Tecniche di Nostradamus

domenica 29 giugno 2014

Papi e vaticinia (seguito)

Neanche il tempo di essere eletto e Alessandro V muore a Bologna, ospite del Cossa, probabilmente avvelenato: 10 mesi di pontificato (o antipontificato, fate voi). Un altro sotterrato dall’eterno Benedetto XIII. Siamo nel 1410. Si riunisce subito un conclave a Bologna che elegge papa proprio quel Baldassarre Cossa che tanto aveva brigato per il soglio pontificio.
Non è neanche prete, ma questo non è un problema: viene ordinato prete all’alba, consacrato vescovo subito dopo e, sempre in mattinata, proclamato papa col nome di Giovanni XXIII.
Un gran seduttore, a quel che si dice: a quanto pare, aveva sedotto duecento fra ragazze, spose, vedove e suore. Né intendeva abbandonare questa piacevole attività; anzi, ora che aveva indossato la tiara, intendeva incrementarla: a 40 anni, era nel pieno del suo vigore fisico.
E’ proprio quel Giovanni XXIII che Angelo Roncalli ha definitivamente cancellato dalla lista papale, assumendone nuovamente il nome.
Astuto come una volpe e ardito come un pirata, Baldassarre Cossa approfitta dell’assenza di Gregorio XII, rifugiato a Rimini; con una banda di avventurieri di ogni tipo marcia su San Pietro. Roma è sua e lui è il papa.
In realtà, non cambia nulla: i papi sono sempre tre (Benedetto XIII, Gregorio XII e Giovanni XXIII). Uno vero e due falsi o tutti e tre falsi? E chi lo sa! L’unica cosa certa è che almeno due di loro (Benedetto XIII e Giovanni XXIII) sono dei bei gaglioffi da forca! Questo non c’entra nulla con la legittimità della loro investitura, ma è probabile che abbia esercitato un peso nelle decisioni della storia, che ha scelto per papa Gregorio XII, relegando gli altri due al ruolo di antipapi.
A questo punto, l’artista che ha disegnato i “vaticinia di Nostradamus” inserisce l’immagine del monaco con la falce (n. 24), facendola correttamente seguire a quella delle tre colonne. Tuttavia, per spiegarla, dobbiamo aspettare la conclusione delle vicende di Baldassarre Cossa.



…segue…

giovedì 26 giugno 2014

Graal: storia e mito (6)

Per ragioni ignote, l’oggetto della nostra ricerca viene chiamato “Graal”. Inizialmente, però, la questione deve essere stata piuttosto confusa, tanto è vero che Chrétien de Troyes ricorre indifferentemente a nomi diversi, anche se simili: Gréail, Graal, Grail, Gréal. Eschenbach e Boron, invece, sembrano prendere coscienza del significato cabalistico della parola: “Gral” per il primo e “Graal” per il secondo. E’ impossibile dire se tale significato sia solo il frutto di una straordinaria coincidenza o di una espressa volontà; è tuttavia probabile che non sia sfuggito ai due scrittori. Infatti, come vedremo, “Graal” assegna alla parola una connotazione cristiana che “Gral” non ha.
Del resto, che esista una evoluzione del concetto, parallela ad una evoluzione della parola, è testimoniato anche da un grande narratore del Graal, Nostradamus, nella quartina X,72 (cfr. “Il vero codice di Nostradamus”):

L’an mil neuf cens nonante neuf sept mois
Du ciel viendra un grand Roy deffraieur
Resusciter le grand Roy d’Angolmois

Non ripeto qui ciò che può essere verificato nei miei precedenti lavori. Ricordo solo che il primo verso “decodificato”, con la sua data apparente di 1999 e sette mesi, dice solo che si sta parlando del “Grande Monarca”, la cui attesa ha dominato tutto il medioevo e sopravvive tuttora.
La leggenda di questo Grande Monarca, che meriterebbe un discorso a parte, ha finito con l’essere strettamente legata alla questione del Graal, proprio per quel fenomeno che tende a far ruotare qualsiasi mistero irrisolto attorno a questo favoloso oggetto.

Come sappiamo bene dai numerosi esempi mostrati in passato, un metodo adottato da Nostradamus con ricorrenza è quello dell’anagramma che, all’interno di un verso, sintetizza l’intero significato della quartina.

Ebbene, anagrammando parte del terzo verso (…usciter le grand roy…), si ottiene “roy crestien du Gral”, cioè “re cristiano del Gral”. Non scandalizzi la forma “crestien”, perfettamente consentita dallo stile del francese arcaico di Nostradamus. 
Se il veggente sente il bisogno di specificare che esiste un “re cristiano del Gral” (cioè il Grande Monarca del primo verso “decodificato”), allora si può dedurre l’esistenza di un parallelismo non cristiano.  
Acquista quindi ulteriore forza l’idea, portata avanti finora, di due concetti di Gral: uno ateo e  uno cristianizzato o, più propriamente, uno egocentrico ed uno cristocentrico. Stiamo per vedere come il ricorso alla Cabala, e in particolare alla Gematria, ne fornisca conferma.

…segue…

lunedì 23 giugno 2014

Papi e vaticinia (seguito)

Ne sotterra tanti, Benedetto XIII. Morto nel 1404 Bonifacio IX (immagine 20 dei “Vaticinia di Nostradamus”), vengono eletti, in successione, Innocenzo VII (immagine 21 dei vaticinia) e Gregorio XII (immagine 22 dei vaticinia). In effetti, in quanto eletti da cardinali illegittimi, nominati a catena dai successori illegittimi dell’illegittimo Urbano VI, questi papi dovrebbero essere antipapi, mentre l’antipapa spergiuro Benedetto XIII, l’immortale, dovrebbe essere il vero papa. La storia, però, ha deciso al contrario.

La matassa è ormai così intricata che nessuno riesce a scioglierla. Benedetto XIII non può più contare su nessuno. Comincia a vagare di porto in porto in cerca di alleanze. Le galere (le navi, non le prigioni) diventano la sua casa: lo chiamano “il papa del mare”.

Per fare un po’ di pulizia,  nel 1409 un autoconvocato concilio di Pisa destituisce sia Benedetto XIII che Gregorio XII. E’ solo un atto di forza, accompagnato da qualche borsa piena di monete d’oro per ungere qualche coscienza, visto che in effetti nessuno ci capisce più niente.
Subito dopo, si riunisce un conclave dal quale esce papa Alessandro V, oggi considerato antipapa. Eminenza grigia di tutta la congiura è il cardinale Baldassarre Cossa, il futuro Giovanni XXIII, che non è né prete e né, tanto meno, vescovo. Intanto comincia a preparare il terreno per se stesso.
Naturalmente, nessuno  accetta la decisione del concilio e, così, i papi e gli antipapi diventano tre (Benedetto XIII, Gregorio XII e Alessandro V). Dov’è l’asso… dov’è l’asso? Sono sicuro che proprio allora nacque il gioco delle tre carte.
Il vignettista dei vaticinia di Nostradamus li ricorda così (immagine 23):



Poiché il senso della misura non è da tutti, History Channel e Ottavio Cesare Ramotti (the highly speculative italian writer Ottavio Cesare Ramotti, per dirla con Wikipedia, versione inglese) ci “spiegano” che Nostradamus, ossessionato dalle “visioni” della futura rivoluzione francese (adesso capisco perché era sempre così irritabile con la moglie Anne) con questa immagine avrebbe inteso rappresentare l’uso della ghigliottina (la lama impugnata da una mano) per la decapitazione del re Luigi XVI e della regina Maria Antonietta. Personalmente non vedo bene la regina, mentre mi sembra di vedere, al centro, il busto di un monaco; bisogna che mi rassegni a inforcare gli occhiali che l’oculista mi ha prescritto.

Vedo però che quest’altra immagine, dalla quale il vignettista dei vaticinia di Nostradamus potrebbe aver copiato senza probabilmente capire, dà la rappresentazione autentica.


La lama non è una lama, ma una luna, simbolo del cognome di Benedetto XIII (Pedro de Luna). E uno.
La scritta in alto dice: “Dominus Petrus de Candia [cognome di Alessandro V] deinde Alexander V papa”. Alessandro V, che proviene dall’ordine dei francescani, è la figura del monaco che sta in mezzo. Meno male, non è la mia cattiva vista che mi fa vedere un frate anziché la regina di Francia. E due.
L’ultimo è Gregorio XII, il papa “romano”, il papa-re (con la corona), in opposizione al papa di Avignone. E tre.

…segue…

venerdì 20 giugno 2014

Graal: storia e mito (5)

Venuti a contatto con mistici e cabalisti della Terra Santa, i Templari mescolano una gnosi mediorientale alla loro originaria cultura cristiana; questo è esattamente ciò che intendo per “cristianizzazione del Gral”: una rielaborazione del processo di auto-rigenerazione dell’uomo (Gral), che si esternalizza e comincia a ruotare intorno alla figura di Cristo (Graal).

Resta un dubbio: i Templari si limitarono a portare in Europa la semplice cristianizzazione della gnosi mediorientale, da sovrapporre a una gnosi locale preesistente, oppure introdussero di sana pianta delle nuove conoscenze?

Molti indizi indurrebbero a propendere per la prima ipotesi. Sembra, ad esempio, che la leggenda di Chrétien de Troyes abbia origini celtiche e che solo con Eschenbach e ancor più con Boron acquisti connotazioni cristiane. Purtroppo, non potendo essere dato per scontato che tutti loro fossero consapevoli di ciò che scrivevano, non può essere preso per oro colato il contenuto (quello sostanziale, non quello formale) dei loro racconti.
René Guénon, giustamente, si pone il problema di capire se questi scrittori non siano stati semplicemente lo strumento, più o meno consapevole, di una organizzazione iniziatica che li abbia scelti per via delle loro doti poetiche e letterarie. Per esempio, anche se la questione non può essere accettata in maniera inappellabile, è evidente che il senso mistico del racconto sia meno evidente in Chrétien de Troyes che in Eschenbach e in Boron.

Una volta cristianizzato, il Gral, inteso come presa di coscienza della scintilla divina di ogni uomo, diventa salvezza cristiana che si attua con il sacrificio di Cristo attraverso l’Eucaristia, alla quale è automaticamente associato il Sacro Calice. Da qui ad identificare il Graal con una coppa il passo è breve. L’altro elemento associato al Graal è il sangue nel quale, secondo tutte le tradizioni religiose, risiede la vita. Ed è proprio il sangue, simbolizzato dal vino, che Gesù invita a bere. La migliore interpretazione viene data dal Vangelo di Filippo che, con riferimento a Gesù, dice: La sua carne è il Logos e il suo sangue è lo Spirito Santo.

Non mi soffermo oltre sulla questione del sangue, perché in passato abbiamo affrontato l’argomento in dettaglio. Mi preme invece sottolineare come, da una originaria dottrina egocentrica[1] di salvezza, alla quale è stata data il nome di Gral, sia stata rielaborata una salvezza cristianizzata, esoterica e diversa da quella rituale, che ha assunto il nome di Graal.

A questo punto dovremmo studiare l’etimologia della parola ma, francamente, lo ritengo un esercizio inutile, che non conduce a nulla. Diciamo solo che l’ipotesi pre-cristiana più accreditata è che “Gral” e “Graal” derivino dal latino medievale “gradalis” (piatto), con riferimento al Graal-vassoio di Chrétien de Troyes. L’ipotesi post-cristiana, invece, propende per “Sang real” (sangue reale), poi trasformato in “San Greal” e, progressivamente, in “San Graal” e “Saint Graal” o “Santo Graal”.
Lo studio della parola, però, presenta un aspetto cabalistico mai portato alla luce ed al quale solo io ho già accennato nei libri “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal” e “Malachia: la profezia dei papi”.
Forse è giunto il momento di affrontarlo compiutamente, verificando come proprio i termini “Gral” e “Graal” assumano, rispettivamente, una prospettiva egocentrica ed una Cristocentrica. Sarà questo un tassello che, pur non potendo essere considerato definitivo, imprimerà a tutto il ragionamento portato avanti finora una forte impronta di conferma.

…segue…



[1] Intesa non nel senso negativo del termine, bensì come processo di autosufficienza.

martedì 17 giugno 2014

Papi e vaticinia (seguito)

Abbiamo accennato a quella bella gente che popola l’Università di Parigi ai tempi del nostro racconto.
Bene! Che fa questa gente? Decide che Bonifacio IX (papa romano) è stato eletto da cardinali illegittimi, nominati da un papa illegittimo, che non potevano indire un conclave legittimo.
Perciò, Bonifacio IX deve andare via. Per non far torto a nessuno, e per dimostrare che loro stessi, nonostante la loro umile saggezza, sono al di sopra della Chiesa, i teologi parigini decidono che anche Clemente VII (papa avignonese) deve andar via. Si faccia poi un nuovo concilio e si elegga un nuovo papa.
La decisione viene comunicata al giovane re pazzo Carlo VI, che dapprima la respinge e poi, convinto dal tutore Filippo l’Ardito, la ratifica. Una delegazione si presenta a Clemente VII che strilla, minaccia, dà di testa, rifiuta di lasciare. Lui è il vicario di Cristo! Come ci si permette di mandarlo a casa?
E’ consentito perfino crocifiggere Cristo, ma il suo vicario non si tocca, parbleu (perbacco)! Una cosa inaudita!  Di lì a poco, divorato dalla collera, Clemente VII rende l’anima a Dio. A dire il vero, a chi abbia reso l’anima non lo so per certo.

Fuori uno, direte! Adesso tocca a Bonifacio IX. Eh no! Troppo facile! Non è così che funzionano le vicende umane. Se non hanno un papa da contrapporgli, come faranno i teologi francesi a costringere Bonifacio IX ad abdicare? Le loro menti già machiavelliche, anche se Machiavelli non è ancora nato, hanno bisogno di una merce di scambio: un papa da eleggere, a condizione che sin dal momento dell’accettazione si impegni ad abdicare quando glielo si chiederà.
Così, mani congiunte e anello bene in vista, in cantilenante corteo, rigorosamente rispettosi delle formule di rito, i cardinali si chiudono in conclave.
Qui la faccio breve, per non annoiare con i bizantinismi ai quali si è fatto ricorso per arrivare a una decisione. Per dirne una, si è pensato perfino di eleggere Bonifacio IX, legittimando di fatto la sua posizione romana. Si è però concluso che, perché egli potesse essere eletto, bisognava che un papa gli togliesse la scomunica che gli era stata lanciata da Clemente VII. Quindi, per eleggere Bonifacio IX, bisognava comunque eleggere prima il successore di Clemente VII, che togliesse la scomunica a Bonifacio IX e che poi si dimettesse per consentire di rieleggere lo stesso Bonifacio IX. Elementare, Watson!
Alla fine, la scelta cade sull’ambizioso Pedro de Luna, cardinale di Aragona, che assume il nome di Benedetto XIII e giura sul Vangelo in merito alla sua disponibilità a rinunciare. Invece, nessuno riuscirà mai a togliergli il seggio, ad eccezione di sorella Morte, sopraggiunta alla veneranda età di 99 anni (del papa, non della morte), dopo 29 anni di pontificato. Non riesce a sloggiarlo la sottrazione di obbedienza pubblicata dal re nel 1398, a seguito della decisione del sinodo francese; non riesce a sloggiarlo l’assedio militare del suo palazzo di Avignone; non lo sloggia la decisione del concilio di Costanza, la cui autorità non verrà mai riconosciuta da Benedetto XIII.


… segue…

sabato 14 giugno 2014

Graal: storia e mito (4)

Il mito del Graal, abbiamo detto, è un mito molto antico che, nel corso dei millenni, ha perso la sua identità, diventando molte cose ed assumendo le forme più disparate. Soprattutto, si è cristianizzato. La stessa metamorfosi della parola “Gral” in “Graal” non è quasi certamente casuale. Prima di studiarla, cerchiamo di capire come possa essere avvenuta questa cristianizzazione, un fenomeno che sembra in qualche modo legato alle vicende dei Cavalieri Templari, adoratori di Baphomet.

In Terra Santa, questi monaci guerrieri vengono a contatto con la cultura islamica e si accorgono di non avere a che fare con rozzi beduini, ma con gente illuminata, alle cui conoscenze l’occidente deve moltissimo. Il Sufismo, in particolare, altro non è se non quella via di ricerca interiore che, al di là delle sue specificità culturali e locali, costituisce fattore comune di tutte le forme di autorealizzazione spirituale: esattamente quel millenario segreto noto anche in Estremo Oriente e che, in occidente, prenderà il nome di Graal.
Contemporaneamente, i Templari prendono contatto con la cabala ebraica che custodisce il medesimo segreto e che, con il suo albero della vita, rende più accessibile alla mentalità occidentale lo spirito della ricerca interiore. Il fatto stesso che questo albero coi suoi sette livelli (Malkuth, Yesod, Hod e Netzach, Tiphareth, Geburah e Chesed, Binah e Chokmah, Kether) possa essere disegnato rende in qualche modo visibile e comprensibile il percorso di crescita. Non sfugge certamente il parallelo con il corpo spirituale indù e i suoi sette chakra. Forse è proprio l’albero della vita, e non i chakra, che Arnoldo Wion ha in mente quando dà alle stampe la sua profezia dei Papi, attribuendola a Malachia; non lo sapremo mai, ma il risultato non cambia (cfr. Malachia: la profezia dei papi).
Imbevuti di queste dottrine, i Templari diventano adoratori della conoscenza e, rispettando i rituali crittografici di tutte le scienze occulte, le cambiano nome, chiamandola “Baphomet”.
Il “segreto” è spiegato nel mio libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”. Lo riepilogo sinteticamente.
Un’antica tecnica cabalistica (Atbash) prevede la sostituzione della prima lettera dell’alfabeto ebraico con l’ultima, della seconda con la penultima e così via.
Ricordando che la scrittura ebraica procede da destra verso sinistra, la parola "Baphomet" viene scritta come:

tav mem vav pe beit
T    M    O    Ph    B
(B Ph O M T = Baphomet)

L’applicazione del cifrario Atbash richiede la sostituzione della lettera “tav” con la lettera “aleph”, della “mem” con la “yod”, della “vav” con la “pe”, della “pe” con la “vav”, della “beit” con la “shin”. In tal modo, sempre da destra verso sinistra, si ottiene:

aleph yod pe vav shin
A    I    Ph    O    Sh
(Sh O Ph I A = Sophia)

I Templari, quindi, sarebbero stati degli gnostici, adoratori della “Sophia”, cioè della “Sapienza”.

…segue…

mercoledì 11 giugno 2014

Papi e vaticinia (seguito)

Ho l’impressione di essermi ficcato nella parentesi della parentesi della parentesi di non so quante parentesi. Ma gli intrecci sono tanti e una cosa tira l’altra.
Da quando studio le profezie e fatto salvo ciò che segue, non ne ho mai trovata una, dicasi una, neanche biblica, che possa essere oggettivamente considerata veritiera: o è sbagliata, o è incomprensibile, o è adattata, o è stata redatta post eventum.

Pierre d’Ailly (1350-1420) è stato autore di un’enciclopedia geografica, la “Imago Mundi”, studiata da Cristoforo Colombo in preparazione della sua impresa.
A me il personaggio interessa in modo particolare perché ha scritto le uniche profezie alla cui precisione non riesco a dare una spiegazione convincente, se non attribuendole al caso. E questo non mi piace, perché il rifugio nel “caso” è l’ultima chance per giustificare, senza spiegare, quello che non si capisce. Tra l’altro, una sua profezia è poi stata ripresa papale papale da Richard Roussat e, un po’ modificata, da Nostradamus, che era bravissimo, geniale, lo ammiro per alcuni aspetti ai quali sto dedicando gran parte della mia vita, ma di suo non prevedeva neanche il tempo da lì a un’ora.
Nella "Concordantia astronomie cum theologia", d'Ailly ha previsto per il 1789 "numerose e straordinarie alterazioni e mutazioni nel mondo, soprattutto per quanto riguarda le leggi e le sette".
Sappiamo bene che uno degli eventi più notevoli che la storia ricordi si è verificato proprio nel 1789, anno della presa della Bastiglia e dell'inizio della Rivoluzione francese. Si può sicuramente convenire che si sia trattato di una svolta epocale non solo per la Francia ma, per i suoi effetti, anche per l'intera umanità. Troppo precisa la data e troppo precisi gli eventi, previsti 400 anni prima!
Sicuramente è stato un caso, però resta il fatto che nel 1418, nel “De persecutionibus ecclesiae”, si è ripetuto: “è probabile che, prima che siano trascorsi cento anni da ora, si produca una grande alterazione nelle leggi e nelle sette, particolarmente riguardo alla legge della Chiesa di Gesù Cristo”. Ebbene nel 1517, 99 anni dopo, giusto un anno «prima che fossero trascorsi cent'anni», Lutero dava inizio alla Riforma protestante; una rivoluzione rivolta in particolare alle leggi della Chiesa.

Chiusa parentesi…. Anzi no, aspettate un attimo.

Tra gli eminenti parrucconi dell’Università di Parigi, con tonache nere, enormi colletti bianchi e cappelli ridicoli, fronte unta di materia grigia che trasuda da tutti i pori, c’è anche Pierre Cauchon che, qualche anno dopo, sarà a capo del processo che condurrà al rogo Giovanna d’Arco.
Insomma, tutta gente semplice, umile, timorata di Dio, che non conosce la parola “ipocrisia”. Avete presente, ancora una volta, i nostri politicanti? Ecco… possiamo fare un confronto giusto per avere un’idea, tenendo conto che i nostri, oggi, sono perfino peggio.
Chiusa la parentesi. Davvero, questa volta!

…segue…

lunedì 9 giugno 2014

Graal: storia e mito (3)

Ancor prima di Eschenbach, il concetto di Graal è divulgato da Chrétien de Troyes il quale, in un’opera incompiuta, rielabora una vecchia leggenda celtica. La storia è per molti aspetti assai simile a quella di Eschenbach; tuttavia, per Troyes, il Graal ha la forma di un vassoio e, soprattutto, è “un Graal”, anziché “il Graal”. Questo lascerebbe supporre che esso non sia un oggetto unico, ma uno tra tanti. Concetto che ben si addice a una “via” da percorrere, nel senso che ogni uomo ha la sua.

In Eschenbach, a differenza che in Chrétien de Troyes, è presente un vago sfondo cristiano: ma si tratta di uno sfondo di comodo, di contestualizzazione, sul quale vengono disegnati i fotogrammi della narrazione. In effetti,  è solo con Robert di Boron, probabilmente contemporaneo di Eschenbach, che il Gral acquista una connotazione decisamente cristiana, incorporando la precedente tradizione e diventando definitivamente “Graal” (con due “a”). Una trasformazione lessicale che forse avviene per caso, ma più probabilmente no. Lo verificheremo presto, scoprendo qualcosa di insospettabile, mai fatta notare da altri.
Intanto diciamo che, per Boron, il Graal è la coppa nella quale Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù crocifisso. Osserviamo, con l’occasione, che il sangue costituisce elemento integrante sia del “Gral” che del “Graal”, accanto al quale appare sempre una lancia sanguinante.

Con Boron, il Re Pescatore, già figura del Bodhisattva orientale, diventa immagine del Cristo che salva il mondo con la sua sofferenza e morte. Ma qui comincia l’apparente confusione.
Nell’ordinaria concezione evangelica, infatti, il cristiano si salva solo con la fede, mentre l’atto espiatorio, necessario e sufficiente, è il sacrificio di Cristo.
Nella visione graalica, invece, il Parsifal di Boron, alla pari del Parzival di Eschenbach, è tenuto a compiere il proprio percorso di salvezza mediante una eroica attività di progressiva crescita personale. E non deve sbagliare: la semplice omissione della domanda sul significato del “Graal” ne denuncia l’immaturità e gli impone di ricominciare daccapo.
Boron evidenzia così, con grande nitidezza, il contrasto tra la Chiesa cristiana esoterica (“la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”[1]), basata su una conoscenza da acquisire attivamente, e la chiesa exoterica (“tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”[2]), basata sui riti e sulla fede passiva. Per la verità, non è necessario che l’una escluda l’altra; tuttavia la possibilità di coesistenza, più che una facilitazione, è un ostacolo quasi insormontabile, imponendo l’ardua ricerca di una compatibilità tra le due. E’ probabile che, se realmente esiste, la Chiesa graalica “viva” segretamente all’interno della Chiesa petrina, dalla quale viene disconosciuta.[3]
In entrambi i casi, il suggestivo riferimento alla “pietra graalica” (“lapis ex coelis” o “lapis exilii” che sia) sorge spontaneo. E ancor più suggestivo è probabilmente il collegamento con la “pietra filosofale” degli alchimisti, che trasforma in uomo celeste l’uomo terreno: il noto “solve et coagula” interiore corrisponde alla dissoluzione e alla rigenerazione di se stessi per il conseguimento dell’illuminazione divina.
Giunti a questo punto bisogna fare un piccolo sforzo per non lasciarsi sopraffare dalla sensazione, abbastanza naturale, che si stia facendo un minestrone di molti ingredienti. In realtà, tutto ruota intorno ad un mistero unico, che assume sembianze diverse in relazione al narratore, alla sua cultura ed all’evoluzione dei tempi.

…segue…


[1] Nella predicazione di Gesù, un’affermazione del genere ha un senso eccelso, che qui non è il caso di approfondire.
[2] E’ impossibile che Gesù abbia detto una frase del genere per il semplice motivo che, essendo un apocalittico, convinto di un imminente arrivo del regno dei cieli, non aveva alcuna intenzione di fondare una Chiesa. Peraltro non è pensabile che, stanco delle istituzioni religiose ebraiche, intendesse costituire delle organizzazioni analoghe. Infine, questa intenzione è presente solo in Matteo e non anche negli altri tre evangelisti.
[3] Qui bisognerebbe fare una distinzione tra la chiesa Giovannea, basata sul Vangelo esoterico del misterioso Giovanni, uomo colto e di grande intelligenza al quale Gesù trasmette insegnamenti esoterici, e la Chiesa “ordinaria” dei Vangeli sinottici, tramandata da apostoli rozzi e semplici, in grado di comprendere al massimo insegnamenti rituali exoterici. L’argomento delle due Chiese è stato già trattato in passato. Ho in programma di riprenderlo in futuro in forma organica e completa.

sabato 7 giugno 2014

Papi e vaticinia (seguito)

A Urbano VI segue dunque Bonifacio IX che, tenuto conto dei costumi dell’epoca, non è un cattivo papa: come politico, intendo… sorvoliamo sulla religiosità. Ha solo un difettuccio: l’attaccamento a genitori, fratelli, nipoti, cognati, cugini, compari, comari e amici: è un grande cultore di quell’affetto familiare che va sotto il nome di “nepotismo”, cioè di favoritismo alle persone più vicine. Un uomo all’avanguardia, che si comporta proprio come i politici di oggi. O, forse, è solo un uomo dei suoi tempi e sono i politici di oggi ad essere all’antica. Comunque sia, il vignettista dei vaticinia lo raffigura in compagnia di orsetti, ai quali dedica la sua attenzione e dei quali si circonda.


Perché proprio gli orsi? Le vignette hanno una lunga storia alle spalle, tutta documentata! Altro che previsioni del futuro. Questa, in particolare, era stata creata all’origine per rappresentare Niccolò III, altro grande nepotista di cognome “Orsini”; gli orsetti alludevano proprio al suo cognome. Poi è passata a designare Bonifacio IX ed a Niccolò III ne è stata dedicata un’altra simile.

Due Papi, Clemente VII ad Avignone e Bonifacio IX a Roma. In Francia, ove regna lo schizofrenico Carlo VI, entra in gioco l’Università di Parigi che, con le belle (sic!) coscienze che la popolano, decide di rimettere le cose a posto. Si sa che, da che mondo è mondo, dove c’è confusione (e anche dove regna l’ordine) c’è sempre una élite che si agita, per fare le cose a modo suo. Questa élite, nel caso specifico, è costituita da altissime autorità teologiche con grande influenza sul mondo cattolico. Il cancelliere è nientemeno che Pierre d’Ailly. Se uno non conosce il personaggio, quel “nientemeno” non gli dice nulla; per questo apro una parentesi.

…segue…

mercoledì 4 giugno 2014

Graal: storia e mito (2)

Come ho scritto la volta scorsa, il Graal è un mito antico, antecedente al cristianesimo.
Qualcuno lo identifica perfino con la biblica Arca dell’Alleanza, sebbene questo sia chiaramente un esempio della facile ed abusata tendenza a ricondurre qualsiasi mistero irrisolto al concetto di Graal; addirittura assurda l’associazione che qualcuno ha fatto con la Sacra Sindone.

In realtà, la sua origine trova radici nella stessa creazione dell’uomo. Esso sarebbe una pietra caduta dalla fronte di Lucifero, colpito dall’arcangelo Michele.
Eschenbach, una delle fonti più autorevoli della leggenda, nel suo “Parzival” sostiene che il Gral (con una sola “a”; vedremo che è importante) fu lasciato sulla terra da una schiera di angeli venuti dalle stelle e poi ripartiti. Il suo nome è “Lapsit exillis” ed ha la proprietà di far risorgere la Fenice dalle sue ceneri.  Il significato della parola è ignoto; qualcuno ritiene che il termine corretto debba essere “lapis ex coelis” (pietra celeste); altri preferiscono leggerlo come “lapis exilii” (pietra dell’esilio), con riferimento all’uomo esiliato sulla terra.
In ogni caso, il Gral è un concetto che allude ad una rinascita alle proprie radici celesti (o divine): è appunto il mito della Fenice che risorge dalle proprie ceneri; l’uomo che riconquista la propria origine. Impossibile non vedere l’uomo pellegrino, alla ricerca del paradiso perduto da suo padre Adamo.
Qualunque cosa sia in concreto, il Graal “originario”, non ancora inquinato dalla commistione con leggende ad esso estranee (seppure spesso di grande interesse), è perciò la parola perduta, la conoscenza salvifica primordiale.
Lo stesso simbolismo della pietra caduta dalla fronte di Lucifero ricorda il terzo occhio, o occhio di Shiva, attraverso il quale si accede a una visione trascendente.

Solo se il Graal viene inteso sotto questo aspetto, il Re Pescatore della leggenda può svolgere il ruolo a lui assegnato di uomo sofferente, che non può lasciare questo mondo senza aver trovato un degno erede del Sacro Calice. E’ il mito orientale del Bodhisattva che si sacrifica per la salvezza degli uomini, rinunciando a diventare Buddha senza prima aver trasmesso la fiaccola dell’illuminazione.
Mi sembra che, finora, la figura del Re Pescatore sia stata piuttosto sottovalutata nella ricerca della spiegazione del Graal. Egli è invece uno dei protagonisti principali, sempre presente sullo sfondo, che non può essere ignorato a beneficio di spiegazioni di comodo.
Egli incarna il mitico vincolo della trasmissione della parola iniziatica da maestro a discepolo; quest’ultimo non la può conquistare senza un aiuto dall’esterno,  preceduto da un personale e doloroso processo di ricerca, esattamente come accade a Parzival che, anzi, deve addirittura ricominciare quando il maestro, il Re Pescatore, non lo ritiene ancora pronto ad accogliere la conoscenza.
Il Re Pescatore, dunque, è anche giudice: quel giudice tremendo che, nell’ultima profezia di Malachia (cfr. il libro “Malachia: la profezia dei papi”) giudica il suo popolo dopo che la città dei sette colli è stata distrutta. E’ fin troppo evidente il riferimento alla dissoluzione del corpo materiale e ai sette chakra. Se, al riguardo, vi state domandando chi sia allora Petrus Romanus, vi dico subito che egli è l’ultimo pontefice e vi ricordo che la parola “pontefice” viene da “pontem facere” (fare il ponte – tra uomo e Dio). L’ultimo ponte[fice], dunque, è l’ultimo ponte che unisce l’uomo inferiore all’uomo divino. Guénon affronta compiutamente il simbolismo del ponte che, steso tra le due rive di un fiume (vi dice niente l’acqua che scorre?), unisce simbolicamente il cielo alla terra. Spesso, pur avendo la verità sotto gli occhi, tentiamo di acchiappare le lucciole anziché le lanterne.
Mi rendo conto di correre troppo ma, per cominciare a sollevare almeno un lembo del velo che copre il Graal, bisognava prima chiarire bene il ruolo di Parzival e quello del Re Pescatore.

…segue…

martedì 3 giugno 2014

Papi e vaticinia (seguito)

Urbano VI a Roma e Clemente VII ad Avignone. Chi è il papa e chi l’antipapa?

La storia ha dato il suo verdetto! Urbano VI, eletto irregolarmente, è stato riconosciuto papa; invece Clemente VII, eletto secondo i formalismi di rito, è stato considerato antipapa.

Guerre contro il regno di Napoli; saccheggi dei beni delle chiese e dei prelati; incarcerazione, tortura ed uccisione di cardinali, i cui cadaveri vengono perfino cosparsi di sale e messi ad essiccare: sono queste le caratteristiche del pontificato di Urbano VI, sotto il quale ha inizio il grande scisma.
Rancoroso, pieno di odio e di una crudeltà inenarrabile, privo di legittimità, si spegne nel 1389: nessuno lo rimpiange.

Gli artisti che dipingono i vaticinia, immediatamente di seguito all’immagine del precedente papa Gregorio XI,  lo rappresentano come anticristo, un mostro al quale danno il nome di “bestia terribilis”.


  
Anche History Channel vi vede l’anticristo ma, tanto per non abbandonare “l’effetto brivido”, nel suo filmato-burla ci contrabbanda l’anticristo degli ultimi tempi, destinato a dominare il mondo subito prima che venga distrutto dalle fiamme.

Prima di morire, Urbano VI ha appena fatto in tempo a nominare nove cardinali che, sommati ai cinque rimasti, costituiscono un Collegio appena presentabile, che elegge al suo interno Bonifacio IX, al secolo Pietro Tomacelli.
La successione, però, è inquinata. Urbano VI, papa illegittimo, nomina dei cardinali che non potrebbe nominare. Costoro eleggono un nuovo papa che non potrebbero eleggere. Tuttavia, visto che Clemente VII viene considerato antipapa, allora Bonifacio IX diventa automaticamente il papa legittimo che succede al legittimo Urbano VI, che in realtà è illegittimo. E’ stata la storia ad avallare questo stato di fatto, non io.


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