chiave.

Come si vede, esiste uno schema preciso e dettagliato sul quale è stato costruito tutto il lavoro di Nostradamus. Questa è la ragione, anche intuitiva, per la quale non si possono trarre conclusioni interpretative da quartine estratte a caso.

Ma la vera scoperta, in quello che abbiamo appena studiato, è la duplice valenza che Nostradamus assegna spesso ai suoi scritti. Nel caso specifico, con gli stessi elementi, abbiamo percorso sia il sentiero dei cicli astrologici di Roussat (Marte-luna-sole-Saturno)  che quello dell’assegnazione, a ciascuna edizione, di un corpo celeste. Davvero notevole!

Dal prossimo post esamineremo le due quartine profetiche indicate nell’articolo “La scelta”.


mercoledì 20 marzo 2013

Corpi celesti


Passati vent'anni del regno della luna
Settemila anni un altro terrà la sua monarchia:
Quando il sole prenderà i suoi giorni lasciati
Allora si compie e termina la mia profezia.

La seconda spiegazione della quartina I,48 trova il suo fondamento in un brano contenuto nell’epistola indirizzata da Nostradamus al figlio Cesare:

Car encores que la planette de Mars paracheue son siecle, & à la fin de son dernier periode, si le reprendra  il: mais assemblés les vns en Aquarius par plusieurs années, les autres en Cancer par plus longues & continues. Et maintenant que sommes conduicts par la lune, moyennant la totale puissance de Dieu eternel, que auant qu’elle aye paracheué son total circuit, le soleil viendra, & puis Saturne.

Allorché il pianeta Marte completerà la sua era, e alla fine del suo ultimo periodo, se lo riprenderà: ma congiunti gli uni in Acquario per parecchi anni, gli altri in Cancro per più lunghi e continui. E adesso che siamo governati dalla luna, tramite l'onnipotenza di Dio eterno, e prima che essa abbia compiuto il suo circuito totale, verrà il sole e poi Saturno.

La successione è la stessa osservata in occasione della cronologia ciclica di Roussat: Marte – Luna – Sole – Saturno. Qui, però, essa assume una funzione totalmente diversa. Vediamola!

Ho sempre sostenuto che le edizioni delle Centurie supervisionate da Nostradamus sono quattro:

edizione parziale Bohnomme del 1555 con 353 quartine;
edizione parziale A. Du Rosne del 1557 con 642 quartine;
edizione completa P. Rigaud del 1566 con 942 quartine;
edizione completa B. Rigaud del 1568 con 942 quartine; alcune differenze di quest’ultima, rispetto a quella del 1566, assumono rilevanza ai fini della scoperta della chiave di decifrazione (ad es. Dogam/Dohan - v. libro Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal).

Facendo in modo che alla successione editoriale corrisponda la successione astrologica, supponiamo di contrassegnare come Marte l’edizione del 1555, come Luna quella del 1557, come Sole quella del 1566 e come Saturno quella del 1568.
Inaspettatamente, questa ricostruzione appare idonea a verificare ogni dettaglio della formulazione del brano dell’epistola e, a cascata, quella della quartina I,48.

Premetto subito, a scanso di equivoci, che tale formulazione non è esclusiva. Per altri aspetti delle Centurie i corpi astrologici assumono anche funzioni differenti, con la sola eccezione di quelle che ci si aspetterebbe.

Dice Nostradamus che «Car encores que la planette de Mars paracheue son siecle, & à la fin de son dernier periode, si le reprendra  il».
Questo suggerisce che il pianeta di Marte (ed. Bonhomme) completi il suo secolo (secolo = Centuria) solo in un secondo momento.
Appunto, l’edizione Bonhomme del 1555 termina con la quartina 53 della quarta Centuria. Le 47 mancanti, necessarie a completare il centinaio, appariranno successivamente nell’edizione A. Du Rosne del 1557.

Per confermare che a queste due edizioni sta facendo riferimento, Nostradamus aggiunge una frase senza senso: “ma congiunti gli uni in Acquario per parecchi anni, gli altri in Cancro per più lunghi e continui”.

“Acquario e Cancro” hanno le iniziali “A.C.”, come quelle di “Ad Caesarem”, parole con le quali iniziano le Centurie. Perché questo riferimento? L’epistola a Enrico non è ancora presente, in quanto apparirà successivamente nella edizione P. Rigaud. La composizione delle quartine, come abbiamo visto, è differente. Non resta, come riferimento comune a Bonhomme e a Du Rosne, che l’epistola al figlio Cesare la quale, come noto, comincia con le parole “Ad Caesarem”. Similmente, anche le edizioni Bonhomme e Du Rosne costituiscono solo parti iniziali dell’opera completa.
Sotto questo aspetto, le parole A(cquarius) e C(ancer) identificano due gruppi di quartine, il secondo dei quali (642 quartine dell’edizione Du Rosne) è più lungo rispetto al primo (edizione Bonhomme), interrotto alla 353a quartina.
L’edizione Bonhomme (Acquario), che si interrompe alla 353a quartina, viene quindi ampliata nell’edizione Du Rosne (Cancro) che appunto, oltre a essere più lunga, è anche una edizione di “continuazione” della Bonhomme, fino a concludere tutta la prima sezione delle Centurie (epistola a Cesare e prime 7 Centurie).

Congiunti [gruppi di quartine] gli uni in Acquario per parecchi anni, gli altri in Cancro per più lunghi e continui.

Siamo di fronte a una ulteriore dimostrazione del modello basato sull’uso di parole chiave.

Nostradamus prosegue dicendo che «Et maintenant que sommes conduicts par la lune, moyennant la totale puissance de Dieu eternel, que auant qu’elle aye paracheué son total circuit, le soleil viendra, & puis Saturne».

Questo vuol dire che, dopo Mars (Bonhomme), egli passa specificamente all’edizione della Luna (Du Rosne), che termina con la settima Centuria; l'opera è incompleta, in quanto rimangono ancora le ultime tre Centurie da pubblicare. Proprio questo significa che “siamo condotti dalla Luna che, prima che il suo circuito sia completo, verrà seguita dal Sole e poi da Saturno”.

Dopo l’edizione della Luna (Du Rosne), nel 1566 arriva l’edizione P. Rigaud (il Sole), completa delle 10 Centurie,  sul cui frontespizio appare una vignetta con il disegno del Sole.


Infine arriva Saturno, cioè l’edizione di Benoist Rigaud del 1568 con, sul frontespizio, la vignetta di una mano (quella di Saturno) che misura il globo con il compasso.



Il compasso è proprio simbolo di Saturno sotto un duplice aspetto: legame con la melanconia saturnina e strumento di misura del tempo.

Dal libro “Enciclopedia illustrata dei simboli”[1] estraggo il brano che segue:



Un altro aspetto è quello di Cronos, versione greca del dio romano Saturno, che misura il tempo con il compasso.

Da quanto detto, appare evidente che, esattamente come abbiamo visto per le comete,  bisogna fare molta attenzione ai riferimenti astrologici delle Centurie, dai quali molti interpeti pensano di poter trarre indicazioni profetiche e addirittura precise datazioni. Questa nuova dimostrazione si aggiunge a molte altre come, ad esempio, quella della congiunzione Giove e Saturno della quartina I,51 che, qualche mese fa, ci ha impegnati per molto tempo.
Esperti astrologi hanno scritto libri interi per dimostrare che Nostradamus era un astrologo dilettante, per via di alcuni errori e ingenuità, senza capire che egli strumentalizzava il linguaggio astrologico per le sue coperture crittografiche. Sono convinto che il nostro amico, ovunque sia, se la ride alla grande per la loro dabbenaggine. Li aveva avvisati, al terzo verso della "Legis cantio", ma non gli hanno dato ascolto:

Astrologi, stolti ed incolti non vi si accostino


Quella appena esposta è la seconda chiave della Centurie. Se la prima chiave, quella del “settimo millennio”, permette di individuare l’estensione delle Centurie, che vanno dall’epistola a Cesare alla quartina X,100, la seconda chiave fornisce l’indicazione delle edizioni sulle quali l’intero puzzle è distribuito e, quindi, delimita l’ambiente sul quale bisogna concentrare gli studi e le ricerche (Bonhomme, Du Rosne, P. Rigaud e B. Rigaud).

Non ci resta che vedere come questa scoperta fornisca una spiegazione alternativa alla quartina I,48, che introduce la terza chiave.






[1] Cecilia Gatto Trocchi, Enciclopedia illustrata dei simboli, Gremese editore - 2004

martedì 19 marzo 2013

Le profezie del "ragno nero"


Ho sempre proclamato, anche di recente, un grande interesse verso la decifrazione delle profezie. Sottolineo la parola “decifrazione”, in quanto la mia attenzione non è rivolta alla conoscenza del futuro, ma alla “traduzione in chiaro” del messaggio trasmesso dal profeta sotto la copertura di una formulazione oscura. Per me, infatti, esiste un abisso tra “traduzione in chiaro” e “interpretazione” del testo tradotto.

Non è facile tenere separati i due campi d’indagine e, con scarsa coerenza, non sempre riesco a mantenere un adeguato distacco nei confronti di aspetti profetici che, pur non formando oggetto di diretto interesse, solleticano comunque la mia curiosità.

Mi è capitato tra le mani, di recente, un vecchio libro del 1972: “Le profezie del ragno nero”, ed. Armenia.
Il curatore della pubblicazione, Renzo Baschera, riporta delle profezie riconducibili a un misterioso monaco, che siglava le sue profezie col simbolo di un “ragno nero”. Lo stesso Baschera aggiunge un suo commento per ognuna di quelle profezie.

A parte qualche vaghissimo riferimento, non esistono notizie bibliografiche su questo fantomatico “ragno nero”; praticamente nessuna notizia, inoltre, sono riuscito a reperire sulla persona di Baschera.

Tuttavia, sono rimasto molto colpito sia da alcune previsioni estremamente azzeccate che da commenti appropriati del curatore. Di contro, tutte le profezie sono datate per anno di pertinenza e non ce n’è una che sia correttamente collocata. A prescindere dall’errata datazione, anche l’ordine cronologico risulta stravolto rispetto al reale succedersi degli eventi.
Questo mi fa supporre che il misterioso “ragno nero” abbia attinto da fonti che ha compreso a fondo, ma non al punto da farne una ricostruzione organica. Tuttavia, la straordinaria concordanza di alcuni dettagli mi induce a ritenere che la fonte originaria sia costituita dalle Centurie di Nostradamus. Come vedremo nel prossimo futuro, proprio uno di questi dettagli mi ha permesso di capire il significato di una quartina di Nostradamus.

Vista l’attualità, riporto di seguito un brano del “ragno nero” estratto dalla sezione del 1987:



Mi astengo da ogni valutazione a causa degli elementi di incertezza delle fonti alle quali ho fatto cenno.

lunedì 18 marzo 2013

Quartina I,48 - prima spiegazione


C’è un aspetto del quale, finora, non ho mai parlato. Ne ho fatto un fugace accenno nel libro “Il vero codice di Nostradamus”, ma poi ho lasciato cadere la questione che ritenevo, e ritengo tuttora, prematura. Ora però la devo riprendere velocemente, perché ci riguarda da vicino per la dimostrazione in corso.

Non di rado gli enigmi e le quartine di Nostradamus si prestano a una soluzione multipla. A volte le diverse soluzioni convergono, nel senso che l’enigma ammette spiegazioni plurime per descrivere una stessa cosa. Altre volte le soluzioni divergono, nel senso che lo stesso enigma si propone di descrivere due cose diverse.

Ad esempio, il brano relativo al “settimo millennio profondamente calcolato” si presta anche a una soluzione diversa (sempre a carattere non temporale) e addirittura più elegante di quella che abbiamo esaminato. Forse ne parleremo in futuro.

Adesso, invece, dobbiamo affrontare la doppia soluzione dell’enigma della quartina I,48. Vedremo che le due soluzioni conducono a risultati diversi ma complementari. E vedremo anche che le spiegazioni sono talmente obiettive e indiscutibili da non consentire alcun sospetto sulla possibilità che una spiegazione sia corretta e l’altra sbagliata. E’ la genialità di Nostradamus a produrre questi capolavori che non possono che lasciare a bocca aperta per lo stupore. Peccato davvero che la conoscenza dell’opera di quest’uomo sia stata diffusa da ciarlatani incompetenti, che hanno fatto ricadere su di lui le conseguenze delle loro deliranti visioni. Seguitemi e giudicate voi stessi.

Cominciamo riepilogando brevemente la prima spiegazione della quartina, così come l’ho già data in passato.

Passati vent'anni del regno della luna
Settemila anni un altro terrà la sua monarchia:
Quando il sole prenderà i suoi giorni lasciati
Allora si compie e termina la mia profezia.

Nei suoi ingannevoli riferimenti temporali, Nostradamus si ispira alle ciclicità di Roussat, un astrologo del suo tempo che, partendo dal 5200 a.C. (presunta data della creazione del mondo, secondo Eusebio di Cesarea), va avanti per cicli di 354 anni e 4 mesi, associando un pianeta ad ogni ciclo.
Arriva, così, al 1533 d.C., che segna la fine del ciclo di Marte e l’inizio di quello della Luna.
Prosegue con il 1588 d.C., fine del regno della Luna e inizio di quello del Sole.
Va ancora avanti fino al 2242 d.C., con la fine del regno del Sole e l’inizio di quello di Saturno.

Ricordiamoci la successione Marte-Luna-Sole-Saturno, perché ci servirà presto per una tra le più inaspettate decodifiche.

Per il momento, vediamo che il regno del Sole finisce nel 2242 d.C. Come abbiamo verificato più volte in passato, Nostradamus fornisce una sua cronologia biblica, secondo la quale il mondo sarebbe stato creato nel 4758 a.C.
Partendo da quest’ultima data, anziché dal 5200 a.C. di Roussat, dal 4758 a.C al 2242 d.C., fine del regno del Sole, sarebbero trascorsi esattamente 7000 anni.
Di conseguenza, il terzo verso della quartina I,48 (“quando il Sole prende [conclude] i suoi giorni lasciati”) non fa altro che ribadire i 7000 anni del secondo verso (“7000 anni un altro terrà la monarchia”).
Se il regno della Luna inizia nel 1533 d.C., allora il brano “passati vent’anni” del primo verso ci porta al 1553, anno in cui Nostradamus scrive la quartina, che poi pubblica nel 1555 (ed. Bonhomme).
La frase chiave del quarto verso è “si compie e termina la mia profezia”. Se, anziché pensare al risvolto temporale, andiamo semplicemente al “termine delle profezie”, cioè all’ultima quartina (X,10), ritorniamo alla stessa soluzione emersa in occasione dell’analisi del “settimo millennio profondamente calcolato” (LxLxGxL = 7000).

Riepiloghiamo!
Ricordando che, secondo il dizionario di Nostradamus, la parola “monarchia” del secondo verso è uno dei termini usati per designare le Centurie, gli ultimi 3 versi della quartina I,48 significano che le “profezie sono complete e terminano” dopo 7000 (anni),  quando il sole completa il suo ciclo. Fuor di metafora, esse terminano con l’ultima quartina (X,100), dalla quale ricaviamo il numero 7000 per moltiplicazione delle iniziali dei versi.
Come ho già detto in altro post, la quartina I,48 è sostanzialmente una riproposizione in versi del brano in prosa relativo al “settimo millennio”.

La prossima volta esamineremo la spiegazione alternativa, che integra il quadro della distribuzione delle Centurie. Tale soluzione trova il suo fondamento nell’epistola al figlio Cesare, dalla quale estraggo il brano che segue. Sembra ricalcare la successione ciclica di Roussat appena esposta e, invece, ci dà tutto un altro messaggio. Ammesso che possa essere rimasto qualche piccolo dubbio sull’inesistenza di un vero aspetto temporale, la nuova spiegazione lo spazzerà via.

Car encores que la planette de Mars paracheue son siecle, & à la fin de son dernier periode, si le reprendra  il: mais assemblés les vns en Aquarius par plusieurs années, les autres en Cancer par plus longues & continues. Et maintenant que sommes conduicts par la lune, moyennant la totale puissance de Dieu eternel, que auant qu’elle aye paracheué son total circuit, le soleil viendra, & puis Saturne.

Allorché il pianeta Marte completerà la sua era, e alla fine del suo ultimo periodo, se lo riprenderà: ma congiunti gli uni in Acquario per parecchi anni, gli altri in Cancro per più lunghi e continui. E adesso che siamo governati dalla luna, tramite l'onnipotenza di Dio eterno, e prima che essa abbia compiuto il suo circuito totale, verrà il sole e poi Saturno.

sabato 16 marzo 2013

Lignum vitae


Dopo aver esposto la natura romanzesca del motto “caput nigrum”, ecco adesso l’immagine originale tratta dal “Lignum vitae”, libro di Arnoldo Wion del 1595, nel quale la lista di Malachia appare per la prima volta.

La questione vera, quindi, non è se esiste un motto sconosciuto ma, piuttosto, se davvero la lista è realmente una profezia oppure se è una mistificazione. Nel post “Habemus Papam” ho elencato alcune delle ragioni che depongono a sostegno dell’una o dell’altra tesi.
Se la prendiamo per buona, allora Petrus Romanus dovrebbe essere l’attuale Pontefice Francesco. Un Papa, dunque, che pasce le sue pecore tra molte tribolazioni e non il papa “maligno” della quartina X,91 che sta spopolando sul web e sulla cui inapplicabilità mi sono già espresso.

C’è tanta carne al fuoco. Sto cercando di gestirla senza rischiare di perdere di vista il filone principale, che rimane quello del “codice Nostradamus”.


venerdì 15 marzo 2013

Il settimo millennio

Riprendiamo l’analisi della quartina I,48, magari alternandola con altre questioni connesse alle recenti vicende papali.


Passati vent'anni del regno della luna
Settemila anni un altro terrà la sua monarchia:
Quando il sole prenderà i suoi giorni lasciati
Allora si compie e termina la mia profezia.

Ripartiamo dallo spunto del settimo millennio per smontare una volta per tutte questa panzana storica della quale si fanno portavoce tutti gli interpreti. Contrariamente a quanto si crede, infatti, il “settimo millennio” non ha alcuna rilevanza temporale.
Nostradamus non ha mai fornito alcuna data. Quelle che sembrano date sono in realtà dei codici da decifrare come, ad esempio, quello del famigerato anno 1999, spiegato nel libro “Il vero codice di Nostradamus” e quello del "settimo millennio", che spieghiamo adesso.

La quartina I,48 non è che una traduzione in versi di un brano in prosa estrapolato dall’epistola a Enrico II, laddove Nostradamus scrive “che sta per lasciare per iscritto ciò che avverrà…



…cominciando dal tempo presente, che è il 14 marzo 1557 e passando oltre molto lontano fino all’avvenimento che sarà dopo l’inizio del 7° millennio profondamente calcolato.”

Avendola trattata nei miei libri, molti di voi conoscono già la vera soluzione dell’enigma della quartina I,48, ma altri no. Inoltre, nel corso di quest’esame, metteremo in luce alcuni aspetti finora trascurati. Per avere sottomano tutto il “materiale” che ci serve, diamo un’occhiata anche all’ultima quartina delle Centurie, la X,100:

E’ un’altra quartina di struttura ma questo, ai nostri fini di adesso, non ci interessa; così come non ci interessa la traduzione. Piuttosto, poiché dal libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal” sappiamo quanto sia importante l’interscambiabilità tra i numeri e le corrispondenti lettere dell’alfabeto (Gematriah), dobbiamo fare questa sostituzione sia col 14.3.15[57] che con le lettere iniziali dei versi della quartina.

Nel primo caso otteniamo “AD CAE..”; nel secondo ricaviamo 10 (L), 10 (L), 7 (G) e 10 (L).

“AD CAE” sono evidentemente le prime lettere di “Ad Cae(sarem)”, cioè le prime parole delle Centurie che, appunto, iniziano con l’indirizzamento al figlio Cesare. Invece, per quanto riguarda l’ultima quartina, moltiplicando 10 x 10 x 7 x 10 otteniamo 7000.

Perché devo moltiplicare? Proviamo a ricordare il “metodo Nostradamus” fondato sulle parole chiave. Selezionando tali parole abbiamo risolto diversi enigmi, tra i quali i più notevoli sono quello delle “tre Centurie che completano il migliaio” (fonte: Il vero codice di Nostradamus) e quello del “terzo anticristo” (fonte: L’anticristo di Nostradamus).
Non ci resta che applicare lo stesso metodo all’espressione che stiamo esaminando.

Cominciando dal 14.3.1557” significa che dobbiamo cominciare dalle parole “Ad Cae(sarem)”, cioè proprio dall’inizio delle Centurie. Dobbiamo andare “molto lontano” (l’ultima quartina delle Centurie è certamente “molto lontano” dall’inizio) “fino all’evento che sarà dopo l’inizio del settimo millennio profondamente calcolato”.

Le parole chiave di quest’ultima espressione sono: inizio, settimo millennio, profondamente calcolato.
“L’inizio” cioè le iniziali dei versi dell’ultima quartina sono L L G L, la cui posizione nell’alfabeto fornisce i numeri 10-10-7-10
Il “profondo calcolo” è 10 x 10 x 7 x 10 = 7000; è “profondo” nel senso che bisogna ragionarci un po’ su per arrivarci.
Il “settimo millennio” è proprio 7000.

In questa maniera, Nostradamus sta fornendo la prima chiave delle sue Centurie, cioè la loro estensione, dall’inizio alla fine: dall’epistola a Cesare fino alla quartina X,100. I settemila anni del secondo verso della quartina I,48 fanno riferimento proprio a questa estensione, soprattutto se ricordiamo[1] che, nel dizionario di Nostradamus, la parola “monarchia” viene spesso usata per designare la quartine.

Tutto è logico, coerente, cristallino; il criterio, già utilizzato in occasione delle famose “3 Centurie del migliaio” e del “terzo anticristo”, prova l’esistenza di un modello che, presentandosi con ripetitività, è ovviamente intenzionale e, in quanto tale, inoppugnabile.

Qualcuno potrebbe sostenere che il millennio che inizia con l’anno 7000 è già in realtà l’ottavo.
La questione sarebbe annosa,  oziosa e mai risolta, dal momento che c’è chi preferisce iniziare il conteggio dall’anno zero e chi dall’anno 1.
Noi che studiamo il “codice Nostradamus” dobbiamo guardare con gli occhi del veggente, che non si è posto affatto la questione. A lui interessa segnalare il settimo numero di mille, cioè 7000; tant’è vero che lo riprende in chiaro al secondo verso della quartina I,48:

Settemila anni un altro terrà la sua monarchia:

Se “l’inizio del settimo millennio” è “l’inizio dei quattro versi”, cioè le “iniziali dei versi”, allora “l’avvenimento che sarà dopo l’inizio del settimo millennio” è l’ultimo verso, successivo alla sua iniziale.
Questa è una delle tante finezze di Nostradamus. Egli non può dire che le quartine si concludono con 7000, cioè con l’ultima “L”, perché non è così. Infatti, dopo di questa, c’è ancora il resto dell’ultimo verso “..es Lusitains n’en seront pas contens”. Ed è proprio questo l’ultimo “evento” che sta dopo le iniziali che formano 7000, sulla base di un “profondo calcolo”.
Gesti di autentica pignoleria come questo dovrebbero mettere in guardia gli studiosi seri da ogni approssimazione nelle loro conclusioni.

Riepilogando, ecco la prima chiave di Nostradamus, che fissa i limiti “letterari” delle Centurie:

Le Centurie vanno dalle prime lettere (AD CAE…) dell’epistola a Cesare fino alla quartina X,100 le cui iniziali di ogni verso, opportunamente ricalcolate, formano il numero 7000.


Rileggiamo nuovamente l’espressione di Nostradamus alla luce di questa spiegazione. Egli dice che sta per lasciare per iscritto ciò che avverrà…

…cominciando dal tempo presente, che è il 14 marzo 1557 e passando oltre molto lontano fino all’avvenimento che sarà dopo l’inizio del 7° millennio profondamente calcolato…


Alcune riproduzioni delle profezie riportano anche una undicesima e una dodicesima centuria, entrambe composte di poche quartine e sestine. Qualcuno dice che sono originali, qualcun altro ne sostiene la falsità.
A parte il fatto che si vede immediatamente la diversità di stile, la disputa evidentemente non ci interessa, dal momento che noi abbiamo ricostruito la certificazione autentica dell’autore, sulla base della quale l’ultima quartina valida è la X,100, riconducibile al numero 7000. Non esistono, perciò, centurie aggiuntive originali.

Naturalmente, la spiegazione della quartina I,48 è solo stata sfiorata. Per adesso ci siamo limitati a capire cosa significa il numero 7000. Altre sorprese ci aspettano.




[1] Non potendo riprendere tutti i vecchi riferimenti, do per scontato che siano stati letti i miei libri e i precedenti articoli di questo blog.

giovedì 14 marzo 2013

Habemus Papam


Avendo trattato l’argomento di recente, penso di dover fare un breve commento alla luce della elezione di ieri.

Anzitutto devo toccare nuovamente la questione del Papa nero per ribadire quando già scritto nell’articolo “La profezia del Papa nero”. Non esiste quartina di Nostradamus in tal senso e la profezia di “caput nigrum” è un’invenzione romanzesca di S.M. Olaf.

Per completezza di esposizione, segnalo che viene spesso citata la seguente quartina di Nostradamus (X,91):


 L’anno 1609 il clero romano,
A capo d’anno farà elezione
Di un grigio e nero uscito dalla Compagnia (o della Compagnia di Gesù)
Mai si vide uno così malvagio.

Il terzo verso “sembra” effettivamente alludere a un gesuita,  ma la strofa è fatta di quattro versi e siamo ben lontani da una rispondenza predittiva, adeguata alla situazione attuale. Vedere il nuovo Pontefice nelle parole del terzo verso significherebbe accettare una visione distorta del messaggio di Nostradamus: sopravvalutazione delle poche coincidenze e sottovalutazione delle molte dissonanze; in pratica, proprio quel metodo interpretativo che sto combattendo in questo blog.

Quello che posso dire è che questa quartina non riguarda affatto un Pontefice, né Francesco I e né altri. L’anno dell’elezione, da solo, denuncia la presenza di un “codice” di struttura. Può darsi che in futuro sorga l’occasione di parlarne.

Resta aperta, con tutti i suoi interrogativi, la questione del “Petrus Romanus” di Malachia.
Come noto, le cosiddette profezie di Malachia prevedono 111 Pontefici, ciascuno dei quali è caratterizzato da un motto in latino. Quello di Benedetto XVI, il 111°, era “Gloria olivae”.

Petrus Romanus non è un 112° motto, ma un’intera frase in latino, della quale riporto la traduzione:

Durante l'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dei sette colli crollerà ed il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.

Per tornare a Olaf, piuttosto che al suo inesistente “caput nigrum” guarderei alla singolarità conclusiva del suo romanzo, nel quale l’ultimo Papa, Petrus Romanus, è un gesuita. Perciò, se proprio volessimo prestar fede alla leggenda da lui divulgata, allora dovremmo dire che il successore di “Gloria Olivae” (Benedetto XVI) è contemporaneamente “caput nigrum” e “Petrus Romanus”.

Con riferimento al contenuto del messaggio apocalittico riferito a Petrus Romanus, e a semplice titolo di curiosità, devo dire che, sull’istante, mi ha colpito l’espressione di Francesco I quando, alludendo alla sua provenienza dall'Argentina, ha detto di “venire dalla fine del mondo”. Buttata lì o effetto dell’influenza della frase finale di Malachia che lui certamente conosce?

Mettiamola come ci pare, la faccenda di “Petrus Romanus” crea non pochi problemi.
Qualcuno pensa che l’espressione sia apocrifa, perché non segue lo stile dei precedenti motti. Altri ritengono che tra il Papa del 111° motto e Petrus Romanus esista un indefinito arco di tempo ricoperto da un certo numero di Papi, dei quali non è stato fornito il motto identificativo. Qualcun altro ancora ritiene che il nome “Petrus” sia solo un modo generico di designare l’ultimo Papa, che chiude la successione iniziata da Pietro il Galileo.

Una tesi piuttosto accreditata ritiene che addirittura l’intera lista dei Papi sia un falso pubblicato nel 1595 da Arnoldo Wion che, nel suo “Lignum vitae”, attribuisce la fonte originale (inesistente) al vescovo Malachia di Armagh, vissuto nel XII secolo.

Le ragioni a sostegno della tesi della falsità sono essenzialmente tre:
- i motti sono piuttosto precisi per i Pontefici eletti prima del 1595 (data della pubblicazione) e alquanto vaghi, se non addirittura inspiegabili, per i Pontefici successivi;
- nessuno, nei quattro secoli antecedenti il 1595, aveva mai saputo nulla della profezia; lo stesso Bernardo di Chiaravalle, tra le cui braccia si dice sia morto il vescovo Malachia, non ne fa menzione nella sua “Biografia di Malachia”;
- è solitamente abbastanza facile individuare in un Pontefice una caratteristica che, in un modo o nell’altro, possa essere adattata a un motto generico.

A sostegno della tesi opposta, cioè dell’attendibilità della lista, gioca la straordinaria precisione di alcuni motti, anche recenti.

Fedele allo stile dello studioso e del ricercatore che mi sono sempre imposto trattando questi argomenti, non posso che lasciare aperta la questione.

Piuttosto, verrei fare una riflessione sul nome assunto dal nuovo Papa. Pur non sapendo se, scegliendo di farsi chiamare “Francesco”, egli voglia realmente riferirsi al poverello di Assisi, sono portato a pensare che sia così.
Allora, vorrei trascrivere l’ultimo brano del mio articolo sulla Chiesa del Graal  del 16 febbraio scorso:

Si sentirebbe stanco di assistere impotente agli scandali, alle lotte e ai crimini che, nei secoli, hanno travolto le massime istituzioni della Chiesa. Non potrebbe più tollerare i conflitti per il potere che, ancora oggi, dilaniano le carni della Sposa di Cristo. Non potrebbe più consentire gli agi, i lussi e le ricchezze che circondano coloro che, anziché professare umiltà e amore per il prossimo, proclamando la Parola Cristiana, dedicano i loro sforzi agli intrighi di palazzo.

Nello stesso tempo, saprebbe che non può fare di tutta l’erba un fascio; come diremmo oggi, saprebbe di non poter buttare via il bambino con l’acqua sporca. Saprebbe che, sparsi per il mondo, ci sono migliaia e migliaia di umili servi del Signore che danno perfino la vita per gli afflitti; saprebbe che, per duemila anni, questi umili pastori hanno tenuto viva la fiaccola del Cristianesimo.

Perciò, prenderebbe coscienza di dover agire per ripristinare la vera eredità di Cristo. Capirebbe lo scopo finale della sua missione, di subentro a quella petrina. Saprebbe che è giunta l’ora della Chiesa del Graal, a lui affidata. E’ a questo, appunto, che ci prepara la quartina VI,12 di Nostradamus.

La realizzazione di quest’attesa significherebbe, per me, molto più di quanto possa valere lo studio di versi profetici più o meno azzeccati. In questo mio sogno mi conforta l’articolo odierno del Direttore di Repubblica (Rivoluzione a San Pietro), del quale riporto di seguito alcuni stralci in cui l’autore, adottando concetti analoghi ai miei, intravede i primi segni della “Chiesa Giovannea”, che io preferisco chiamare “Chiesa del Graal”.

°°°
Un Papa a sorpresa, venuto dalla fine del mondo quasi a dire basta agli intrighi e ai ricatti italiani della Curia

Un gesto di apertura e di speranza che chiude un’epoca e porta il Papa fuori dai sacri Palazzi, liberandolo dal potere per sperare di rtrovarlo pastore.

Un richiamo quasi giovanneo, tanti anni dopo

E la prova più grande di questa umiltà personale unita all’ambizione del cambiamento viene dalla scelta del nome, che nessun Papa aveva mai osato pronunciare per sé come successore di Pietro: Francesco. Un nome che è un progetto e un vincolo per il pontificato, quasi la denuncia programmatica della necessità di un gesto estremo, un ritorno alle origini, al Vangelo, all’Annuncio, alla missione di una Chiesa disincarnata dal potere e dalle sue pompe.

L’indicazione di un Papa che sa di dover camminare tra i lupi, che è pronto a spogliare il Vaticano dei suoi ricchi mantelli.