Tecniche di Nostradamus

lunedì 31 dicembre 2012

Il libro del Graal: Giuseppe di Arimatea


Il libro di Boron trae la sua maggiore ispirazione dai Vangeli apocrifi; in particolare dal Vangelo di Nicodemo e da quelli conosciuti come “Dichiarazione di Giuseppe di Arimatea” e “La vendetta del Salvatore”.

Nel racconto di Boron, Giuseppe di Arimatea viene considerato un discepolo privilegiato, al quale Gesù confida i più alti misteri. Dopo il dramma della crocifissione, viene imprigionato per aver messo a disposizione il sepolcro di famiglia. In prigione gli appare lo stesso Gesù che, nel consegnargli la coppa con il suo sangue, gli rivela una conoscenza segreta che dovrà essere poi trasmessa ai successivi custodi della reliquia. Giuseppe viene liberato da Vespasiano e, dopo avere a sua volta consegnato il calice al cognato Bron perché lo porti in occidente, muore. Bron adempie al compito assegnatogli recandosi in Europa, nelle valli di Avalon.
Giuseppe viene dunque visto come il “discepolo beneamato” sul quale ci siamo già interrogati, depositario dell’ultimo segreto, fondatore della comunità più vicina alla vera essenza della Chiesa, primo Cavaliere di un sacro lignaggio al quale è affidata la custodia del sangue di Cristo, nell’attesa del compimento della salvezza sulla terra.

Chi ha letto il mio libro sa che Nostradamus si dichiara a conoscenza delle istruzioni segrete date a Giuseppe e delle finalità ultime della custodia del sangue.

domenica 30 dicembre 2012

La vera leggenda del Santo Graal


Il Santo Graal! Si è detto di tutto: da un piatto o vassoio al calice dell’ultima cena; da una pietra sacra al ventre di Maria Maddalena; dalla lancia di Longino alla pietra fisolofale.

Nostradamus ci dà la sua versione che, alla luce delle conoscenze di oggi, non appare neanche troppo fantasiosa. La sua spiegazione è completa e giustifica perfino le motivazioni per le quali quest’oggetto misterioso non ha potuto ancora trovare utilizzo.

Qualcosa deve aver intuito Umberto Eco che, nel libro “Il pendolo di Foucault”, mette in bocca al colonnello Ardenti l’idea che “…il tesoro o quel che sia dev’essere ancora definitivamente localizzato, o bisogna sfruttarlo lentamente”.
Anche A. Gautier-Walter, nel libro “La Chevalerie et les aspects secrets de l’histoire”, sostiene che i Templari stimarono intorno all’anno 2000 l’epoca in cui il segreto avrebbe potuto essere utilizzato.

In questo blog, partendo dal segreto della vita, siamo arrivati al segreto del sangue di Cristo. I passaggi dettagliati per arrivare a questa conclusione vengono approfonditi nel mio libro “la Cabala, i Templari, il Graal”, che espone il punto di vista di Nostradamus sulla natura e sulle finalità del segreto. Non ripeterò, pertanto, quelle spiegazioni, ma mi limiterò a completare la presentazione dei temi che fanno da supporto al libro.

Nostradamus segue le tracce di Robert de Boron, scrittore vissuto a cavallo del XII e XIII secolo,  che compose tre romanzi in versi, successivamente riunificati e trasformati in prosa sotto il nome di “Il libro del Graal”, diviso in tre parti:

Giuseppe di Arimatea
Merlino
Perceval

Il nucleo di tutto il romanzo è la custodia del prezioso sangue di Cristo, che Perceval deve ritrovare.
Forse non c’entra nulla col Graal, ma è interessante il discorso preconciliare del 2 giugno 1962, nel quale Giovanni XXIII esalta il valore della devozione al preziosissimo sangue di Gesù; un vero e proprio “inno” al sangue.

Quella di Boron è la leggenda originale cristiana del Graal, alla quale si sono attaccate le opere letterarie e musicali successive.
Prima di lui l’argomento era stato trattato da Chrétien de Troyes, in un poema in versi rimasto incompiuto. Per Chrétien de Troyes, però, il Graal era solo un vassoio senza alcun riferimento a Cristo.
Perciò, Boron è senza dubbio il primo a dare un significato teologico al mito e una visione esoterica al Graal. Il suo libro, apparentemente fantasioso e favolistico, può essere assimilato a una specie di Vangelo segreto, accessibile solo a pochissimi iniziati.

Può essere interessante sottolineare che Boron visse nell’epoca delle crociate e lui stesso è stato al servizio di Gautier de Montbéliard, che prese parte alla quarta crociata. La sua storia, quindi, è perfettamente compatibile con la tradizionale scoperta del Graal da parte dei Cavalieri Templari.

Vediamo, sinteticamente, cosa ci racconta Robert de Boron.

sabato 29 dicembre 2012

Alla ricerca della verità: i Vangeli apocrifi


Passiamo ai Vangeli apocrifi: in breve, si tratta di Vangeli che la Chiesa esclude dal canone riconosciuto. I motivi? Si discostano sensibilmente dai racconti dei canonici (dai sinottici, in particolare) e, a volte, sono inconciliabili con la dottrina cristiana accettata e praticata. In altri termini, la Chiesa ha fatto le sue scelte e, sulla base di queste scelte, ha deciso quali scritture accogliere; tutto il resto è da respingere. E’ una pura e semplice questione di principio e di dogmatismo: non faccio le scelte sulla base delle testimonianze documentali, ma accolgo solo le testimonianze documentali che confermano le scelte. A ben vedere, sono proprio quelle stesse scelte che stanno alla radice dei conflitti tra le varie confessioni cristiane.

Se cerchiamo il significato di “apocrifo” (parola di origine greca equivalente a “occulto” o “segreto”), notiamo un certo imbarazzo perfino nei dizionari che, nel prendere atto di un consolidato uso improprio da parte della Chiesa, si dimenano tra i termini “falso”, “non autentico”, “attribuito falsamente a un autore anziché a un altro”.
E’ chiaro come il sole che, se il termine “apocrifo” viene usato nel senso di testo falso o di falsa paternità, c’è una mistificazione di fondo.

Anzitutto i Vangeli non sono falsi. Perché una cosa sia falsa, è necessario che ce ne sia una autentica e che questa venga riprodotta e spacciata per originale: una moneta falsa, un quadro falso, una finta borsa griffata.
Nel caso dei Vangeli, non esistono originali, ma solo copie. Quand’anche esistesse un originale, le copie non sono falsificazioni, ma solo riproduzioni, esemplari di uno stesso documento, esattamente come la tiratura di un libro. E questo vale sicuramente sia per i Vangeli canonici che per quelli apocrifi.

Se poi ci riferiamo alla falsa paternità dei testi, allora dovrebbero essere apocrifi anzitutto i tre Vangeli sinottici, dei quali nessuno crede più che siano stati stilati dagli autori di cui portano il nome.
Anche il Vangelo di Giovanni, come abbiamo visto, non può essere attribuito all’apostolo Giovanni.
Sul fronte opposto, ci sono Vangeli, considerati apocrifi, di rara bellezza e spiritualità, che hanno il solo torto, peraltro non sempre, di mettere in discussione alcuni aspetti della dottrina tradizionale.

Non resta che pensare che il termine “apocrifo” venga usato arbitrariamente e impropriamente dalla Chiesa solo per indicare i testi non canonici, contando maliziosamente sul fatto che la parola evoca l’idea di “falsità del testo” o di “falsa paternità dell’autore”.

Comunque la si metta, siamo di fronte a un artificio terminologico di stampo negativo, messo in piedi con l’evidente intenzione di tenere i Vangeli non canonici lontani da un’adeguata considerazione; e questo, ripeto, non per obiettivi (peraltro impossibili) disconoscimenti di autenticità, ma solo per questioni di scelte vetero-dogmatiche.

Nella realtà, quasi tutti i Vangeli concorrono a comporre un quadro di ciò che è successo 2000 anni fa o tramandano aspetti interpretativi del pensiero di Cristo, ciascuno portando il proprio contributo. L’accettazione di un confronto di più testi metterebbe in rilievo incongruenze e contraddizioni, permettendo di individuare meglio le parti meno attendibili. Invece, la scelta di soli quattro di essi, tre dei quali di derivazione da un’unica fonte, è sicuramente una scelta riduttiva che non rende onore alla ricerca della verità. E’ più che ovvio che una selezione andasse fatta; però, forse, si è esagerato nel selezionare troppo.

All’inizio di questo excursus ci siamo posti tre domande: E’ lecito prendere in considerazione i Vangeli apocrifi insieme a quelli canonici? E’ utile farlo? Si possono mettere i due tipi sullo stesso piano?

Dal punto di vista dell’obbedienza al dogmatismo della Chiesa Cattolica, la risposta è “no”. Da un punto di vista cristiano, siamo posti al cospetto della nostra coscienza religiosa. Dal punto di vista del ricercatore, la risposta è un “sì” senza tentennamenti, purché si faccia attenzione a isolare gli episodi palesemente inventati dagli autori; non è facile ma, per uno studioso, non è del tutto impossibile.
Nel parlare del centurione romano che colpì Gesù con la lancia e nel parlare di Giuseppe di Arimatea, mi rifarò a tutte le fonti disponibili, passate al filtro della mia personale capacità critica.

venerdì 28 dicembre 2012

Alla ricerca della verità: il Vangelo di Giovanni


Il Vangelo di Giovanni presenta due grossi problemi.
Il primo è costituito da una sensibile tendenza allo gnosticismo, tanto che i padri della Chiesa sono stati a lungo incerti, prima di inserirlo tra i Vangeli canonici. Sinteticamente, lo gnosticismo è una corrente che pone l’accento sull’aspetto salvifico della conoscenza e degli insegnamenti segreti di Cristo, piuttosto che sul suo sacrificio personale.
Il secondo è che l’apostolo Giovanni non ne è affatto l’autore. Anche gli altri Vangeli, abbiamo visto, non sono stati scritti dagli autori ai quali sono attribuiti, ma per Giovanni è diverso. Gli altri sono dei cronisti, Giovanni è un interprete della dottrina. Degli altri, bene o male, si è sempre sospettato che non fossero apostoli o direttamente legati agli apostoli; per il quarto evangelista, ancora oggi, si tende ad insistere sulla sua identificazione con Giovanni, perché una sconfessione avrebbe riflessi dottrinali. Gli altri evangelisti hanno riportato narrazioni altrui; il quarto evangelista, pur non essendo Giovanni, è comunque un testimone oculare.

In ogni caso, a meno che non si voglia mettere la testa sotto la sabbia, non si può fare a meno di riconoscere che questo evangelista vuole restare anonimo (i motivi formano oggetto di una mia ricerca separata in corso). Quando parla di sé, si definisce sempre come “l’altro discepolo” o “il discepolo che Gesù amava”.
Se il vostro pensiero corre a Maria Maddalena, sulla base di recenti sviluppi letterari, siete fuori strada. Maria Maddalena ha realmente una sua storia particolare, ma è estranea alla nostra indagine sul Vangelo di Giovanni.

Le ragioni per le quali si può escludere che “il discepolo beneamato” fosse Giovanni sono numerose e convincenti. Ne cito solo due.

La prima è tratta da un brano del Vangelo, subito dopo il racconto di Gesù che viene condotto, legato, davanti al Sommo Sacerdote:

Seguivano Gesù, Simon Pietro e un altro discepolo. E questo discepolo, essendo noto al Sommo sacerdote, entrò con Gesù nell’atrio del Sommo Sacerdote; Pietro invece restò fuori, alla porta. L’altro discepolo, noto al Sommo Sacerdote, uscì, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. (Giov. 18, 13-16).

Chiudiamo gli occhi e proviamo a immaginare la scena. Giovanni, giovane pescatore, entra nella casa del Sommo Sacerdote, fino alla sua presenza, e nessuno lo ferma.
Come fa ad essere noto al Sommo Sacerdote? Come fa ad avvicinarglisi? Qualcuno sostiene che gli forniva del pesce. E’ una semplice illazione, non giustificata da alcun passo del Vangelo, prospettata solo per dare una risposta alle precedenti domande.
Ma ammettiamo pure che fosse il fornitore di pesce! Resta ugualmente inverosimile che un garzone del pescivendolo (il pescatore era il padre, Zebedeo) possa avere libero accesso in una casa aristocratica, addirittura nel corso di un processo talmente importante da scomodare, a partire da quel momento, i vertici della società ebraica e romana: Anna, Caifa, Erode, Pilato. A che titolo poteva essere presente? Si era all’interno della casa di Caifa e non in uno stadio aperto al pubblico. Fareste entrare liberamente a casa vostra il negoziante dell’angolo sotto casa solo perché, ogni tanto, vi porta la spesa?

Ad appesantire la situazione di tensione, bisogna ricordare che le guardie erano in stato di massima allerta per il timore che scoppiassero dei tumulti, perché si sospettava che Gesù fosse coinvolto, magari a sua insaputa, in un gruppo di cospiratori politici armati. Quella stessa notte, Pietro aveva estratto la spada colpendo un servo del Sommo Sacerdote (Giov. 18, 10); perché mai un innocuo pescatore, seguace di Cristo, si sarebbe dovuto recare armato a pregare sul Monte degli ulivi? Visto che la portava con sé e che l’ha usata, non è logico supporre che fosse addestrato all’uso della spada? Un po’ strano per un pescatore! Chi lo ha addestrato? E perché?
Suggerivo di immaginare la scena… ebbene, sicuramente non era delle più tranquille.

Eppure il discepolo misterioso non solo ha libero accesso, ma ha anche il potere di imporre alla portinaia di fare entrare Pietro.
Quest’ultima azione ci fornisce altri due indizi rivelatori:

1 – la conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che l’accesso non era libero;
2 – non è la portinaia a fare entrare Pietro, come dovrebbe essere se il discepolo sconosciuto “mettesse una buona parola”; ma è lui direttamente che lo fa entrare, perché ha l’autorevolezza per farlo: il Vangelo dice che “parlò alla portinaia e fece entrare Pietro” e non che “parlò alla portinaia, la quale fece entrare Pietro”. Non è possibile che si stia parlando del garzone del pescivendolo, piuttosto che di una persona ben introdotta nell’ambiente di Caifa, in una posizione di familiarità che gli consente di accogliere gente.

Non prendiamo alla leggera la forma adottata dall’evangelista; al contrario dei sinottici, qui non siamo in presenza di parole riportate da terzi, suscettibili di distorsioni, ma veniamo posti di fronte a una scelta “vero-falso”, di accettazione o di rifiuto dei dettagli descrittivi, perché è lo stesso discepolo misterioso che racconta di sé. E costui non è un ignorante, ma una mente sopraffina che affronta i temi più sublimi della spiritualità cristiana: “In principio era il verbo… etc.”; un uomo colto che sa cosa scrive, che misura le parole; un uomo all’altezza dei vertici della società. A voler essere generosi nonostante tutto, non è credibile che si tratti del garzone del pescivendolo neanche se si volesse accettare la tesi che sia stata la portinaia ad accogliere la sua richiesta di far entrare Pietro.

Un altro dei tanti episodi che sconfessano Giovanni, quale autore del quarto Vangelo, è quello della trasfigurazione di Gesù.
I Vangeli sinottici ci raccontano che la trasfigurazione avvenne in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni; l’episodio non viene menzionato nel quarto Vangelo.
Vi sembra possibile che Giovanni, testimone della trasfigurazione, ometterebbe di narrare un evento così straordinario, se il quarto Vangelo fosse scritto da lui?

Mi fermo qui, solo perché siamo già abbondantemente fuori tema, ma potrei proseguire con decine di analoghe osservazioni.
A me interessava solo mettere in rilievo l’errore di chi accetta acriticamente gli insegnamenti tradizionali sui quattro Vangeli canonici (i tre sinottici e il Vangelo di Giovanni).

giovedì 27 dicembre 2012

Alla ricerca della verità: i Vangeli sinottici


Tutti abbiamo probabilmente sentito parlare di Vangeli canonici e Vangeli apocrifi. Se facessi un sondaggio sul significato di questa differenza, sono sicuro che, a parere della maggioranza, i primi verrebbero etichettati come originali e i secondi come falsi. Niente di più sbagliato!

Anzitutto non esistono Vangeli originali. Esistono solo trascrizioni di trascrizioni, senza che sia possibile sapere quando sono state scritte le prime copie. Non si conosce neanche il nome degli autori. Per i Vangeli canonici si citano, solitamente, i quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni, spacciando Matteo e Giovanni per gli apostoli con lo stesso nome.

I primi tre non furono neanche testimoni oculari degli eventi. Soprassediamo alle ragioni che portano a queste conclusioni; basta dire che i loro Vangeli vengono chiamati “sinottici” perché, se si mettono a confronto i vari brani, vi si trovano notevoli somiglianze.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo parallelismo non depone a favore dell’autenticità delle narrazioni; al contrario, si pensa che i tre si siano ispirati separatamente a una fonte comune, che viene chiamata “fonte Q”. Perciò, non siamo in presenza di tre testimonianze che si confermano a vicenda, come si tende a farci credere, ma siamo in presenza di tre persone che non sono state testimoni oculari e che riportano dei fatti scritti da altri. Se portassimo in tribunale le loro testimonianze, queste verrebbero rigettate senza esitazioni.
Più attendibile è il Vangelo di Giovanni che, per la ricchezza dei dettagli, la profonda conoscenza di luoghi e costumi dell’epoca di Cristo e per il coinvolgimento emotivo che trasmette, sembra essere stato scritto da un testimone oculare degli eventi.

mercoledì 26 dicembre 2012

Riflessioni


Poiché la leggenda del Santo Graal si intreccia con questioni religiose cristiane, già difficili e delicate in sé, bisogna quantomeno fare un po’ di luce sulle fonti alle quali attingeremo. Mi capita, a volte, di assistere a qualcuno dei tanti quiz televisivi: resto regolarmente stupefatto di fronte al silenzio dei concorrenti, alle prese con domande basilari della religione che, in altri tempi, sarebbero state alla portata dei bambini delle elementari.
Il laicismo sociale sta facendo i suoi effetti, distruggendo le nostre stesse radici. Non sto mettendo in discussione la fede, che è personale, ma la cultura di un popolo, che è collettiva.
Da cristiano, essendo di parte, sono addolorato per questo. Tuttavia, sono convinto che la stessa Chiesa stia facendo la sua parte, arroccandosi su posizioni che oggi non sono più comprensibili. D’altronde, capisco pure che, se cominciasse a mettere in discussione dei principi consolidati, rischierebbe di minare le basi stesse del cristianesimo. La decisione è difficile, ma una seria riflessione, a mio parere, sarebbe necessaria. Le questioni, già affrontate, dei 72 discepoli e della genealogia di Matteo sono due esempi eclatanti, che danno ragione alla mia posizione revisionista. Ma ce ne sono soprattutto tante altre, meno sofisticate, che andrebbero chiarite.
Questa premessa, di carattere personale, serve a me, in qualche maniera, per alleviare i sensi di colpa che affronto nel trattare argomenti sacri in maniera trasgressiva. Tuttavia, sono gli stessi Vangeli che invitano alla ricerca piuttosto che all’asservimento; Gesù, sotto questo aspetto, è diventato un “rivoluzionario” dopo aver ritrovato se stesso durante la permanenza nel deserto.

Gesù disse ai Giudei che avevano creduto in lui: “Se persevererete nei miei insegnamenti, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giov. 8, 31-32).

Colui che possiede la conoscenza della verità è un uomo libero (Fil. 110).

Gesù disse: Colui che cerca, non cessi dal cercare finché non trova; e quando troverà sarà commosso, e quando sarà stato commosso contemplerà e regnerà sul tutto (Tomm. 2).

Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova; a chi bussa verrà aperto (Mt. 7, 7-8 e Lc. 11, 9-10).

Ci si potrebbe domandare: che c’entra tutto questo con Nostradamus?
C’entra, eccome! Se devo parlare del Graal, il “vero” Graal secondo Nostradamus, allora devo affrontare i racconti dei Vangeli, del centurione romano e di Giuseppe di Arimatea, sotto un’ottica diversa da quella che ci è sempre stata prospettata.
Se dovessi farlo come si deve, dovrei letteralmente stravolgere le abituali credenze, mettendo perfino mano  a una radicale e rivoluzionaria rilettura del Vangelo di Giovanni, che gli stessi Padri della Chiesa hanno esitato a inserire tra i Vangeli canonici. Mi limiterò invece all’essenziale, cercando di non turbare le coscienze altrui. Intanto, come qualcuno avrà notato, ho già citato dei riferimenti ai Vangeli canonici (Giovanni, Matteo e Luca) assieme a dei riferimenti ai Vangeli apocrifi (Filippo e Tommaso).

E’ lecito e utile un atteggiamento del genere? Si possono mettere i due tipi sullo stesso piano? Cercheremo insieme la risposta.

lunedì 24 dicembre 2012

Il Santo Graal: il segreto della vita


Un grande segreto, che attraversa i secoli, è alla base di molte associazioni più o meno occulte e più o meno esoteriche. Nostradamus (v. libro “Cabala, Templari, Graal”) lo identifica con gli elementi costitutivi della vita (DNA, sangue, soffio vitale): oggi useremmo termini come clonazione, ingegneria genetica, inseminazione artificiale; forse, senza voler cadere nella trappola della facile fantascienza, parleremmo perfino di robotica biologica (non dimentichiamo che il DNA è un software sotto ogni profilo).

Insomma, si può discutere sulla esatta natura del segreto, ma la sua essenza è chiara: abbiamo riscontrato nella genealogia di Matteo degli indizi che ci hanno permesso di ricostruirne l’origine, esattamente negli stessi termini in cui essa viene ripresa da Nostradamus.

Nel tempo, il segreto viene sublimato fino a permettere, in Cristo, l’accesso alla “vita eterna per chi beve il suo sangue”. Tuttavia, qualcosa dell’originaria tradizione rimane e Nostradamus ci racconta (non sto qui a trascrivere i dettagli già trattati nel libro) che questo “qualcosa” si concretizza nella leggenda del Graal.
Si tratta veramente di una leggenda? Forse sì e forse no.
Il nome di questo blog è “Codice Nostradamus”: se il veggente ci ha raccontato una favola, allora io sto interpretando una favola; se ci ha raccontato qualcosa di reale, allora io sto interpretando qualcosa di reale. Però è un fatto che, ai piedi della Croce, fanno irruzione due protagonisti della “leggenda”, che vengono beatificati dalla Chiesa (quasi per dovere di coscienza) e contemporaneamente fatti passare sotto silenzio:

-         il soldato che colpisce Gesù al costato con la lancia;
-         Giuseppe di Arimatea, notabile di Gerusalemme e discepolo di Gesù in incognito, che abbandona ogni riserbo ed esce coraggiosamente allo scoperto proprio quando i discepoli più vicini se la danno a gambe: anche a quei tempi “i veri amici si vedevano nel momento del bisogno”.

Per fare un ritratto, sia pure sommario, di questi due personaggi, che ci condurranno al nostro obiettivo finale, devo ricorrere sia ai Vangeli canonici che a quelli apocrifi.

Tuttavia, poiché questi argomenti sono come le ciliegie, nel senso che una tira l’altra, devo prima fare una brevissima riflessione sui due gruppi di Vangeli.

sabato 22 dicembre 2012

Da Abramo a Gesù

Giunti a questo punto, possiamo tornare a Matteo e alla sua genealogia.
La tesi del “segreto della vita” spiega il legame che, attraverso il 45 (numero cabalistico di Adamo), l’evangelista ha voluto creare tra Abramo e Adamo, cioè tra Abramo e la creazione della vita umana.
Matteo, in altri termini, ha trovato una scappatoia “logica” che gli permettesse di riferirsi a questo segreto attraverso un albero genealogico che iniziasse da Abramo (capostipite della rivelazione divina) e terminasse con Gesù (ultimo depositario).
Fissata l’origine e la natura del segreto, la falsa genealogia, perché tale è, ha dunque la funzione simbolica di rappresentare la trasmissione del segreto da Abramo fino a Gesù: una finta e “pasticciata” genealogia di sangue per nascondere una genealogia esoterica.

Se la genealogia di sangue è solo simbolica, chi sono allora i custodi che hanno formato veramente gli anelli della catena?
Impossibile conoscerli singolarmente; tra di essi sono probabilmente da annoverare i vari profeti biblici, testimoni di  teofanie e protagonisti di viaggi in “carri di fuoco”: in testa Ezechiele, Elia, Mosè. Interessante rilevare che molte organizzazioni esoteriche (per alcuni anche la Massoneria) proclamano la loro origine da un “segreto perduto” che fa capo a Mosè (per tradizione egizia) o addirittura ad Adamo.

E Gesù da chi lo avrebbe appreso?
Matteo racconta che, dopo la sua nascita, la Sacra Famiglia fuggì in Egitto per sottrarre il bambino alla furia dei soldati di Erode. Probabilmente è solo un’invenzione narrativa, che trae spunto dalla profezia di Osea “richiamai mio figlio dall’Egitto” (Os. 11, 1). Tuttavia, se veramente Gesù fosse cresciuto in Egitto, si potrebbe pensare che fu iniziato alle conoscenze esoteriche dalla stessa tradizione che, secoli prima, aveva istruito Mosè.
Più probabilmente Gesù ricevette questa conoscenza dagli Esseni, anche se non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che sia stato uno di loro, pur riconoscendo che fosse fortemente imbevuto della loro cultura. Questa tesi è particolarmente interessante in quanto, prima di diventare discepolo di Gesù, esseno è stato quasi certamente (in incognito) Giuseppe di Arimatea, la cui figura è sempre rimasta “ufficialmente” circoscritta all’episodio della tomba di famiglia messa a disposizione del corpo del Maestro crocifisso. Lo sfondo ideologico comune spiegherebbe come mai, a un certo punto, Giuseppe venga fatto partecipe del “segreto”, tanto che, secondo la leggenda, egli si preoccupa di raccogliere gocce del sangue di Gesù, dando origine al mito del Graal. Ma non corriamo troppo e procediamo per gradi.

Gesù è l’ultimo anello della catena di Matteo. La tradizione della vita che risiede nel sangue si è misticamente trasformata diventando la vita eterna donata a chi beve il suo sangue.
Del resto, a prescindere da Gesù, come si può pensare che uomini vissuti alcuni millenni fa abbiano potuto trasmettere una conoscenza “tecnologicamente e biologicamente” avanzata, senza farne una questione di carattere divino? Però qualcosa della tradizione originaria deve essere rimasta se, come vedremo, Gesù incarica Giuseppe di Arimatea di raccogliere il suo sangue.
Ancora una volta, e a costo di diventare noioso, rivolgo pressante invito a non scandalizzarsi di fronte a queste affermazioni, ricordando che sto solo cercando di allacciarmi alla lettura di Nostradamus e alla “sua” visione delle cose. Chi ha letto il libro “Cabala, Templari e Graal” conosce bene i fattori che rivelano la sua convinzione. Non è possibile ripeterli in questa sede; ciò che invece mi preme particolarmente è ricostruire lo scenario che sta a monte di quel mio libro, per arrivare a spiegare, passando attraverso la leggenda del Graal, l’ormai dimenticata quartina II,79 dalla quale siamo partiti.
Intanto ai lettori del libro faccio notare, ma sono sicuro che lo hanno notato benissimo da soli, che  il numero 42 della genealogia di Matteo (14 x 3) è l’anello di congiunzione che permette di “replicare” in chiave occidentale l’enigma cabalistico ebraico del numero 45.  Ricordo anche che quel 42 è talmente importante per Nostradamus che, per sottolinearne il ruolo, egli vi costruisce sopra non solo il suo segreto, ma perfino la stessa struttura delle Centurie.

giovedì 20 dicembre 2012

Il segreto della vita


Non possiamo sapere con quali termini il Signore abbia spiegato ad Abramo il suo segreto. Certamente, come afferma Il Sepher Yetzirah, ha indicato nelle 22 lettere dell’alfabeto ebraico i mattoni della vita che, opportunamente combinati, danno origine alla creazione della vita umana.
E’ altrettanto certo che, nella spiegazione, abbia esaltato il ruolo del sangue, come sede della vita.

Già nell’Enuma Elish è detto che l’uomo fu creato con il sangue di un dio (Kingu). La Bibbia non dice altrettanto, dal momento che indica l’argilla come materia prima, ma fa molto di più sotto un altro aspetto, cioè nell’assegnare al primo uomo “completo” il nome di Adamo.

In ebraico, il nome Adamo è formato da tre lettere (aleph, dalet e mem), da leggere da destra verso sinistra.
La prima lettera è l’aleph, il numero uno cabalistico, il numero che il Sepher Yetzirah qualifica come “spirito del Dio vivente”, il principio di tutte le cose sotto qualsiasi dottrina esoterica, l’alfa dell’Apocalisse (Io sono l’alfa e l’omega).
La seconda e la terza lettera, “dalet” e “mem”, formano la parola ebraica che sta per “sangue”.
Adamo, perciò, non è solo argilla, ma è formato anche da una combinazione di sangue e Spirito divino. E’ il suo stesso nome a proclamarlo:
La vita risiede nel sangue, secondo la Bibbia. Se questo sembra nuovo, perché nessuno ce l’ha mai detto, basta verificare:

La vita della carne è nel sangue (Lev. 17, 11)
La vita di ogni carne è il suo sangue: nel sangue sta la vita (Lev. 17, 14)

Nell’uomo, il legame tra sangue e vita è così forte da superare, con Gesù, il mero significato biologico: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Giov. 6, 54)

Nel Vangelo di Filippo è detto, con riferimento a Gesù: “La sua carne è il Logos e il suo sangue è lo Spirito Santo”.

Ecco, quindi, cosa viene spiegato ad Abramo:

Adamo è stato formato con 22 mattoni variamente combinati (DNA); la sede della sua vita è nel sangue (dalet + mem); inoltre, egli possiede l’aleph, l’alfa, il numero uno, lo Spirito divino.






martedì 18 dicembre 2012

I mattoni della vita


Il Sepher Yetzirah, probabilmente il più importante riferimento della cabala ebraica, è un testo speculativo sulla creazione del mondo da parte di Dio.
Ci interessa qui solo per un passaggio che riguarda da vicino l’argomento che stiamo trattando:

[Il Signore] legò le ventidue lettere della Torah sulla sua lingua [la lingua di Abramo] e gli rivelò il suo segreto.

Tutti conosciamo l’esistenza del DNA, che contiene il “codice della vita”; esso si organizza in unità strutturali chiamate cromosomi. Il numero cromosomico dell’uomo è costituito da 23 coppie per cellula, di cui 22 coppie di base (autosomi) e una speciale (eterosoma) preposta alla procreazione.

Io non sono uno specialista in materia, ma posso ritenere che, se Dio creò Eva da una costola di Adamo (sembra proprio un intervento chirurgico), al momento della creazione lo stesso Adamo avesse solo i 22 autosomi; successivamente, durante l’intervento per la creazione di Eva, avrebbe ricevuto la coppia XY di cromosomi sessuali (eterosoma), per potersi riprodurre per vie naturali.

Cerchiamo di mettere insieme i pezzi:

Dio rivela ad Abramo il suo segreto, dice il Sepher Yetzirah. Quale segreto gli può avere rivelato?

Visto che l’informazione è contenuta nel “Libro della formazione/creazione”, la deduzione ovvia, a prescindere dai cromosomi, è che il segreto riguardi la creazione e, in particolare, la “formazione” dell’uomo.
Convincente o meno che sia poi la questione dei 22 cromosomi, resta il fatto che il segreto è legato alle 22 lettere della Torah:

legò le ventidue lettere della Torah sulla sua lingua e gli rivelò il suo segreto.

Teniamo presente che, in altra parte del Sepher Yetzirah, è detto esplicitamente che Dio creò l’umanità con queste 22 lettere, che vengono confermate come “i mattoni” della vita opportunamente disposti.
 
Ventidue lettere fondamentali: [Yahveh] le incise, le plasmò, le combinò, le soppesò, le permutò e formò con esse ogni essere vivente e ogni anima ancora increata.

Mettendo insieme i due brani del Sepher Yetzirah che legano le 22 lettere dell’alfabeto alla nascita della vita e  considerato il contesto nel quale essi si trovano (Libro della creazione), non restano dubbi sulla natura del segreto rivelato ad Abramo. Come se questo non bastasse, Dio passa ai fatti.
Per convincere Abramo di ciò che gli dice, cioè che Egli è in grado di generare la vita, permette a Sara di concepire un figlio, nonostante l’avanzata età di entrambi gli sposi.
Saremmo portati a dare per scontato che Dio sia ritenuto in grado di compiere qualsiasi cosa e che, quindi, non debba convincere nessuno. Evidentemente non è così se Sara, come abbiamo visto in un altro brano, ride della promessa. Anche Abramo, che ha di fronte a sé un “uomo” in carne e ossa che mangia e beve, deve avere qualche perplessità: lo chiama “Signore”, gli si prostra davanti, lo accoglie con ogni onore, ma non è convinto della sua onnipotenza.

Questo “Signore”, oltre ad alimentarsi come un qualsiasi essere umano, manifesta altre debolezze: ha bisogno che Abramo sconfigga per suo conto i re di Sodoma e Gomorra, e i suoi “angeli” rischiano di essere linciati dalla popolazione di Sodoma tanto che, pur disponendo di armi speciali accecanti, sono costretti a barricarsi in casa (Abramo come non lo avete mai visto).
Ecco perché, per “consolidare” la fedeltà di un servo del quale ha bisogno, decide di mostrare la sua potenza, “visitando Sara e compiendo quanto aveva promesso” (Gen. 21, 1-2).
La verosimiglianza di un rapporto di “fedeltà titubante” è indirettamente confermata dalla necessità di verificare, più avanti nel tempo, la sua sussistenza: il Signore lo fa chiedendo ad Abramo di sacrificare Isacco, proprio quel figlio che gli aveva dato quando ormai non esisteva più alcuna speranza biologica.
Queste osservazioni non devono scandalizzare; al contrario, esse tendono a sottrarre a un mito riduttivo la “figura” del vero Dio, che non ha certo bisogno di questi crudeli espedienti per conoscere il cuore delle sue creature e l’esito delle loro scelte.

Comunque, nel dargli un figlio, il Signore spiega ad Abramo il suo segreto: il segreto della creazione dell’Adamo dell’Eden e, più in generale, il segreto della creazione della vita umana “in laboratorio”, come diremmo oggi.

Impossibile sapere con quali termini accessibili alla cultura di Abramo, che comunque non era un ignorante (abbiamo visto che era grande astrologo e inventore delle lettere caldaiche), il Signore gli abbia dato le sue spiegazioni sulle tecniche genetiche e sull’inseminazione artificiale.

Per esplicita ammissione del Sepher Yetzirah, gli parla sicuramente dei 22 “mattoni della vita” (le 22 lettere opportunamente combinate).
Vedremo che gli parlerà anche del sangue come elemento fondamentale della vita umana e, infine, dello “spirito vivente” che anima il sangue.

domenica 16 dicembre 2012

Da Adamo a Nostradamus

Ho avanzato l’ipotesi che, nel corso della storia, sia intervenuto un qualche tipo di manipolazione genetica che ha fatto fare un balzo evolutivo alla razza umana.
La possibilità di questo intervento sembra trovare fondamento sia nell’Enuma Elish che nella successiva narrazione biblica.
Esistono altri miti che raccontano la stessa cosa. Ricordiamo ad esempio il mito di Prometeo che, su incarico di Zeus, modella l‘uomo dal fango e lo anima con lo spirito divino. Anche in questo mito, come nella seconda narrazione biblica, gli uomini vivono per un po’ di tempo assieme agli dei in un mondo di delizie.

L’ipotesi di un intervento genetico è in qualche modo “necessaria” per sostituire l’anello mancante di Darwin, colmando così il vuoto evolutivo e conciliando due modalità incompatibili di nascita dell’umanità: quella evoluzionista dello sviluppo progressivo e quella creazionista dell’uomo nella sua forma completa.
E’ ovvio che l’ipotesi della manipolazione genetica risolverebbe sì il mistero della comparsa dell’uomo intelligente, ma lascerebbe irrisolto il problema dell’apparizione della vita intelligente nel cosmo e, quindi, dell’origine del “manipolatore genetico”. Ma questo è un problema che non è teoricamente irrisolvibile e, anzi, può essere affrontato su diversi fronti, paradossalmente con maggiore facilità rispetto al problema della vita sulla terra. Fisica, biologia e cosmologia sono molto attive su questo fronte.

Ricordo che lo spunto per questa indagine su Adamo non è sorto arbitrariamente, ma mi è stato fornito da Nostradamus, che si cimenta a fondo con il problema del DNA e della creazione. Non posso riproporre qui tutte le analisi che ho affrontato nel libro “La Cabala, i Templari, il Graal”; posso solo proporre la sintesi di un Nostradamus di origine ebraica, che conosceva il segreto che i cabalisti ebraici si tramandavano da millenni.
Come tutti sanno, Nostradamus è il soprannome che Michel de Nostredame si è assegnato. Molti ritengono che, con il soprannome adottato, il veggente abbia voluto sottolineare la volontà di trasmettere i suoi segreti: “diamo le nostre cose”, dal latino “nostra damus”. A voler dare credito a questa spiegazione, non si capisce bene quali “cose” il veggente abbia voluto trasmettere, vista l’incomprensione che circonda la sua eredità. Nessuno ha mai rilevato, invece, che il nome stesso fa direttamente riferimento ad Adamo, o Adamus in latino (lingua scelta da Michel per cifrare i suoi scritti), per indicare l’origine del suo segreto. Perciò, non più “nostra damus”, bensì “NostrADAMUS”.

Uno dei testi cabalistici di base, preso a ispirazione da Nostradamus per la stesura delle sue Centurie, è il “Sepher Yetzirah”: Libro della formazione o Libro della creazione. Ovviamente, per quanto riguarda l’uomo, ci vanno bene entrambi i significati; anzi, la traduzione come “Libro della formazione” è preferibile, se vogliamo riferirla alla “formazione” dell’Adamo della seconda creazione bibilica.

Vedremo che il Sepher Yetzirah spiega il legame che unisce Adamo ad Abramo (il capostipite della genealogia), confermando così l'analogo legame di Matteo tramite il numero 45.  

Tutta una serie di anelli, intrecciati a catena, permette di ricostruire organicamente una storia che corre nei millenni senza che nessuno sia mai riuscito a coglierla nel suo insieme. Se ciascun anello, singolarmente preso, può sembrare il prodotto della  fantasia, la ricostruzione di un mosaico con una immagine completa fornisce “verosimiglianza” alla storia. Che questa sia “anche” vera è tutt’altra questione, ma è certamente quella che ci viene raccontata e che io sto portando alla luce.
Anche la cinematografia sembra essersene accorta, con il recente film “Prometheus” o con le serie di “Matrix” di qualche anno fa.

venerdì 14 dicembre 2012

Le creazioni bibliche


Nel primo racconto della creazione (Gen. 1, 27), “Dio creò l’uomo a sua immagine, a sua immagine lo creò; lo creò maschio e femmina”.
Nel secondo racconto (Gen. 2, 7) “Il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra e alitò nelle sue narici un soffio vitale, e l’uomo divenne un essere vivente”.
Non può sicuramente sfuggire il diverso significato delle due formulazioni.
Nel primo caso, dopo averlo creato, Dio lascia l’uomo al suo destino, invitandolo a prolificare e a dominare su piante e animali: “Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate sopra i pesci etc.”. Come si vede, Dio manda subito l’uomo nel mondo, senza farlo passare per l’Eden”.

Nel secondo caso, Dio non crea ma “forma” l’uomo; non più maschio e femmina, ma solo uomo. Poi gli insuffla un ingrediente speciale, il “soffio vitale”, e lo fa diventare “vivente”. Nell’uomo, a differenza degli animali, l’attributo “vivente” non qualifica evidentemente un essere biologicamente animato, ma un essere dotato di qualità cerebrali evolute. Del resto, se il soffio vitale fosse servito solo ad “animare” un pupazzo di creta, la Bibbia non direbbe che Dio “formò l’uomo”, ma che formò “una statua” e alitò in essa il soffio vitale. Il soffio vitale è una caratteristica aggiunta all'uomo “dopo” che è stato formato come tale. Lo testimonia anche la differenza con gli animali, nei quali Dio non alita quel “di più” che è il soffio vitale: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie (Gen, 1, 24).
Sembra potersi dedurre che l’utilizzo della parola “formato” stia a significare che Dio lavora su qualcosa che già esiste e che viene “plasmato” diversamente, per essere dotato di particolari qualità: l’intelligenza e la consapevolezza di sé.

Insomma, sembra quasi che l’Adamo dell’Eden sia stato “formato”, a un certo punto della storia, attraverso una manipolazione genetica. Che venga utilizzato il DNA degli déi, come afferma l’Enuma Elish, o quello degli adamah (per il significato vedi di seguito) o altro, resta  un mistero.

Siamo comunque in una situazione diversa dalla prima creazione e lo dimostra il fatto che Dio “coccola” il nuovo essere; crea un bellissimo giardino pieno di meraviglie e vi pone l’uomo, non più abbandonato al suo destino come quello della prima creazione, ma libero di mangiare qualsiasi frutto, tranne che il frutto dell’albero della conoscenza; può mangiare perfino il frutto dell’albero della vita.
Successivamente, e non più contemporaneamente, Dio crea Eva da una costola di Adamo.

In un caso, dunque, l’uomo (sia maschio che femmina) è un adamo, da “adamah” che vuol dire terrestre; nell’altro caso, l’uomo (solo maschio) è l’Adamo, il cui nome ha un significato che scopriremo proseguendo con la nostra indagine.

L’Adamo cacciato dall’Eden convive con gli adamah. Ne è prova che Caino, dopo aver ucciso Abele, esclama: “Sarò errabondo e fuggiasco sulla terra, e chiunque mi incontrerà mi ucciderà” (Gen. 4, 14). Chi mai avrebbe potuto ucciderlo in assenza di altri uomini? In teoria, oltre a lui sarebbero dovuti esistere solo Adamo ed Eva.
La Bibbia, infine, fornisce una specie di riepilogo dei due diversi tipi di “Adamo” (Gen. 5, 1 –2): “Ecco l’elenco dei discendenti di Adamo.” (si riferisce evidentemente all’uomo di nome Adamo, maschio, del secondo tipo di creazione). “Quando Iddio creò l’uomo lo fece a immagine e somiglianza di Dio; li creò maschio e femmina, li benedisse e quando furono creati li chiamò Adamo” (il plurale, evidentemente, fa riferimento agli adamah, maschi e femmine, del primo tipo di creazione).

A questo punto, il problema vero non è stabilire se la teoria creazionista prevale su quella evoluzionista o viceversa; non è questione di stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina. Il vero problema biblico è quello di stabilire “come” è nato il secondo Adamo.

Dell’esistenza di un segreto creativo, riservato ai soli iniziati, è convinto Maimonide, il quale afferma che “ciò che è detto a proposito dell’opera della creazione… bisogna che chiunque sappia qualcosa al proposito non lo divulghi… il dichiararlo pubblicamente è vietato ed egli deve farlo per allusioni”.
Va da sé che, essendo di tradizione cristiana e vivendo otto secoli dopo Maimonide, non mi ritengo vincolato dalle sue prescrizioni e decido da solo cosa divulgare. E’ notevole, tuttavia, che un pensiero profondamente religioso come il suo consideri concretamente l’esistenza di una spiegazione segreta, parallela a quella che si legge nella Bibbia.

Giunti alle radici dell’uomo, dobbiamo ora fare il percorso inverso, attraverso Abramo e Matteo, per vedere come ciò che abbiamo appreso si inserisca nella visione di Nostradamus. Dovremo anche salire sul Calvario per investigare i comportamenti di alcuni personaggi ai piedi della Croce.


mercoledì 12 dicembre 2012

Adamo e gli extraterrestri


Ancora oggi, in tema di creazione dell’uomo, vige un acceso dibattito tra teoria (scientifica) evoluzionista e teoria (fideistica) creazionista.
Il problema è che nessuna delle due ha le carte in regola per poter essere sostenuta fino in fondo.
La teoria creazionista non riesce a ricomporre le contraddizioni che esistono tra l’uomo intelligente di oggi e l’ominide che lo ha preceduto.
Chi sarebbe l’Adamo biblico? Il primo degli uomini di Cro-Magnon? Il primo degli uomini di Neanderthal? Il primo homo sapiens? Il primo homo sapiens sapiens? Esiste un “primo” di ciascuna di queste specie?
E’ possibile prendere per buono il calendario ebraico, che pone la data della creazione nel 3760 a.C.?
Se ciò fosse corretto, da dove arrivano i fossili umani databili a molto, molto prima di quella data?

Altrettanto debole è la teoria evoluzionista: l’anello mancante di Darwin non è mai stato trovato e le risultanze fossili dimostrano che la vita sulla terra si è evoluta a “salti” e non per progressione graduale.
Si calcola che già 3 milioni di anni fa, in Etiopia e in Tanzania, siano apparsi animali in grado di camminare eretti e di afferrare con le mani e, soprattutto, “usare” oggetti. Circa 40 mila anni fa sono apparsi utensili, arpioni, punte di lancia e statuette.
Tuttavia, nessuno è ancora riuscito a capire “come” e “quando” sia apparso l’uomo nella forma attuale, e nessuno crede più che egli sia una evoluzione dell’uomo di Cro-Magnon o dell’uomo di Neanderthal. Sembra proprio che “l’uomo”, come noi lo intendiamo, sia apparso all’improvviso al fianco, e non in sostituzione, degli ominidi esistenti già prima di lui.

Tutto questo non è più una novità per la scienza di oggi.
La novità, per qualcuno, è che la stessa Bibbia fornisce due spiegazioni sull’origine dell’uomo, per qualche aspetto riconducibili a quelle dell’Enuma Elish.
Maimonide e Namanide, due autorevoli commentatori biblici vissuti a cavallo del XII e XIII secolo d.C., fanno delle osservazioni illuminanti: entrambi sostengono che, al tempo di Adamo, esistevano esseri di forma umana che non erano uomini a tutti gli effetti, in quanto non avevano ricevuto lo spirito divino.
Due biblisti decisamente all’avanguardia, considerati i tempi in cui sono vissuti!

Vi ricordo che, anche se ancora non se ne vede il nesso, il tema che stiamo trattando è necessario per spiegare, alla fine, il segreto di Nostradamus.
Il punto, qualora non si fosse capito, è che Nostradamus crede che “qualcuno”, comunque ci piaccia definirlo (Dio, civiltà extraterrestre, civiltà terrestre evoluta, uomo del futuro), è intervenuto “fisicamente” per manipolare il DNA dell’uomo. Questo è il vero e grande segreto che, secondo alcuni, gli antichi testi religiosi e le tradizioni esoteriche di tutte le culture tramandano da millenni, dissociando la figura dell’unico e vero Dio Creatore da quella dell’imperfetto demiurgo platonico e gnostico. Questo segreto, alla fine, sfocerà nel mistero del Santo Graal… E gli dèi, dice Nostradamus con molto anticipo sul premier russo Medvedev, torneranno!

I,91

Gli dèi faranno agli umani apparizione
....
....
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lunedì 10 dicembre 2012

Enuma Elish


L’Enuma Elish è un poema mesopotamico della creazione, molto più antico della Bibbia. La sua esistenza non era nota ai tempi di Nostradamus; non si sa, invece, se la sua composizione sia anteriore ad Abramo o, in caso contrario, se egli conoscesse comunque il mito, poi narrato nel poema. Ovviamente non poteva ancora conoscere il mito della creazione nella forma che, in epoca successiva, sarebbe stata ripresa dalla Bibbia.
Questo post non è rigorosamente necessario per l’obiettivo finale di tutto questo lungo racconto, ma è utile per inquadrare meglio le “leggende” che, a tempo debito, daranno origine al grande segreto di Nostradamus: la natura e il nascondiglio del Santo Graal.

L’Enuma Elish narra di un epico scontro di un corpo celeste con un altro corpo celeste, Tiamat, provocandone la divisione in due parti: la Terra e la Luna.
La mitologia ci racconta che Tiamat era un grosso dragone e i partecipanti alla lotta avevano nomi di dèi; il dio a capo dei corpi celesti che affrontarono Tiamat era Marduk.

Così comincia il poema:

Quando lassù
il cielo non aveva ancora un nome
e quaggiù la terraferma
non era ancora chiamata con un nome
….
….

E mentre degli déi
nessuno era ancora apparso
essi non erano né chiamati per nome
né definiti da un destino.

Da osservare che la teoria dell’impatto celeste che ha dato corpo alla Luna per distacco dalla Terra è stata proposta nel 1975, “almeno” 3000/3500 anni dopo l’Enuma Elish, da William K. Harmann e Donald R. Davis, ed è attualmente la teoria maggiormente accettata dalla comunità scientifica.

Come facevano i cantori dell’Enuma Elish a conoscerla? Chi gliel’ha raccontata?

Nella seconda parte del poema, gli déi vengono antropoformizzati e creano l’uomo:

Marduk, ….
Aprì dunque la bocca
e disse a Ea,
spiegandogli il progetto
che aveva chiuso nel cuore:
Voglio condensare del sangue,
costituire un’ossatura
e creare così un umano,
che si chiamerà uomo!

Da notare, perché l’osservazione ci servirà successivamente, che la materia prima è il “sangue” (“Da-mi”, da cui deriverà l’ebraico “D[a]M” – la “a” viene solo pronunciata, ma non scritta). Vi ricorda niente? Forse ci trovate qualche assonanza con “Ad[a]m”?

Kingu…
venne dunque incatenato
e messo di fronte ad Ea.
Poi, per infliggergli il suo castigo,
fu dissanguato.
E con il suo sangue
Ea creò l’Umanità.

Altri poemi sumeri della creazione raccontano che Ea (chiamato anche Enki) si è limitato a “fare degli incroci” tra gli ominidi pre-esistenti sulla terra e gli dèi, fino a quando, dopo alcuni tentativi, è riuscito a dare vita all’uomo intelligente: oggi, diremmo che ha fatto ricorso a delle manipolazioni genetiche.
Secondo questi poemi, l’uomo passerebbe attraverso due processi creativi: il primo, di natura evolutiva e il secondo di natura interventista. L’eterna contrapposizione tra evoluzione e creazionismo troverebbe la sua soluzione in questa rappresentazione.
Una rappresentazione simile ci viene forse fornita dalla stessa Bibbia; ne sono convinti Maimonide e Namanide, due fra i più autorevoli commentatori biblici vissuti a cavallo del XII e XIII secolo d.C.




sabato 8 dicembre 2012

Abramo come non lo avete mai visto


Come promesso, vi svelo subito il mistero del numero 45. Si tratta del numero cabalistico di Adamo: ADM in ebraico (aleph, dalet, mem). Dalla somma delle singole lettere secondo la tabella di Gematriah (aleph = 1, dalet = 4 e mem = 40) si ottiene, appunto, 45.

A questo punto, i lettori del mio libro su “Cabala, Templari e Graal” avranno già capito tutto, trovando in questa scoperta un tassello, finora mancante, che conferma “l’ipotesi” dell’ultimo capitolo.

Prima di procedere con le spiegazioni, dobbiamo fare conoscenza con Abramo. Tutti sappiamo dell’episodio nel quale Dio lo mette alla prova, chiedendogli di immolare il figlio Isacco. Abramo non fallisce la prova, ma un angelo ferma la sua mano prima che egli compia il gesto assassino. Per compensare la sua fedeltà, Dio gli promette una discendenza sterminata.
Da sottolineare che Isacco era stato concepito da Sara, in veneranda età, grazie al diretto intervento divino:

Il Signore visitò poi Sara, come aveva detto, e compì in lei quanto aveva promesso. Sara concepì e generò un figlio ad Abramo, già vecchio (Gen. 21, 1-2).

Sembra quasi di essere in presenza di un moderno ginecologo, che pratica l’inseminazione artificiale e forse, secondo un certo tipo di archeologia alternativa, non siamo molto lontani dalla verità.
E’ difficile credere che il Dio di Abramo sia lo stesso Dio onnipotente creatore di un universo di 200 miliardi di galassie, tra le quali la sola Via Lattea comprende 200 miliardi di stelle e ha un diametro di 100.000 anni luce, pari a 1 miliardo di miliardi di chilometri.
Un Dio così smisuratamente potente non ha bisogno di mettere alla prova una particella subatomica di sabbia come Abramo, non ha bisogno di mangiare “schiacciate, latte e carne di vitello” (Gen. 18, 6-8) e, soprattutto, non si mette certamente a battibeccare stizzito, in piena e reale presenza fisica, con una incredula Sara, che ride della promessa di poter concepire alla sua età (Gen. 18, 13-15).

Il Signore disse a Abramo: “Perché Sara ha riso, dicendo: potrei io aver davvero figli, vecchia come sono?” Vi è forse qualcosa di difficile per il Signore? Tornerò da te tra un anno, di questo tempo, e Sara avrà un figlio”.
Negò Sara, dicendo: “Io non ho riso”, perché ebbe paura.
Ma egli le disse: “Sì, tu hai riso”.

Sara è perfino impertinente e prevaricatrice, in quanto risponde direttamente a una osservazione che il Signore ha fatto ad Abramo, non volendo rivolgere la parola a lei. Insomma, sembra più una scenetta familiare un po' sopra le righe, piuttosto che una scena di riguardo che si svolge al cospetto del Creatore di tutte le cose, in difficoltà nell’imporre la sua autorevolezza.

Non caviamocela con il luogo comune delle leggende, facendo della Bibbia un testo sacro, quando ci conviene, e un testo di favole quando non la comprendiamo.
Gli estensori hanno meditato su ogni singola parola, a cominciare dalla prima: “Bereshit”; tutto ha una logica, ogni dettaglio ha una spiegazione, perfino ogni singola lettera di ogni singola parola. Lo studioso serio non può cavarsela con le approssimazioni, quando non capisce.

Abramo, la cui storia si colloca intorno all’anno 2100/2000 a.C.,  è probabilmente nativo di UR dei Caldei, città della Mesopotamia, e vive a Haran. Il suo Signore, chiunque egli sia, gli impone di abbandonare Haran e di spostarsi nella terra di Canaan, dalla quale fa temporaneamente un salto in Egitto, dove riceve doni e onori dal faraone.
E’ profondamente sbagliato pensare ad Abramo come a un povero beduino, possessore al massimo di qualche pecora.
Egli è un uomo ricco e potente, in grado di mettere insieme ben 318 dei suoi servi più bravi (chissà quanti ne ha, quindi), di inseguire i re di Sodoma e Gomorra e di sconfiggerli (Gen. 14, 14-15). E’ altresì un uomo “colto”: grandissimo astrologo e, ci dice Nostradamus nell’epistola a Enrico II, forse inventore della scrittura caldaica.
Non c’è da meravigliarsi se dialoga con il suo “Signore”.

Perché gli viene ordinato di spostarsi a Canaan? Cosa c’è di tanto speciale a Canaan? E’ possibile che, come racconta la Bibbia (Gen. 12, 16), il faraone gli faccia dono, durante la sua permanenza in Egitto, di pecore e buoi e asini e servi e serve e cammelli, solo in grazia della bellezza di Sara? In nome di chi Abramo si presenta in Egitto? Per conto di chi combatte e sconfigge i re di Oriente con il suo esercito, così da meritare la ricompensa della promessa di una discendenza sterminata? Chi è il Signore di Abramo, capace di distruggere Sodoma e Gomorra con una pioggia di zolfo e fuoco (Gen. 19, 24), che ricorda tanto un’apocalisse nucleare?

Proviamo a zoomare su un episodio speciale: quello dei due "angeli", anch’essi ospiti di Abramo, che dispongono di armi capaci di accecare i sodomiti che vogliono catturarli (Gen. 19, 10-11).
Sono certamente due uomini che, per proteggersi, hanno bisogno di chiudersi in casa; però, dispongono di armi in grado di accecare il nemico:

I due uomini stesero il braccio, riportarono Lot con loro in casa, chiusero la porta e colpirono di accecamento la gente che stava alla porta di casa, dal più piccolo al più grande, sicché si affaticarono invano per ritrovare la porta.

In sintesi, chi sono veramente gli interlocutori di Abramo?

Si tratta di una domanda destinata a restare senza risposta e l’indagine ci porterebbe molto lontano dal filone principale che ci interessa.

Comunque, oltre che alla Bibbia, forse dovremmo dare uno sguardo anche al pantheon delle leggendarie divinità della storia mesopotamica di 2 millenni prima di Cristo e ai racconti epici che le riguardano: tra questi ultimi, ci interesseremo al “Poema della creazione” o “Enuma Elish”, probabilmente familiare ad Abramo.

venerdì 7 dicembre 2012

Nostradamus e il 21/12/2012


Il 21 dicembre si avvicina e cresce la spasmodica attesa per la “fine del mondo” annunciata dai Maya e, si dice, anche da Nostradamus.
Premetto che non credo affatto a una presunta apocalisse prevista dai Maya. Per quanto ne so, il 21 dicembre dovrebbe essere solo la fine di un grande ciclo di calendario; un po’ come se noi ci aspettassimo una fine del mondo ad ogni 31 dicembre.
E ci credo ancor meno quando mi capita di leggere (per la verità, dopo averne letti un paio, non ne leggo più) i polpettoni che sedicenti “studiosi” privi di una basilare cultura mettono in giro: calendario Maya e Nostradamus in primis, uniti a precessione degli equinozi, buchi neri galattici, allineamenti stellari, asteroidi e pianeti in rotta di collisione con la Terra, kali yuga e profezie messianiche. Il tutto mescolato insieme e condito con qualche testimonianza di sedicenti “esperti” e "pseudo-scienziati". Con tutto questo materiale, non è difficile costruire cumuli di enormi sciocchezze senza capo né coda, fondate sull’assenza di qualsiasi conoscenza, ancorché elementare, da parte di chi ne parla. Peccato perché, singolarmente presi, alcuni degli argomenti toccati sarebbero interessantissimi, se solo venissero affrontati con un minimo di serietà, fondata sullo studio piuttosto che sulla replica di articoli-spazzatura trovati in rete.

Limitandoci a Nostradamus, posso affermare con assoluta certezza che  egli non ha previsto alcuna “vera” fine del mondo; né, ancor meno, ha previsto qualcosa di specifico per il 2012.
Ai più faciloni, che si limitano a leggere senza capire, potrebbe semmai sembrare che Nostradamus abbia previsto la fine del mondo per l’anno 7000 a partire dalla data della creazione. Inoltre, potrebbero rilevare che, in altre circostanze, egli ha previsto la fine del mondo per l’anno 2242.

Le due presunte date, se uno le sa leggere (e chi si aspetta la fine nel 2012 evidentemente non sa neanche leggere, a prescindere dall’errata interpretazione), in effetti coincidono, dal momento che, per esigenze di cifratura, Nostradamus ha posto la data della creazione nell’anno 4758 a.C. Ne consegue che l’anno settemila, per differenza, coincide con il 2242 d.C. Ripeto, però, che si tratta solo di numeri necessari per la comprensione della struttura delle Centurie e non di anni di calendario.

Nel mio libro “Cabala, Templari e Graal”, ma anche in “l’Anticristo di Nostradamus”, è spiegato che, adottando il linguaggio di un testo cabalistico ebraico chiamato “Sepher Yetzirah”, Nostradamus intende “il mondo delle sue quartine” quando parla di “mondo”.
La “fine del mondo”, per lui, è  semplicemente l’ultima quartina, quella con la quale termina il suo mondo: la quartina X,100.
Nella stampa originale, essa viene appunto seguita dalla parola “FIN” (Fine). Vi ho riportato coi piedi per terra? Lo spero e, ovviamente, è meglio così.
  

Guardate le iniziali di ogni verso: L L G L
Se a ogni lettera, secondo un elementare calcolo cabalistico, facciamo corrispondere la posizione nell’alfabeto latino, otteniamo 10 x 10 x 7 x 10 = 7000.

Come vedete, il 7000 non riguarda affatto la fine del mondo terrestre nel quale viviamo. Quella è sì vicina, ma non certo per effetto delle previsioni dei Maya e di Nostradamus, bensì a causa di noi stessi che avveleniamo il mondo con l’inquinamento, l’odio, le guerre, la crisi economica, l’avidità e l’incapacità di condividere uno spazio nel quale ci sarebbe posto per tutti, se solo lo volessimo. Credo fermamente, tuttavia, che la fine non sia così vicina e che il tempo del ravvedimento ci sia concesso.

Auguri di Buon Natale e di un 2013 migliore dell’anno che sta per finire.

giovedì 6 dicembre 2012

Quadro d'insieme


Cerchiamo di riepilogare le inesattezze della genealogia, costruite in una maniera tale da non poter essere assolutamente frutto di confusione. Abbiamo già esaminato singolarmente i vari pezzi, ma solo la visione d’insieme ci permetterà di fare il salto verso le conclusioni. Abbiamo suonato le singole note, adesso dobbiamo comporre la melodia.

Matteo suddivide la genealogia in tre gruppi di 14, ma il terzo gruppo ne contiene solo 13.
Fino a Zorobabele, il termine di confronto è costituito dalle Cronache I, che comprendono 34 nomi contro i 30 di Matteo.
Gli 11 nomi successivi vanno accettati così come sono, non esistendo termini di raffronto.
Matteo dà in tutto 41 nomi (dichiarandone però 14 x 3 = 42) anziché 45; a questo risultato si arriverebbe con l’aggiunta dei 4 nomi presenti nelle Cronache e assenti in Matteo.

La ripetizione del numero 14 sollecita una particolare attenzione su Abramo, per contrasto con Davide. Senza questa insistenza, la supremazia del capostipite della genealogia sarebbe passata inosservata.
Inspiegabile sembra invece la riduzione a 41 dei nomi presi in considerazione. Fatta la scelta di presentare 3 gruppi di 14 nomi ciascuno, perché elencarne uno in meno?
Qualcuno potrebbe sostenere che si tratta di una dimenticanza nella trascrizione del Vangelo. Non tutti sanno, probabilmente, che i quattro Vangeli “originali” non esistono; si hanno solo delle copie di copie di copie, le più antiche delle quali vengono fatte risalire al Codex Vaticanus del IV secolo d.C. Esistono anche piccoli frammenti di papiri più antichi, con brevi brani dell’uno o dell’altro Vangelo, ma sempre di copie si tratta. Le continue trascrizioni potrebbero aver generato l’omissione.
Tuttavia, nonostante la possibilità pratica della dimenticanza, credo che l’omissione sia volontaria. Se infatti, nel posto vuoto lasciato fra Giosia e Geconia, Matteo avesse inserito “Joachim”, avremmo avuto un primo gruppo di 14 nomi, un secondo di 15 e un terzo di 13. Si sarebbe allora pensato che, proprio per un errore di trascrizione, un nominativo in più era finito nel gruppo centrale invece che in quello finale e l’enigma (almeno sotto l’aspetto numerico-cabalistico) sarebbe rimasto limitato al significato cabalistico del numero 14. Matteo, invece, voleva che l’enigma fosse più ampio, e per questo ha volutamente saltato un nome (Joachim), che si aggiunge ai vecchi 3, mancanti tra Joram e Ozia.

Cerco di spiegarmi meglio, nel caso abbia fatto confusione.
Matteo pensava che, in presenza del quarantaduesimo nome, il ricercatore avrebbe ristretto l’enigma alla ripetizione del 14, giustificando l’assenza degli altri 3 nomi delle Cronache con l’esigenza di rispettare il prodotto della moltiplicazione 14 x 3.
Invece, l’assenza di una ulteriore unità, 41 anziché 42, mette in luce un nuovo enigma: perché Matteo annuncia 42 nomi (invece di 45) e ne elenca solo 41, portando a 4 il numero dei nomi mancanti? Probabilmente è un invito a ripristinarli tutti. Se l’obiettivo fossero stati i 42 nomi, li avrebbe indicati lui stesso. Perciò, o si ricostruisce l’intera genealogia o non la si ricostruisce. Non resta che provare, portando il conteggio a 45: a questo punto, la soluzione appare evidente, come un mosaico che si ricompone, anche se vi chiedo di aspettare il prossimo post.

Ricordo che al problema numerologico si affiancano l’incongruenza di una genealogia che passa per Giuseppe, che è solo padre putativo di Gesù, e la stonatura di un albero che parte da Abramo anziché da Davide, come sarebbe più logico.

Mi sono dilungato un bel po’ per far capire che, mettendo insieme i vari aspetti, tutto sembra architettato di proposito per creare un enigma a due facce: una riconduzione alla figura di Abramo e una segnalazione cabalistica del numero 45!
Ricordo che io sto facendo un percorso inverso, dalla soluzione ai dati del problema e non viceversa, conoscendo già dalle quartine di Nostradamus il risultato al quel devo arrivare. Facilitato da questa conoscenza, la riconduzione ad Abramo sarebbe già sufficiente a risolvere l’enigma; l’utilizzo del 45 la facilita e la conferma.
Impossibile dire se Matteo abbia gettato uno sguardo anche sulla cabala occidentale, basata sulle lettere dell’alfabeto latino invece che su quelle ebraiche. In ogni caso, che si tratti di una scelta consapevole o di una fortunatissima coincidenza, il numero 42 (14 x 3) riveste un ruolo straordinario per Nostradamus, permettendogli di replicare l’enigma di Matteo in chiave latino/europea e di impostarvi sopra perfino la struttura organizzativa delle sue Centurie, come ben sanno i lettori dei miei libri.


martedì 4 dicembre 2012

Specchietto per allodole


Matteo ha fatto in modo che ci fosse un conflitto insanabile tra ciò che ha scritto e ciò che avrebbe dovuto scrivere; e voleva che questo conflitto non sfuggisse. E non è sfuggito… è la soluzione ad essere sfuggita!
Se tutto questo vi sembra strano, vi invito a verificare la genealogia di Gesù nel Vangelo di Luca. A parte il fatto che quest’ultima ha origine addirittura da Adamo, i passaggi intermedi sono notevolmente diversi da quelli indicati da Matteo tanto che, limitandoci a quest’ultimo (in effetti ci sarebbero osservazioni anche per Luca), viene da chiedersi: “Ma cosa ci ha raccontato?”. Forse la genealogia è solo uno specchietto per le allodole. E forse dovremo pensarci su bene la prossima volta che saremo tentati di farci scappare l’espressione: “Prendi per Vangelo quello che ti dico!”.

Non vorrei complicare troppo le cose; non è colpa mia se ci sono ancora altri due aspetti da segnalare: fino a Zorobabele, Matteo si ispira alla cronologia del primo libro delle Cronache. Dal confronto, oltre ai 3 nominativi mancanti già visti in un precedente post, manca un quarto nome: si tratta di Joachim, figlio di Giosia e padre di Geconia. Matteo salta direttamente da Giosia a Geconia.
Dopo Zorobabele, la genealogia di Matteo non trova riscontro in nessun’altra parte della Bibbia e  si fa l’ipotesi che egli l’abbia inventata.

Concludendo, la genealogia di Matteo fa acqua da tutte le parti, tanto che non sono pochi gli studiosi che si domandano quale senso possa avere. Sotto un punto di vista esoterico, oltre all’opinione di Didimo il cieco, esaminata in un precedente post, ne esistono altre che attribuiscono un significato mistico alla suddivisione dell’albero genealogico in 3 gruppi da 14 ciascuno: il 14 viene visto come doppio del 7 che, unitamente al 3, rientra tra i numeri più sacri di tutti i tempi.

Capite bene che questo punto di vista è incompleto, in quanto percepisce correttamente il problema, inquadrandolo in una generica cornice esoterica, ma non ne fornisce la soluzione. Sapere, invece, che 14 è la trasformazione cabalistica del nome “David” è già un bel passo avanti.

lunedì 3 dicembre 2012

Il numero di David


Matteo afferma di voler suddividere la sua genealogia in 3 gruppi di 14 (nonostante l’ultimo gruppo contenga solo 13 generazioni). Perché tre volte 14? Non poteva dire semplicemente 42? Perché l’interesse a richiamare l’attenzione del lettore su 3 gruppi, addirittura con un errore di conteggio?
La spiegazione è semplice.
Il quattordici, secondo il calcolo cabalistico ebraico, è il numero di Davide; infatti, dalet (D) = 4 e vav (V) = 6. Tenendo presente che l’ebraico non trascrive (di norma) le vocali, allora DVD (David)  = 4 + 6 + 4 = 14. Questa tecnica cabalistica si chiama Gematriah; i lettori del mio ultimo libro (Cabala, Templari, Graal) troveranno la relativa tabella in appendice al libro stesso.

Coi suoi 14, ripetuti per 3 volte, Matteo richiama “ripetutamente” l’attenzione sul fatto che sa bene che avrebbe dovuto iniziare da Davide, perché è Davide quello che conta: la tripla ripetizione (3 gruppi di 14, cioè 3 volte David) e l’intenzionalità dell’errore (14 invece di 13 dell’ultimo gruppo) sono un modo per indurre il lettore a soffermarsi e a riflettere su questo aspetto. E in questo, l’evangelista è riuscito benissimo!
La deduzione ovvia è che se, pur riconoscendo il ruolo fondamentale di Davide, ha iniziato da Abramo, allora non è per capriccio: c’è una ragione precisa e quella ragione va ricercata in Abramo. Il contrasto con Davide ha lo scopo di esaltare un ruolo addirittura più importante e inimmaginabile rivestito da Abramo all’interno della genealogia.
In assenza di questo contrasto, non ci sarebbe motivo di domandarsi perché Matteo l’ha fatta iniziare da Abramo. Oppure ce lo potremmo anche domandare, ma non avremmo la certezza che lo ha fatto con una precisa intenzione e finalità. Così, invece, non abbiamo dubbi.

Che ci può essere di più importante in Abramo, rispetto a Davide, che abbia riflessi su Gesù? Che senso ha una genealogia che trascura l'assenza di un vincolo di sangue con Giuseppe? Una spiegazione ci deve essere! E c'è!



venerdì 30 novembre 2012

Per i forti di stomaco only


Individuata la stonatura, dobbiamo notare che è lo stesso Matteo a richiamare con forza l’attenzione su di essa; vedremo presto come lo fa.
Intanto, come premessa per capire bene, bisogna sapere che, per gli ebrei, i numeri erano lettere e le lettere erano numeri. A noi la questione  può sembrare bizzarra o, nella migliore delle ipotesi, possiamo pensare a una specie di superstizione cabalistica, buona per giocare i numeri al lotto.
Non era così per gli ebrei colti, per i quali questa corrispondenza era l’essenza, l’anima stessa  della loro visione mistica. Ne abbiamo visto un esempio col 666 dell’Apocalisse, che certo non è un giochetto da poco.
Non possiamo capirne l’importanza se non ci immergiamo nella cultura ebraica di quei tempi. Per i mistici ebrei, tutto è cabala. Ad esempio, avete presente il Vangelo di Luca (10, 1)?

Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due innanzi a sé, in ogni città o luogo dov’egli stesso voleva andare.

Perché proprio 72? Ammetterete che non è un numero qualsiasi, come potrebbe essere 50, oppure 60 oppure 100.
Inoltre, se i discepoli andavano a coppia in ogni città dov’egli stesso voleva andare, dobbiamo supporre che, nei tre anni della sua predicazione, abbia visitato 36 città.
Certo, 12 città ogni anno sono possibili anche se, non ci crederete, a quei tempi non esistevano treni, moto, e automobili e non sembra che Gesù andasse a cavallo o in carrozza. I Vangeli, del resto, non lo descrivono come un viaggiatore compulsivo. Ma, allora, perché tutta questa fretta di inviare 72 discepoli tutti insieme? Non sarebbe stato meglio farsi precedere solo un pizzico di tempo prima della sua visita? Perché farsi preannunciare con molto anticipo anche in quelle città ove la sua visita sarebbe avvenuta molto tempo dopo?
Anche i bambini capirebbero che qualcosa non torna… se solo non fossero condizionati dagli insegnamenti ricevuti. Insomma, non è verosimile che abbia inviato in giro 72 discepoli contemporaneamente, per preannunciare la sua visita; forse si trattava di un gruppo molto più ristretto, diciamo tre o quattro, ma non 72. Cerchiamo perciò una spiegazione alternativa, che nessuno vi darà mai.

Il numero 72 è un numero ben preciso, certamente non casuale.
La ragione è che 72 sono i nomi di Dio conosciuti dalla cabala.
E come si ottiene questo 72?
Nell’Esodo (14, 19-21) appare un fenomeno unico in tutta la Torah che, come sapete, è stata consegnata da Dio a Mosé. I tre versi (19, 20 e 21) sono composti, ciascuno, da 72 lettere. Da quelle lettere i mistici ebrei ricavavano i nomi di Dio:

prima lettera del primo verso, ultima del secondo e prima del terzo;
seconda lettera del primo verso, penultima del secondo e seconda del terzo;
e così via, fino a formare 72 gruppi di 3 lettere ciascuno.

Ora, che Gesù abbia inviato veramente 72 discepoli o che questa sia un’invenzione dell’evangelista Luca, la scelta del numero ha origine cabalistica, perché è così che si ragionava a quei tempi (se volete contare da soli, saltate i trattini “-“, che non sono lettere, e non vi confondete con la punteggiatura). L’immagine dei 72 discepoli che si spargono nel territorio è simile a quella dell’acqua sparsa per terra, che si estende a raggiera; simboleggia la diffusione dei 72 nomi di Dio, che viene “presentato” alla gente comune, fuori dalle sinagoghe e dagli ambienti farisaici. In pratica, Gesù diffonde la conoscenza di Dio.



Perché li ha inviati “a due a due”? Sappiate che qui siamo in pieno gnosticismo!
Possibile? Gnosticismo nel Vangelo di Luca, uno dei quattro riconosciuti dalla Chiesa? Sì, è proprio così!
Perché vi scandalizzate? Cosa pensate che siano  la “genealogia di Matteo”, i 72 discepoli e il numero 666 o, per dirla tutta, l’intera Apocalisse, per non parlare del “Logos” (tradotto impropriamente come “Verbo”) del Vangelo di Giovanni?
Ma se la Chiesa ha fatto guerra allo gnosticismo!
Ahhh… se è per questo, anche Pietro e Paolo si sono fatti la guerra tra di loro, anche se oggi sono venerati insieme.
Non è una novità che la Chiesa, da sempre, abbia fatto la guerra alla conoscenza. Galileo docet!

Tornando alla frase “a due a due”, ne troviamo traccia anche nel Vangelo (apocrifo e gnostico) di Filippo (verso 74): “Noi siamo stati generati dallo Spirito Santo, ma siamo stati di nuovo generati da Cristo, a due a due”. Andremmo fuori tema… troppo fuori tema!

I Vangeli raccontano molte cose (non ne avete idea!) che nessuno ci ha mai spiegato correttamente, perché il cristianesimo è il cristianesimo e l’ebraismo è l’ebraismo… Vederli insieme ci aiuterebbe a capire meglio le origini e le motivazioni della fede cristiana; non dimentichiamo che Gesù era ebreo. Purtroppo la Chiesa ha i suoi dogmi sui quali non si discute.
Scusate la parentesi e torniamo alla cabala e a Matteo.

Fortunatamente, la questione cabalistica non è estranea a Nostradamus, che rimane sempre il nostro riferimento principale.