Tecniche di Nostradamus

lunedì 29 aprile 2013

Le tre Parche


Come ho detto, la fase iniziale delle mie ricerche su Nostradamus era caratterizzata dalla scelta di un “tema” e dalla ricerca di ciò che sembrava ruotare attorno ad esso.
Partendo da un tema “A”, trascrivevo una quartina che ritenevo particolarmente rappresentativa. Attorno ad essa scrivevo, come fossero i petali di un fiore, le quartine che mi sembravano collegate.
Di tanto in tanto mi imbattevo in un tema “B”. Partivo, allora, con la formazione di un nuovo fiore. Prendevo cantonate tremende, delle quali non mi rendevo pienamente conto, ma che percepivo. Ad esempio, mi veniva spontaneo associare Napoleone o Hitler alla seguente quartina (I,76),  che commenterò presto, dimostrando che Napoleone, Hitler et similia in realtà non c’entrano per nulla.


 Con un tale nome feroce sarà chiamato,
Il nome che le tre sorelle avranno per fato:
Poi grande popolo per lingua e fatto condurrà,
Più di ogni altro avrà fama e rinomanza.

Quando scopriranno di che si tratta, coloro che hanno letto i miei precedenti lavori probabilmente si daranno una pacca sulla fronte esclamando: “Come ho fatto a non capirlo da solo!”. Gli altri, quelli che non hanno una visione completa, considereranno una forzatura la mia spiegazione. E tale sarebbe sembrata a tutti se l’avessi fornita un paio di anni fa. Intanto, se qualcuno avesse voglia di provare da solo, gli suggerirei di concentrarsi sul “nome delle tre sorelle del fato”: le Parche. La “chiave” è lì.

Questo è esattamente il nocciolo dell’argomento che stiamo trattando, sulla spinta delle osservazioni del mio amico: spesso non sono le mie risposte ad essere incomplete o imprecise; di solito è la percezione ad esserlo. I tentativi di superare questo ostacolo possono apparire come approssimazioni o forzature a coloro che non possiedono tutti gli elementi di valutazione. Quello che voglio dire sarà più chiaro quando esamineremo la succitata quartina e, soprattutto, quella della presunta “Compagnia di Gesù”.
Per il momento, torniamo alla mia formazione su Nostradamus, che rientra a pieno titolo nella nostra questione. 

giovedì 25 aprile 2013

Come tutto è cominciato


Avevo una ventina di anni quando mio fratello, di un paio d’anni più giovane, comprò un libro su Nostradamus, che gli "sequestrai" subito in cambio di non ricordo cosa.
Incuriosito da quel personaggio del quale conoscevo appena il nome, cominciai a divorare pagine su pagine; man mano che leggevo,  cresceva “l’invidia” nei confronti dell’autore del libro, il quale sosteneva di aver trovato la “chiave di Nostradamus”.
Ben presto però, superato “l’effetto novità”, l’invidia ha cominciato a trasformarsi in crescente scetticismo: non verso Nostradamus, ma verso colui che stava tentando di spiegarlo. Era chiaro che costui non aveva trovato assolutamente niente e stava bellamente prendendo in giro i lettori. Da un lato dipingeva Nostradamus come il più grande profeta di tutti i tempi; dall’altro ne banalizzava i versi con le sue ridicole letture.
Certo! C’era il rischio, come molti sostengono tuttora, che Nostradamus si fosse fatto gioco dell’umanità intera. Restava, però, la constatazione obiettiva che i versi, complicati ma logici nella loro incomprensibilità, erano lì a sfidare l’intelligenza del lettore. L’autore del libro, invece, non capiva chiaramente nulla e inventava allegramente, certo che nessuno potesse smentirlo.

C’era un abisso tra il gigantesco “monumento” delle Centurie, impassibili e impossibili, e i balbettii sconclusionati di quel tizio, che mi appariva come un bambino delle elementari alle prese con i versi di Dante. Tra l’altro, trasmetteva profonda antipatia: era supponente, privo di umiltà, spacciava tutto per verità senza uno straccio di prova.
Il suo metodo era ingenuo e banale: da una parola deduceva un intero contesto e non viceversa. Spesso, troppo spesso, direi sempre, le spiegazioni erano sfacciatamente forzate e inconcludenti. Ho scoperto, nel tempo, che questo è un metodo generalizzato anche se il suo, posso dirlo oggi, era uno dei peggiori nei quali mi sia mai imbattuto: un vero e proprio “non metodo”, un’accozzaglia di prodotti di fantasia.
Nonostante tutti i suoi evidenti limiti, e questo è l’aspetto che ci interesserà di più in relazione al nostro punto di partenza (le osservazioni del mio amico), sosteneva di aver trovato la chiave di Nostradamus, all’interno di poche parole che solo lui, diceva, era riuscito a decifrare.

Ovviamente, nessun accenno al funzionamento di questa chiave. Capivo, e condividevo, che un risultato così eclatante dovesse rimanere segreto. Tuttavia, se si decideva di venire allo scoperto, qualche “dimostrazione” della propria credibilità bisognava pur darla. E invece niente! La cosa, del resto, non mi sorprendeva, essendomi ormai formato un’idea precisa sull’attendibilità del soggetto.

Tra l’altro, l’intuizione mi suggeriva che era impossibile che la struttura di un’opera così complessa, inaccessibile per molti secoli,  potesse essere “riassunta” in poche parole “chiave”, come quell’autore sosteneva. Inoltre, già da allora, percepivo che doveva pur esserci una sovrapposizione tra una vera e propria “chiave” di ordinamento delle quartine (di tipo complesso) e un “codice” che permettesse di andare oltre il loro significato apparente. Mettere in ordine le quartine serve a poco, se poi non si riesce a decodificare il vero contenuto.
Per tornare al nostro esempio del post precedente, se vi dicessi che la quartina X,91 è contigua alla I,9, a stento mi credereste, a causa della diversità dei contenuti. Eppure è la verità alla quale dovremo arrivare:

Il Clero Romano l’anno 1609,
Al capo dell’anno farà elezione
Di un grigio e nero uscito dalla Compagnia,
Giammai ci fu qualcuno così malvagio.

Dall’Oriente verrà Punico cuore,
A contrariare Adria e gli eredi di Romolo,
Accompagnato dalla flotta Libica,
Tremano Malta e le vicine isole disabitate.

L’insoddisfazione verso le conclusioni di quell’autore mi ha spinto ad iniziare un lavoro personale di ricerca, nella convinzione che bisognasse muoversi in maniera diversa. Restavo fermamente interessato e convinto del carattere profetico dell’opera di Nostradamus, ma ero altrettanto convinto che dovesse esistere una logica sottostante alquanto complessa, che andasse ben oltre una semplice “chiave”, fondata su un singolo e lineare procedimento, ricavabile da poche indicazioni.
Purtroppo, l’unico metodo “razionale” che riuscivo a concepire era quello di individuare dei “temi” trattati da Nostradamus e di collegare le quartine che ritenevo, soggettivamente, attinenti a quei temi. Negli anni ho scoperto che quello era sostanzialmente il metodo seguito anche dagli altri studiosi che consideravo più “impegnati”, a prescindere dai risultati a cui sono arrivati. Purtroppo, ritenendoli più competenti di me, mi ostinavo nel mio metodo per il semplice motivo che reggeva il confronto con il loro.
Sbagliavo e, in una supposta condizione di inferiorità culturale sull’argomento, continuavo a sbagliare, perché mi muovevo sulle orme di altri che, come so adesso, sbagliavano più di me.




martedì 23 aprile 2013

Riflessioni sul "codice Nostradamus"


Come potete dedurre da soli dall’assenza di commenti, le reazioni a questo blog non sono numerose. Mi sfugge, perciò, la percezione di quanto sia realmente seguito e dell’interesse che riscuote.
Le statistiche degli accessi mi dicono poco, perché non è possibile distinguere quanti siano i visitatori occasionali reindirizzati dal motore di ricerca di Google e quanti i visitatori permanenti.

Così, qualche giorno fa, solo per orientamento e senza alcuna pretesa di prendere come parametro di sondaggio l’opinione di una sola persona, ho chiesto a un amico che segue il blog di manifestarmi sinceramente il suo parere.
Egli mi ha dato una opinione articolata; mi aspettavo una risposta generica, di scarso valore statistico, e mi sono ritrovato con alcuni spunti che mi hanno fatto riflettere.
In sintesi, se ho ben capito, mi ha detto: “Sì, la cosa mi interessa. Però ti tiri spesso indietro sul più bello… E questo è insoddisfacente e stancante”.

Potrei tirare in ballo la solita e sempre valida questione del rispetto della volontà dell’autore. Se egli avesse voluto diffondere le centurie ai quattro venti si sarebbe comportato diversamente.
E potrei anche tirare in ballo il mio desiderio di non permettere a un qualsiasi profittatore, e il mondo ne è pieno, di mangiare gratis un pasto che non gli appartiene.
Queste, però, sono cose note e scontate. Adesso voglio fare un discorso di tipo diverso.

Chiunque si accosti a Nostradamus lo fa spinto dal desiderio di sapere cosa ci riserva il futuro: lo fa più o meno convintamente, come per la lettura degli oroscopi, ma lo scopo è quello. Questo spirito è sbagliato; e non sono solo io a dirlo, ma i fatti analizzati obiettivamente.
Non vi dico quanti libri su Nostradamus contiene la mia biblioteca. Tutti gli autori pensano di avere scoperto la chiave per leggere il futuro, però non ce ne sono due che dicano le stesse cose; evidentemente, nessuno ha trovato un bel nulla. In compenso, tutti si arrampicano sugli specchi per convincere gli altri, e forse se stessi, con intrecci di ragionamenti sconclusionati e ridicoli.
In realtà non potranno trovare mai nulla, finché non si decideranno ad indossare delle lenti speciali, per la lettura del “codice” adottato da Nostradamus.

Apriamo perciò una parentesi che chiarirà molti aspetti di fondo, per concludersi con la spiegazione della quartina più gettonata di questi ultimi tempi, la X,91, che viene riferita all’elezione di Papa Francesco:

Il Clero Romano l’anno 1609,
Al capo dell’anno farà elezione
Di un grigio e nero uscito dalla Compagnia,
Giammai ci fu qualcuno così malvagio.

Nell’articolo “Habemus Papam” ho sostenuto velocemente che questa non è una quartina profetica, ma di struttura. Per l’esattezza, ho scritto:

Quello che posso dire è che questa quartina non riguarda affatto un Pontefice, né Francesco I e né altri. L’anno dell’elezione, da solo, denuncia la presenza di un “codice” di struttura. Può darsi che in futuro sorga l’occasione di parlarne.

Adesso ho deciso di spiegarla, perché questa è una quartina “difficile”, che ci darà modo di riflettere insieme sulle opinioni espresse dal mio amico.

Conoscete già il mio metodo: attaccarsi a una parola (nel caso specifico “Compagnia”, normalmente intesa come “Compagnia di Gesù”) per estrapolare un significato complessivo è dimostrazione di incompetenza e, a volte, di ciarlataneria. Avete visto dalle mie dimostrazioni che ogni quartina richiede studio, ricerca, riflessione, confronti e collegamenti.
Anche per spiegare la quartina X,91 che, come ho detto, è piuttosto difficile, dobbiamo passare per diversi argomenti preliminari.


domenica 21 aprile 2013

Wojtyla ed io - 4


Non so come avevo fatto a portarmi in prima fila; a pensarci adesso, mi sembra che avrebbe dovuto essere impossibile, ma in qualche modo c’ero riuscito. Ero rimasto lì proprio per questo e non avevo fallito l’obiettivo.
Ricordo ancora, in maniera vivida, il calore di quella mano: bruciava, quasi scottava, ed era molto debole. Forse il Papa aveva la febbre o, forse, quella era la sua temperatura normale, che normale non era. Curvo nella sua evidente sofferenza, mi è sembrato molto più fragile di quanto mi fosse mai apparso in televisione; le vecchie ferite dell’attentato, la malattia, il peso degli anni, sembravano essersi coalizzati per fare di quell’uomo la rappresentazione vivente della sofferenza fisica.
Tutto questo mi ha colpito profondamente, trasformando di colpo il mio atteggiamento dubbioso nei suoi confronti in un atteggiamento di solidarietà e di condivisione delle sue pene.
Lo guardai negli occhi, cercando quasi di leggervi dentro le sue angosce e le risposte ai miei dubbi. Ma non vidi nulla… se dicessi che i suoi occhi erano spenti direi una falsità. Altrettanto falsa sarebbe l’affermazione che erano vivi: non lo erano, non erano mobili, non si fissavano su nulla; guardavano ma non vedevano. O, forse, vedevano senza guardare.
Rimasi sconvolto da quello sguardo indecifrabile. In un attimo gli trasmisi telepaticamente le mie perplessità. Passato quell’istante eterno, lui passò oltre, strinse qualche altra mano ed entrò in chiesa.

Assistetti alla funzione, davanti al maxischermo, domandandomi se potessi ritenermi soddisfatto per l’esito del tanto atteso contatto. Mi accorsi che avevo dissolto i dubbi precedenti, o dovrei più esattamente dire che di colpo non mi interessavano più, ma solo per far posto ad altri nuovi: Chi era quell’uomo? Perché si ostinava con le sue visite pastorali, nonostante il peso di così grandi sofferenze? A cosa pensava, se pensava, quando stringeva le mani della gente?

Il tempo passava e alcuni uomini della sicurezza hanno cominciato a spostare le transenne per ricollocarle davanti all’uscita laterale della parrocchia, accanto alla quale si era riposizionata la macchina. Evidentemente era da lì che il Papa sarebbe uscito.
Questa volta non ho dovuto faticare; capito al volo quello che stava per succedere, ho occupato per tempo una nuova posizione, scommettendo con me stesso sulla riuscita di un secondo contatto.
E così è stato. Ancora quella mano calda che ho stretto tra entrambe le mie e, giurerei, l’ombra di un sorriso.

Lo sguardo però, esattamente come prima,  mi ha attraversato per soffermarsi in qualche punto infinitamente distante dietro di me. Sono sicuro che non fosse distacco o indifferenza. Le parole più adeguate che mi vengono in mente sono tuttora le stesse che allora ho usato raccontando l’incontro a mia moglie: “Il Papa era lì e nello stesso tempo non c’era; guardava con gli occhi del corpo ma chissà cosa vedeva con gli occhi della mente”.
C’è voluto del tempo per sapere che non mi ero sbagliato e che altri, più vicini al Pontefice e alle sue confidenze, erano in grado di dare a quello sguardo un significato mistico che io non potevo e non sapevo formulare.

In ogni caso, quel giorno mi sono innamorato di Karol Wojtyla. Probabilmente, senza saperlo, ne ero innamorato già da prima e proprio da questo era scaturita l’esigenza di spazzare via dubbi ed ostilità. Oggi so che quel giorno, pur senza rendermene conto, ho avuto le risposte che cercavo: quando sponsorizzava Solidarnosc contro la bestia sovietica, l’apocalittica Babilonia, il Papa non rischiava nulla, perché sapeva già come sarebbe andata a finire. Era un mistico che vedeva lontano.

°°°

Monsignor Jarek Cielecki, direttore di Vatican Service News: “Gli occhi. I suoi sembravano guardare qualcosa, non erano vagamente persi nel vuoto com’è il nostro sguardo quando preghiamo”.
(Antonio Socci: I segreti di Karol Wojtyla – Rizzoli)

Direi addirittura che nel suo caso non si può neanche parlare di "un uomo di fede", perché la fede è una scommessa, come diceva Pascal; mentre invece il Papa - che peraltro conosce bene il grande filosofo francese, che cita spesso - è posseduto da una certezza. Non ha bisogno di credere: egli vede. Parlando con lui, si ha l'impressione che sia immerso in una sorta di visione.
(Estratto da un'intervista a Vittorio Messori realizzata da Etienne de Moniery e pubblicata da "Le Figaro Magazine" il 2/4/2005)

Sarà il Papa dell’Apocalisse. Non sarà un Papa italiano. Il suo simbolo sarà il tridente.
(Renzo Baschera: Le profezie del ragno nero – Armenia 1972)

Dopo queste cose vidi scendere dal cielo un altro Angelo, con gran potenza, e la terra fu illuminata dal suo splendore. Egli gridò con voce potente: “E’ caduta, è caduta la grande Babilonia! E’ diventata la dimora dei demoni, il covo d’ogni spirito impuro, il rifugio d’ogni uccello immondo e odioso, perché tutte le genti hanno bevuto il vino della sua frenetica lussuria e i re della terra hanno fornicato con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti per l’esorbitante suo lusso!”.
(Apocalisse 18, 1-3)

venerdì 19 aprile 2013

Wojtyla ed io - 3


Nonostante si fosse ai primi di marzo, un sole caldo diffondeva nell’aria una temperatura e un odore di primavera inoltrata. La gente si accalcava da tutte le parti e le transenne venivano spostate di qua e di là; i tetti delle due scuole di fronte brulicavano di poliziotti e, quasi certamente, di cecchini. Un elicottero volteggiava ininterrottamente sulle nostre teste.



La piazzetta antistante la parrocchia, rialzata rispetto al livello stradale e delimitata da inferriate, appariva inadeguata ad ospitare tutta la gente che si accalcava per vedere il Papa da vicino. Ad occupare spazio concorreva in buona parte il camper sul quale era stato montato il maxischermo, necessario a permettere di seguire la funzione religiosa a coloro che non avevano la possibilità di accedere all’interno della chiesa, dove i posti erano stati rigorosamente assegnati sulla base di qualche ignoto criterio selettivo.
Altro spazio era occupato dalle transenne che, ammassate le une alle altre, avevano il solo scopo di impedire l’accesso al poco spazio altrimenti disponibile: “ragioni di sicurezza”, ci veniva detto.

E così, noi poveri disgraziati non raccomandati venivamo ripetutamente invitati dalle forze dell’ordine a non spingere e ad accomodarci nel corridoio esterno dell’adiacente convento di monache. Insomma, come dire che, se vuoi assistere alla partita di calcio, ti puoi accomodare davanti al televisore del bar accanto allo stadio; tanto varrebbe accomodarsi nel salotto di casa propria.

Capisco le esigenze di sicurezza, ma quella era una vera e propria presa in giro, uno show messo in piedi per mostrare la gente all’ignaro Papa, ma non il Papa alla gente. Si potrebbe pensare, a ragione, che io sono insofferente alle ipocrisie e istintivamente portato alla polemica e alla protesta; in compenso, esiste tanta gente tranquilla, disposta a un dialogo più accomodante. Quella mattina però, perfino quella gente, di fronte a una organizzazione che vanificava sfacciatamente la visita del Pontefice al suo gregge, si è di fatto ribellata facendo sentire la propria voce.

In mezzo a un marasma inimmaginabile, ero personalmente dibattuto tra la sopportazione dettata dall’esigenza inquietante di cercare un contatto con il Papa e la reazione istintiva di andarmene.  Fortunatamente, di fronte a quella che minacciava di diventare una reazione collettiva incontrollabile, qualcuno ha pensato bene di liberare la piazzola dagli ingombri inutili e di consentire il libero accesso. Sono rimaste, così, solo quelle pochissime transenne necessarie a delimitare il breve percorso che Giovanni Paolo II avrebbe dovuto compiere a piedi, dall’auto che lo accompagnava, fino all’ingresso della Chiesa: quattro o cinque metri.

Intorno alle ore 10, la macchina è arrivata e ne è sceso Giovanni Paolo II, seguito dal Cardinale Ruini. Una schiera di uomini della sicurezza facevano cordone accanto a lui, ma ciò non gli ha impedito di stringere qualche mano, tra cui la mia.

(…continua…)

mercoledì 17 aprile 2013

Wojtyla ed io - 2


All’epoca, e anche adesso se penso in retrospettiva, mi veniva difficile apprezzare l’appoggio religioso al comportamento rivoltoso di un popolo, ipocritamente strumentalizzato dalle potenze mondiali antisovietiche che, però, si tenevano al riparo all’interno dei loro confini.
Insomma, mi sarebbe sembrato più equo se, proprio al contrario di quanto è effettivamente accaduto, la Chiesa si fosse limitata a un sostegno morale e di solidarietà agli oppressi, lasciando alle potenze temporali il compito di appoggiarli più concretamente con l’intelligence e coi mezzi politici e finanziari. Inoltre, è difficile non vedere un atteggiamento di parzialità in un Papa polacco, padre spirituale di tutta l’umanità,  che agisce nell’interesse del suo popolo di origine, pur in presenza di molti altri popoli ugualmente affamati e oppressi sulla faccia della terra, per i quali nessuno muove un dito.

L’impresa è avvenuta ai tempi dello scandalo dello IOR e di Marcinkus; quindi, con il probabile supporto delle finanze vaticane e, si dice, dell’Opus Dei, elevata da Giovanni Paolo II a prelatura personale nel 1982. Il suo fondatore, il discusso Josemaria Escrivà de Balaguer, è stato canonizzato nel 2002, in tempi piuttosto rapidi rispetto a quelli di una normale canonizzazione. La riconoscenza verso l’Opus Dei è stata uno degli elementi di valutazione della “santità”?

“Non tocca a me giudicare”, mi dicevo quella mattina, mentre aspettavo. Ma è difficile impedire ai pensieri di seguire il proprio corso. Tornando con la mente agli anni ’80, vedevo nel comportamento del Pontefice, capo di tutta la cristianità, una intrusione indebita negli affari interni di un Paese, in sostituzione degli organismi internazionali preposti. Non lo vedevo più, o non solo, come leader religioso, ma soprattutto come leader politico che utilizzava la sua influenza, alimentata dall’universalità dei cattolici, per aiutare il suo Paese.
E questo, pur con ogni simpatia e solidarietà verso il popolo polacco, non mi piaceva.

Per altro verso, il 13 maggio 1981, il Papa era già stato vittima dell’attentato a piazza S. Pietro. Non è mai stato chiarito da chi sia stata armata la mano che ha sparato, appartenente al turco Alì Agca; sono sempre stati forti i sospetti che l’ordine di uccidere sia partito dal lato orientale della cortina di ferro, proprio nel timore che il Papa polacco potesse fornire al suo popolo quel sostegno che poi, effettivamente, ha fornito.
Nonostante le profonde perplessità, non potevo non ammirare quest’uomo che, dopo aver rischiato la vita e nonostante le conseguenze dell’attentato, era rimasto fedele alla sua volontà di combattere il “male assoluto” rappresentato dalla dittatura sovietica. Non potevo non ammirare il leader spirituale che, nonostante le sue sofferenze fisiche e l’età avanzata, continuava a girare per il mondo evangelizzando le genti e animando le giornate della gioventù. Non potevo non apprezzare il carattere solare che manifestava nei contatti con la gente. Non potevo non restare stupito per la forza con la quale si aggrappava alla croce, come un balocco dal quale un bimbo non intende staccarsi. Sollecitato da più parti a dimettersi, per l’aggravarsi della sua salute, aveva deciso di esercitare fino in fondo il suo ministero.

E così, quella mattina, doveva venire in visita alla parrocchia che frequento abitualmente: una piccola parrocchia di periferia, ben felice di accogliere il suo “pastore” che, da parte sua, avrebbe avuto tutto il diritto e tutte le ragioni di risparmiarsi la fatica di un bagno di folla.

(…continua…)

lunedì 15 aprile 2013

Wojtyla ed io - 1





Ero inquieto, quella lontana mattina di domenica, 4 marzo 2001.
Sono sempre stato un uomo piuttosto schivo, a disagio nella confusione, restìo ai formalismi rituali.
Figuriamoci se mai avrei pensato in vita mia di desiderare ardentemente di “toccare” una persona; soprattutto alla mia età. Eppure, quella mattina, provavo questo desiderio irrazionale, assolutamente estraneo al mio temperamento, stupido e puerile sotto ogni aspetto, ma esigente e irreprimibile.

Una contraddizione mi bruciava dentro da anni. La ragione si opponeva all’istinto e non riuscivo a decidere quale sentimento interiore accettare.
Da un lato mi sentivo ostile a quella persona che volevo “toccare”: non mi piaceva quello che aveva fatto. Sapevo che aveva agito per una causa giusta, ma non ho mai creduto che il fine giustifichi i mezzi.
Dall’altro, l’ammiravo. L’ammiravo per il coraggio, per il carisma, per il sacrificio di sé di cui dava prova.
Può sembrare assurdo ma speravo di ricavare una risposta alla mia inquietudine. Speravo infantilmente che il contatto fisico mi aiutasse a fare chiarezza nei miei sentimenti.
Ma andiamo all’origine dei fatti.

Circa duemila anni fa, un giovane Galileo predicava pace e amore in un Paese nel quale i Romani opprimevano la popolazione. Sembra che quel giovane avesse un seguito non proprio di prima scelta: un esattore delle tasse che aveva angustiato tanta povera gente; uno zelota avido e traditore; un pescatore che portava con sé una sica nascosta sotto il mantello. Tutta gente pronta a tradire o a defilarsi, al momento del pericolo, senza preoccuparsi di lasciare solo il proprio leader. E’ chiaro che sto parlando di Gesù e dei suoi apostoli.

Qualche storico sostiene che la motivazione religiosa fosse solo una copertura; al massimo, poteva valere per il Maestro e per qualcuno dei discepoli. In realtà, l’idea accarezzata da alcuni sobillatori prevedeva una sommossa capeggiata da  Gesù, leader carismatico che si proclamava investito di una missione divina: il Messia predestinato a liberare Israele. Questa cospirazione insurrezionale, secondo tale opinione storica, sarebbe stata la vera ragione della crocifissione di Gesù, dal momento che, se la motivazione fosse stata di carattere veramente religioso, i romani non avrebbero avuto titolo per intervenire.

La tradizione cristiana ci racconta tutt’altra cosa: non solo Gesù non si è posto a capo di alcun movimento extrareligioso, ma, a chi gli chiedeva se fosse giusto pagare le tasse, ha risposto con un’affermazione che traccia un solco invalicabile tra il potere temporale e quello spirituale: “Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio “ (Mc. 12,17).

Da cristiano, sono portato a dare fede al racconto del Vangelo, escludendo qualsiasi coinvolgimento politico di Cristo. E, sempre da cristiano, mi aspetto che una Chiesa che proclama il Vangelo cammini sulla scia del suo fondatore. Un atteggiamento diverso, anche se rivolto ad abbattere il tiranno, non sarebbe coerente con il comportamento di Cristo.

Non spetta a me spiegare le ragioni per le quali il sentimento religioso della Chiesa debba prevalere sulla spinta politica alla libertà, ma, oltre all’adesione all’insegnamento del suo fondatore, due elementi prevalgono su tutto il resto.
Anzitutto, qualsiasi ribellione comporta il rischio del sacrificio di vite umane. Non dico che questa sia una ragione sufficiente per subire la tirannia, ma lo spargimento di sangue esula dal campo di intervento della religione.
In secondo luogo, compito della religione è quello di curare le anime, mentre il compito della realizzazione sociale e della libertà dei popoli spetta alla diplomazia, alla politica e, eventualmente, agli eserciti. Non sono pochi i danni prodotti nei secoli dai Papa-Re che hanno occupato il seggio di Pietro, mischiando le due funzioni; quando l’autorevolezza spirituale si unisce a quella temporale, gli effetti sono devastanti e rischiano di avallare qualsiasi eccesso nel nome di principi divini, addomesticati a misura d’uomo.
La storia dimostra che l’aspirazione politica sorretta dalla fede religiosa può diventare fanatismo. Abbiamo degli esempi in altre religioni e, per restare alla nostra, è fin troppo facile ricordare le violenze esercitate nel nome di Cristo.

Si può condividere o no questa visione, ma è la mia ed è proprio da questa convinzione che è nato il conflitto interiore che sto cercando di spiegare.
Per andare al punto, a suo tempo mi è sembrato strano che Giovanni Paolo II abbia sostenuto “attivamente” Solidarnosc, il sindacato polacco, per abbattere la tirannia comunista, atea e crudele.
Si è corso un rischio enorme, dagli esiti imprevedibili. Se la situazione fosse sfociata in una repressione sanguinaria? Era una possibilità da non sottovalutare, non certo estranea alle abituali reazioni della vecchia Unione Sovietica, che Ronald Reagan arrivava a definire “Impero del male”.
Ora sappiamo che questa strategia è stata vittoriosa sulla bestia apocalittica sovietica e possiamo approvarla; ma solo perché, ragionando col senno del poi, conosciamo la fine incruenta della storia.

(…continua…)

sabato 13 aprile 2013

Il mistico Wojtyla


Se ricordate, l’analisi della ultime due quartine (la II,97 e la V,62) aveva lo scopo di dimostrare che, accanto a delle quartine di struttura, che contengono delle indicazioni sul codice di decifrazione, esistono anche delle quartine profetiche di difficile contestabilità.

La II,97 è piuttosto esplicita tanto che, subito dopo l’attentato del 13 maggio 1981, ha fatto il giro del mondo; l’attenzione che ha richiamato dimostra la sua rispondenza all’evento.

Romano Pontefice guardati dall’avvicinarti
Alla città bagnata da due fiumi,
Lì vicino schizzerà il tuo sangue,
Tu e i tuoi quando fiorirà la rosa.

La corretta spiegazione è quella che io ho fornito ma, se mi mettessi nei panni di un detrattore, potrei forse sostenere che si tratta di una visione generale, sotto la quale è casualmente ricaduto l’evento storico dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II.
A questa possibile, quanto fragile obiezione, potremmo tranquillamente contrapporre la quartina V,62, nella quale il dinamismo della scena e la ricchezza dei dettagli smontano definitivamente e inesorabilmente qualsiasi tentativo di contestazione.

Sangue sulle rocce si vedrà piovere,
Sole a Oriente, Saturno a Occidente:
Guerra presso Orgon, a Roma si vedrà grande male,
Navi affondate e preso il Tridentale.

Queste considerazioni non vanno a beneficio degli scettici, che non ho alcuna intenzione di convincere, ma sono dirette esclusivamente a coloro che seguono questo blog con sincera volontà di studio e di ricerca.
Servono a mostrare che solo metodo e rigore possono evitare di cadere nella trappola delle conclusioni affrettate e approssimative, nella quale sono finora caduti tutti indistintamente gli studiosi di Nostradamus.

La mia indagine su Giovanni Paolo II, visto come “uomo delle profezie”, è unica nel suo genere. Per quanto è a mia conoscenza, solo Antonio Socci ha tentato qualcosa del genere nel suo bellissimo libro “I segreti di Karol Wojtyla – ed. Rizzoli), nel quale sviluppa una ricerca di natura rigorosamente religiosa su aspetti da me non trattati o trattati solo superficialmente (collegamenti con Fatima, Padre Pio, Medjugorje, Faustina Kowalski, etc.).
In sostanza, forte delle sue conoscenze giornalistiche, Socci ha avuto accesso a fonti di informazione religiosa che a me sono precluse. Da parte mia, da studioso delle profezie, ho fatto ricorso a fonti che, salvo prova contraria, nessuno ha mai saputo leggere e integrare correttamente, in chiave di testimonianza del pontificato di Giovanni Paolo II.

Si tratta perciò di due ricerche concordanti solo in piccolissima parte, ma totalmente convergenti su un’unica convinzione, per la quale mi piace sposare le parole di Socci: “La vita e il pontificato di Papa Wojtyla sono stati caratterizzati, dall’inizio alla fine, dall’irrompere del soprannaturale, da segni mistici”.

Al riguardo, uscendo fuori dal tema “Nostradamus”, vorrei raccontare una mia personale esperienza.

giovedì 11 aprile 2013

L'uomo delle profezie e il "ragno nero"


Non ci resta che affrontare l’ultimo verso della quartina V,62:

Nefz parfondrees & prins le Tridental
 Navi affondate e preso il Tridentale

Il Tridentale richiama alla mente l’immagine di Nettuno, dio del mare il cui simbolo era il tridente. Le “navi affondate” rafforzano l’idea del mare e, così, nessuno capisce.



Si potrebbe dedurre che non esiste alcuna connessione con Papa Wojtyla e, invece, scopriremo in queste parole, e in particolare nella parola “Tridental”, la firma certificata che spazza via ogni eventuale titubanza sull’identità dell’uomo della profezia.

Così come, parlando di “Sol orient”, abbiamo trovato un parallelo nel motto “De labore solis” di Malachia, adesso possiamo cercare nel “ragno nero” l’identità del Tridentale.


Tra le previsioni del 1984 (ma sappiamo che l’anno non è affidabile), il “ragno nero” parla dell’arrivo di un Papa il cui simbolo è il tridente. “Quest’uomo”, dice,  avrà una sola valigia”. E’, quindi, uno che viene da lontano e che, non sospettando di dover lasciare per sempre il proprio Paese, porta con sé solo l’indispensabile. E’ ciò che è successo a Giovanni Paolo II quando ha partecipato al conclave che l’ha eletto.
Altri dettagli non concordano con il quadro che sto per dipingere, ma sembrano essere l’effetto della mescolanza di profezie di anni diversi, come ho spiegato nell’articolo “Le profezie del ragno nero.
Come ho allora sostenuto, il “ragno nero” è quasi certamente uno che interpreta bene delle profezie a lui precedenti (forse quelle dello stesso Nostradamus), ma commette degli errori di ricostruzione. Questo però ci interessa poco, in quanto non è il “ragno nero” che stiamo studiando, ma Nostradamus.
Per noi è sufficiente che il  “ragno nero” ci dica che il tridente è il simbolo di un Papa, in quanto questo conferma l’idea che quel Papa sia anche il “Tridentale” di Nostradamus.

Il simbolo del tridente è molto specifico e viene rafforzato dall’interpretazione della profezia data dal curatore Renzo Baschera  che, come ho sostenuto nel vecchio post citato sopra, è un interprete molto attento ed accurato. Nel suo libro del 1972 (ricordo che Wojtyla è stato eletto nel 1978) egli scrive: “Non sarà un papa italiano. Il suo simbolo sarà il tridente”. Quindi, a prescindere dal contesto errato nel quale viene inserito, il simbolo del tridente, per il “ragno nero” e per il suo interprete, è il simbolo di un ben preciso Papa non italiano.

La definizione si adatta perfettamente a Papa Wojtyla, di origine polacca, il cui nome comincia per “W”, punta del tridente, così come comincia per “W” la cittadina di nascita: Wadowice. Non ci sono altri Pontefici che rispondono alla descrizione, soprattutto se a questa immagine aggiungiamo l’accoppiamento  “sangue sulle rocce” e “Tridentale” di Nostradamus che, anche senza “ragno nero”, non avremmo alcuna difficoltà a riconoscere, grazie ai primi tre versi della quartina V,62 che, ormai, conosciamo molto bene.

Mettendo  dunque insieme “ragno nero” e Nostradamus, ricaviamo tre elementi forti (sangue, Papa straniero, tridente), che conducono a una identificazione inequivocabile, reciprocamente confermata, del “Tridentale” con “W[ojtyla] di W[adowice]”.

A questo punto, la lettura dell’ultimo verso diventa semplice. “Nefz”[1] non vuol dire solo “navi” ma anche “navate” (di Chiesa). A sua volta, “parfondrées” è una parola che non esiste; essa è una distorsione di “effondrées” che, oltre al suo significato naturale di “affondate”, significa anche “crollate, rovinate”. Si dice infatti “effondrement d’un empire” per indicare il “crollo di un impero”.
Da molti altri esempi sappiamo già che Nostradamus ricorre alle distorsioni delle parole quando vuole richiamare l’attenzione dell’interprete su un significato alternativo o particolare di ciò che appare a prima vista.

Diventa dunque chiaro il nesso con l’attentato, dal momento che l’abbattimento di Giovanni Paolo II è anche un simbolico abbattimento della Chiesa di cui è il capo: “navate in rovina” o, in termini più espliciti, “sciagura sulla Chiesa”. Il “Tridentale” è preso, è colpito. I verbi di quest’ultimo verso sono ormai al participio passato (parfondrées, pris). Nostradamus si copre gli occhi rassegnato, perché il crimine è compiuto.

Romano Pontefice, non avvicinarti a Roma
Lì vicino schizzerà il sangue tuo
E quello dei tuoi fedeli nel mese di maggio

Sulle rocce di basalto verrà sparso il sangue
Di colui che viene da Est per regnare nella Chiesa Universale
Per l’atto bellico di Osgun, il giorno 13, gli occhi saranno puntati su Roma
Sciagura sulla Chiesa. Colpito il Tridentale.


[1] Nel francese arcaico viene spesso usata la “z” al posto della “s” del plurale.

martedì 9 aprile 2013

V,62: L'uomo che sparò al Papa


Pres Orgon guerre, à Rome grand mal voir
 Guerra presso Orgon, a Roma si vedrà grande male,

Mantenendo, per Orgon, le osservazioni del precedente post, leggiamo nuovamente “prés” non come “vicino” ma come “quasi” o, più precisamente, come “pressoché”.

L’attentatore, Ali Agca, arriva all’aeroporto di Malpensa, in Italia, con un volo charter del 9 maggio 1981, proveniente da Palma de Majorca (Spagna). Si trasferisce poi a Roma dove prende alloggio all’hotel ISA di Via Cicerone, esibendo un passaporto falso.

(l’Unità del 14.5.1981)

Il passaporto è intestato a Faruk Osgun. OsGuN; “pressoché, simile a” OrGoN. Osgun è una parola che “assomiglia” a Orgon! Tre lettere su cinque (l’iniziale, la mediana e la finale) coincidono e l’assonanza tra le due parole è forte.

Ho faticato parecchio, prima di fare questa scoperta. “Orgon” mi appariva come un nome molto specifico, particolarmente intrigante.
Questa è una quartina superba: nella II,97 viene fotografato l’attentato; in questa, vengono messi a fuoco i dettagli. Non per niente ho definito l’insieme delle due come un film in 3D. Se ormai conosco lo stile di Nostradamus, la parola “Orgon” non poteva risolversi solo nell’indicazione del numero 13; troppo facile e al di sotto dello standard degli altri versi: le rocce di basalto, l’uomo dell’est, la “percezione” psicologica dell’attentato a Roma e, come vedremo nell’ultimo verso, “la sciagura sulla Chiesa” e perfino l’identificazione del Papa.

Doveva esserci dell’altro e così, cercando cercando, ho scoperto che c’era effettivamente dell’altro. Questa risultanza non  può essere attribuita al caso.
Un po’ come se vi dicessi che sotto uno degli angoli del tappeto del vostro salotto c’è una moneta da 2 euro. Se la moneta c’è veramente, allora siete autorizzati a pensare che esiste un presupposto “valido”, non casuale, sul quale si fonda la mia affermazione. Forse mi sono introdotto nottetempo e ce l’ho messa o forse l’ho intravista nel corso di una visita a casa vostra. Però non è un caso.
Le quartine, se correttamente lette, sono estremamente precise. Tutte! Sia quelle profetiche che quelle di struttura.

Orgon è un nome unico, il migliore che Nostradamus potesse trovare, perché gli permette di prendere tre piccioni con una fava:

-  dirottare l’attenzione sulla cittadina di Orgon, depistando completamente gli interpreti della profezia;
-   indicare il giorno dell’attentato;
-   fornire un indizio sull’attentatore.

Alle approssimazioni del secondo e del terzo punto, Nostradamus fa fronte con la parolina “prés”, che invita a non prendere alla lettera la parola “Orgon”. Non avrebbe alcun ruolo, altrimenti, quel “prés” che non può essere letto nel senso di vicinanza geografica perché, in tal modo, si cadrebbe nell’assurdità concettuale di una guerra scatenata in un piccolo villaggio dell’entroterra francese, con riflessi su Roma e con navi affondate.

In questa continua sovrapposizione di straordinarie coincidenze e profezie, e anche se la questione è estranea a Nostradamus, non possiamo lasciarci sfuggire l’aspetto numerologico dell’alloggio di Ali Agca.
In base alle regole della Gematria, scorgiamo subito l’equivalenza tra ISA (nome dell’albergo) e ‘981, anno dell’attentato. Il numero della camera, altresì, è il 31, inverso del giorno dell’attentato (13). Coincidenze, naturalmente. Il fatto è che cominciano ad essere troppe, per poter essere considerate il frutto di semplici casualità statistiche. Non dimentichiamo che tutto, attorno a Giovanni Paolo II, suona di presagi e segnali misteriosi; non per altro l’ho definito “uomo delle profezie”.
Come si sa, è morto il 2/4/2005 alle ore 21.37. Non c’è bisogno di dirlo: provate a sommare le cifre della data e le cifre dell’orario della morte. 

Per l’ultimo verso della quartina vi do appuntamento per la prossima volta. Così come “Orgon” ci ha condotto sulle tracce dell’attentatore, l’ultimo verso ci porterà sulle tracce “anagrafiche” di Giovanni Paolo II.

domenica 7 aprile 2013

V,62: Guerra a Orgon


Il primo verso della quartina V,62 era facile; il secondo difficile, ma non inarrivabile. Il terzo verso, questo, è intuibile nella seconda metà, mentre è assolutamente incomprensibile nella prima metà, a meno che non riusciamo ad entrare nel modo di pensare del veggente. Per capire tutto, saranno necessari due post.

Pres Orgon guerre, à Rome grand mal voir

Guerra presso Orgon, a Roma si vedrà grande male,

Orgon è un piccolo villaggio dell’entroterra provenzale, a nord di Salon, città nella quale viveva Nostradamus. Villaggio pressoché anonimo, privo di rilevanza geografica, turistica e, soprattutto, storica. Parlare di guerra vicino Orgon, come recita il terzo verso della quartina, è privo di ogni logica e fondamento. Ancora più assurda sarebbe la questione se si pensasse che questa presunta guerra possa avere dei riflessi su Roma. Se, infine, si aggiunge che un villaggio interno, assai distante dalla più vicina costa marina, possa avere un qualsiasi tipo di legame con le navi affondate del quarto verso (“nefz parfondrées”), allora è evidente che non siamo di fronte a una profezia, perché nessun profeta, neanche il più sprovveduto, penserebbe mai di assegnare a Orgon un ruolo che non può assolutamente avere.
Non potendo ipotizzare di essere di fronte a una profezia, non ci resta che dedurre di essere di fronte a un codice. Perciò, scordiamoci di Orgon, inteso come villaggio. Esso non è che uno specchietto per le allodole. Del resto, Nostradamus non cita precisamente Orgon ma, al contrario, qualcosa che sta “prés” Orgon, “vicino” a Orgon o “quasi” Orgon. A chi non conosce il francese ricordo, infatti, che “prés” significa sia “vicino” che “quasi, pressoché”. E’ come se Nostradamus dicesse: “non leggere Orgon per quello che è; trova una lettura diversa, che da questa parola prenda spunto”.

Ecco, allora, che quel “quasi o pressoché” sta a indicare, sì, che la parola “Orgon” ha un suo ruolo, ma diverso da quello geografico, al quale viene spontaneo pensare; come dicevo, dobbiamo cercare un’alternativa sul fronte del codice. Il modello che Nostradamus adotta spesso quando indica dei nomi geografici è quello del Notarikon nella sua forma dell’acrostico, con l’uso delle iniziali, e della Gematria, con la trasformazione delle lettere in numeri.

Riporto dal mio libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”:

Notarikon è l’ultima delle tre tecniche cabalistiche… Consiste nella composizione di una parola con le lettere iniziali, finali o mediane di altre parole. Una delle forme di Notarikon, sicuramente familiare a tutti, è l’acrostico: esso definisce il componimento poetico o l’espressione che vengono utilizzati per l’estrazione delle lette iniziali”.

Gematria è lo studio del valore numerico delle lettere e delle parole.

Di recente, nell’articolo “Quartina I,48 – seconda spiegazione”, ho ripreso la questione della quartina I,20, trattata nel citato libro, che elenca delle città (Tours, Orleans, Bloys) le cui iniziali riconducono al numero 942, totale delle quartine delle Centurie.

Un altro esempio recente è quello delle iniziali dei versi della quartina X,70 (LLGL), che riconducono al numero 7000 del “settimo millennio profondamente calcolato”. 

Nel caso di Orgon, la soluzione è addirittura semplicissima: alla iniziale “O” corrisponde il numero 13, che è il giorno dell’attentato. Teniamo inoltre presente che questo attentato, condotto contro un capo di Stato, può essere visto come un atto bellico (soprattutto se è vero che dietro ci siano state delle potenze straniere). Tiriamo le fila:
Guerra vicino Orgon” non significa quello che sembra, semplicemente perché non è possibile. “Prés”, in questo caso, non significa “vicino” ma “quasi”; perciò, da “Orgon” bisogna derivare qualcosa che non è precisamente “Orgon” e associarlo a un atto bellico. La data del 13 (maggio), tenuto conto ovviamente del contesto nel quale ci stiamo muovendo, risponde perfettamente allo scopo, tanto più che il verso prosegue dicendo che “a Roma si vedrà grande male”; risultano in tal modo compatibili la prima e la seconda parte dell’intero verso, altrimenti inspiegabile, e tutti i pezzi dei primi 3 versi si incastrano alla perfezione:  il 13 succede un atto bellico, visto come un male che avviene a Roma, cioè lo spargimento del sangue di un uomo che viene dai paesi dell’est.

“Ma come”, mi si potrebbe obiettare! “In un altro post hai sottolineato che il Vaticano non è Roma e adesso ti smentisci”.
Le situazioni sono diverse. In effetti, l’attentato non avviene a Roma ma vicino a Roma, in Vaticano; vicino alla città bagnata da due fiumi. Però viene “visto” e percepito dall’opinione mondiale come se avvenisse a Roma. C’è cascato perfino Sampietro, un italiano, (II,97 - Il trailer), figuriamoci se non ci può cascare l’opinione pubblica mondiale che concentra la sua attenzione su Roma. La stampa mondiale di quel periodo non fa altro che parlare di “Italia” e di “Roma”. Evito di inserire citazioni su citazioni che chiunque può controllare in rete.
A titolo di esempio, richiamo quella già proposta nel post “II,97 – il trailer”. Dov’è che Ann Odre viene ricevuta in udienza dal Papa? A Roma, dice l’articolo (Fu infatti ricevuta dal Pontefice polacco in udienze private a Roma), anche se ciò non è esatto, perché fu ricevuta in Vaticano:

Per il mondo, il Vaticano E’ Roma. Perciò, sebbene l’attentato avvenga “vicino” Roma (vicino alla città bagnata dai due fiumi), esso viene percepito come avvenuto a Roma (“a Roma si vedrà grande male”) e tutti gli occhi sono puntati su Roma.

Ecco! Quando parlavo del coinvolgimento emotivo di Nostradamus, mi riferivo “anche” a questi dettagli di stampo psicologico. Egli si è preoccupato di narrarci la cronaca, specificando perfino come sarebbe stata percepita. In questa sua grandezza espressiva, in questa creazione di uno stupendo capolavoro, ci fornisce anche un’alternativa di utilizzo della parola Orgon, assai più sorprendente di quella appena esaminata: un’altra delle tante duplici soluzioni delle quali, ultimamente, stiamo vedendo diverse ricorrenze.
Può sembrare impossibile ma, con quella parola, Nostradamus ci dà una stupefacente indicazione sull’identità dell’attentatore. Di questo, però, ci occuperemo la prossima volta.

venerdì 5 aprile 2013

L'uomo delle profezie e Malachia


Passiamo al secondo verso della quartina V,62:

Sol Orient, Saturne Occidental

Il verso sembra alludere a una rappresentazione simbolica; al massimo, sembra indicare chissà quale configurazione astrologica. Fatto sta che nessuno capisce; e questo impedisce un corretto inquadramento della quartina. Ramotti non vede di meglio che un riferimento al Giappone, al “Sol levante”. Sangue, Giappone, navi affondate… cos’è questo, se non la visione di una guerra?

Estendiamo lo sguardo oltre Nostradamus e diamo un’occhiata a Malachia, con i suoi ultimi motti in ordine inverso:

Petrus Romanus – Francesco
Glora Olivae – Benedetto XVI
De labore solis – Giovanni Paolo II

“De labore solis”: il travaglio del sole.

Ci si è sempre domandati perché sia stato associato il sole a Giovanni Paolo II. Forse per il suo carattere solare; forse perché ha illuminato il mondo con i suoi faticosi viaggi e con la sua parola… forse… forse… forse…
Le spiegazioni, più o meno adeguate, si sono sprecate.

Nostradamus ci dà la sua, di spiegazione, ammesso che conoscesse i motti di Malachia; anche se non li ha letti, nel suo verso ha praticamente duplicato il motto che ci interessa. Tuttavia, con molta probabilità la sua spiegazione è quella autentica se, come si sospetta, Malachia non è stato altro che un suo nome di copertura. Ne abbiamo già parlato in passato nel post “Nostradamus e le profezie di Malachia”.

Conoscendo adesso i rudimenti della Cabala, e sapendo che nella lingua ebraica scritta le vocali sono omesse, possiamo aggiungere che i nomi Michel e Malachie hanno lo stesso valore gematrico e, pertanto, sono interscambiabili.

In latino, la parola “labor” significa “lavoro, fatica, laboriosità, travaglio”.  Certamente si addicono a Giovanni Paolo II la fatica e la laboriosità, se si presta attenzione al suo temperamento solare e al suo impegno instancabile.
Ma la spiegazione di Nostradamus è un’altra: il “de labore solis” di Malachia per lui significa “travaglio del Sole”, inteso come travaglio di un parto che ha luogo ad est, dove nasce il Sole.
Nei versi, egli usa le parole “Sol Orient”, perché il sole nasce ad oriente, come il nostro Papa, venuto da un paese dell’est europeo, al di là della cortina di ferro. E la sua missione nasce con travaglio; il travaglio di ogni nascita, ma anche un travaglio reso particolarmente difficile dalla situazione politica della Polonia, oppressa dal regime comunista.
Ecco perché le due definizioni, “De labore solis” e “Sol orient”, coincidono.
Wojtyla può ben essere paragonato al sole, dunque, in relazione alla sua provenienza. Per coerenza, nella fase di maturità può essere paragonato a Saturno, che governa su tutto il creato.
Ma Saturno è anche Kronos, il dio del tempo. Quindi, Wojtyla viene fuori da un Paese dell’est, come il sole che nasce ad oriente (“de labore solis” di Malachia e “Sol orient” di Nostradamus), e invecchia (Saturno/Kronos, con riferimento al tempo)  in Occidente, dove governa su tutta la Chiesa (Saturno che domina su tutto il creato). Nascita e tramonto, est e ovest, Polonia e Vaticano.

Sur les rochers sang on verra plouvoir,
Sol Orient, Saturne Occidental

Sangue sulle rocce si vedrà piovere,
Nasce a est, domina e muore a ovest


mercoledì 3 aprile 2013

V,62: Sangue sulle rocce


Torniamo a Giovanni Paolo II e scopriamo come ogni singola parola della quartina calzi a pennello, cominciando con il primo verso, il più facile:

Sangue sulle rocce si vedrà piovere


L’idea delle “rocce” può sembrare a prima vista incompatibile col manto stradale, a meno che non ci si soffermi un attimo a riflettere.
Nel luogo ove è avvenuto l’attentato, il suolo è lastricato di pietre che, a Roma, vengono chiamate sampietrini. Questi sampietrini non sono altro che blocchetti di leucitite, cioè “roccia eruttiva effusiva iposilicica” (definizione Treccani).


Le parole “sangue sulle rocce” del primo verso, fatta salva la lettura degli altri tre ancora da esaminare, fotografano in pieno l’esito dell’attentato.
Tuttavia, a parte l’aspetto fisico della questione, c’è anche un aspetto più sottile. Una delle rocce alle quali si allude è Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt, 16,18). Qualsiasi Papa, quindi, è Pietro e conseguentemente roccia. Ma Giovanni Paolo II è stato definito “roccia” non solo in quanto Pietro, ma anche per quello che egli stesso è stato.

Benedetto XVI durante la solenne Cerimonia di beatificazione, definisce il suo predecessore “Roccia di Virtù, Roccia della Chiesa”.
Proprio da questa definizione parte lo sviluppo del monumento di Luca Vernizzi “Roccia della Chiesa”, inaugurato il 22 ottobre 2011 presso il Santuario del Divino Amore in Roma.
  

Le rocce dei sampietrini, la roccia che qualifica qualsiasi Papa, la roccia che è Giovanni Paolo II: si legga come si vuole, ma bisogna ammettere che nulla è più appropriato di “sangue sulle rocce” (rocce fisiche ed umane insieme; ancora una duplice soluzione) per scattare un’istantanea delle ferite di Giovanni Paolo II, quel giorno del 13 maggio 1981.
Una rappresentazione stupenda. E mancano ancora tre versi…

martedì 2 aprile 2013

V,62 - Anteprima


Come si può non vedere, nei versi della quartina II,97 esaminata nel precedente articolo, il film che scorre davanti agli occhi di Nostradamus e il suo inascoltabile grido di allarme? Egli è così colpito, emotivamente, da decidere di andare oltre, mettendo la scena ancora più a fuoco, con dei dettagli che identificano il Pontefice, il giorno e, forse, perfino l’assassino.  Per questo aggiunge i versi della V,62:


 Sangue sulle rocce si vedrà piovere,
Sole a Oriente, Saturno a Occidente:
Guerra presso Orgon, a Roma si vedrà grande male,
Navi affondate e preso il Tridentale.

Questa quartina non gode di molte interpretazioni. “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, si dice. A me sembra che, quando il gioco si fa duro, i dilettanti se la danno a gambe.
Nella mia nutritissima bibliografia su Nostradamus, ho trovato solo due autori, non saprei dire se intrepidi o incoscienti, che si cimentano con questi versi: Ramotti e De Fontbrune.
Il primo si limita a isolare le parole “Sol Orient” e “Orgon”; tutto il resto è come se non esistesse. Secondo lui, “Sol Orient” sarebbe il Sol Levante, il Giappone, che partecipa alla prima guerra mondiale; “Orgon” si riferirebbe alla battaglia delle “Argonne”, in cui il corpo di spedizione italiano subì gravi perdite.

Non riesco invece a sintetizzare quello che scrive De Fontbrune e, perciò, lo trascrivo letteralmente:

Dal cielo si vedrà il sangue cadere sulle rocce. La monarchia contro l’Oriente stabilirà l’epoca dell’Occidente, presso Orgon. Ci sarà una guerra, a Roma si vedranno grandi mali. L’Inghilterra sarà presa e le sue navi affondate.

Tranquilli! Non sono io ad aver scritto male e non siete voi a non capire. Suggerisco di lasciar perdere e di proseguire con la corretta lettura.

Se la quartina II,97 era un ammonimento, un grido di dolore e di allarme, la V,62 è una rappresentazione dinamica di ciò che il veggente vede in svolgimento, quasi come un testimone sulla scena del crimine. Dall’ammonimento su ciò che succederà se il Papa si avvicinerà a Roma (“guardati dall’avvicinarti”), Nostradamus passa ora alla visione sconsolata di ciò che diventa inevitabile (“Sangue sulle rocce si vedrà piovere”). Poi, quando tutto è compiuto, il tempo futuro del primo verso diventa participio passato: “navi affondate” e “preso il Tridentale”. C’è solo mesta rassegnazione; una dolorosa presa d’atto di ciò che non si è potuto impedire.

Nei prossimi post spiegherò tutto, parola per parola.


lunedì 1 aprile 2013

L'uomo delle profezie: II,97


All’elenco dei messaggi che annunciano o che accompagnano “l’uomo delle profezie” restano da aggiungere quelli del “ragno nero” e di Malachia. Ce ne occuperemo trattando la quartina V,62. Intanto, vediamo la II,97:


Romano Pontefice guardati dall’avvicinarti
Alla città bagnata da due fiumi[1],
Lì vicino schizzerà il tuo sangue,
Tu e i tuoi quando fiorirà la rosa.

Questa è la prima delle due quartine che descrivono l’attentato a Giovanni Paolo II. Tuttavia, più che una previsione, le parole di Nostradamus sembrano un grido di allarme, un ammonimento:

Romano Pontefice, stai attento! Non avvicinarti alla città bagnata da due fiumi!

Queste semplici parole, questa implorazione, creano un grosso problema allo studioso di profezie, in quanto pongono l’enorme dilemma dell’ineluttabilità del destino.

E’ davvero inevitabile ciò che è già scritto? Se lo è, allora a che serve l’ammonimento? E se non lo è, come è possibile ignorare la contraddizione tra la visione di un evento futuro e l’ammonimento che può impedirne la realizzazione?

II dilemma non è privo di risposte che, peraltro, si riflettono sostanzialmente sulla questione ancora più grande del libero arbitrio. Qui, però, non stiamo sviluppando un problema filosofico, bensì l’analisi dei versi di un grande veggente. Leggiamo perciò le sue parole come un grido di allarme, un urlo del “mastino” che, ormai, ci ha abituati ai suoi sentimenti di dolore quando, forte della capacità di penetrare nel cuore degli eventi, piange e si dispera per ciò che vorrebbe evitare senza averne la possibilità.

La città dei due fiumi non è Valence o Lione, come qualcuno ha creduto. Essa è Roma, al cui interno scorrono le acque del Tevere e dell’Aniene. Il Papa infatti non vive a Roma; egli vive all’interno del Vaticano che, benché collocato geograficamente al centro di Roma, costituisce uno Stato sovrano, indipendente ed autonomamente organizzato. E’ perciò giustificato l’invito a non avvicinarsi a Roma.

Estraggo dal sito ufficiale del Vaticano: www.vaticanstate.va:

Lo Stato della Città del Vaticano è sorto con il Trattato Lateranense, firmato l’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, che ne ha sancito la personalità di Ente sovrano di diritto pubblico internazionale, costituito per assicurare alla Santa Sede, nella sua qualità di suprema istituzione della Chiesa cattolica, "l’assoluta e visibile indipendenza e garantirle una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale", come indicato nel preambolo del suddetto Trattato.

La Città del Vaticano si estende poco lontano dalla riva destra del Tevere, su una modesta altura, parte dei Montes Vaticani (Colle Vaticano) dell’antichità, su cui, nell’epoca precedente alla nascita di Cristo, vennero costruite alcune ville…

Il territorio dello Stato, che copre una superficie di 0,44 km2 (44 ettari), è circoscritto in parte dalle mura e si estende, sulla Piazza San Pietro, sino ad una fascia di travertino che congiunge al suolo le estremità esterne del colonnato, segnando il confine dello Stato al limite della piazza, alla quale d’ordinario si accede liberamente. Essa, pur facendo parte del territorio della Città del Vaticano, è soggetta, di norma, al controllo delle forze di polizia della Repubblica Italiana.
Si accede all’interno dello Stato da cinque ingressi, la cui custodia è affidata alla Guardia Svizzera Pontificia ed al Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano.

E’ evidente come non si possa e non si debba fare confusione tra Vaticano e città di Roma. Se non bastassero le citazioni appena riportate, il brano che segue (sempre estratto dal sito ufficiale del Vaticano) segna una esplicita e inequivocabile separazione tra le due entità politiche e territoriali:

Per la dimensioni assai ridotte del territorio della Città del Vaticano, molti enti ed uffici della Santa Sede sono situati in immobili della città di Roma (soprattutto in edifici esistenti in Piazza Pio XII, Via della Conciliazione, Piazza San Calisto, Piazza della Cancelleria, Piazza di Spagna). Tali immobili, secondo quanto stabilito nel Trattato Lateranense, godono delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri (Ambasciate). Le zone su cui sorgono i suddetti immobili sono comunemente chiamate "zone extraterritoriali".

Per tornare a Nostradamus, chiunque si muova all’interno dello Stato del Vaticano in direzione dei confini che delimitano Piazza San Pietro non fa che “avvicinarsi” letteralmente a Roma, la città bagnata dai due fiumi. E’ ciò che fece Giovanni Paolo II quel pomeriggio del 13 maggio 1981.


La Papamobile è uscita dall’Arco delle Campane, “avvicinandosi” a Roma; ha costeggiato i confini di Piazza San Pietro e, prima che riuscisse a completare il secondo giro, è diventata bersaglio dei colpi esplosi da Ali Agca. Una lapide ricorda il luogo esatto dell’attentato, a qualche metro del colonnato di confine con la città di Roma che, appunto, si estende “lì vicino”:


 Romano Pontefice guardati dall’avvicinarti
Alla città bagnata da due fiumi,
Lì vicino schizzerà il tuo sangue.

Ali Agca spara due colpi: la prima pallottola colpisce il Papa all’addome, perfora il colon, lacera in più punti l’intestino tenue e poi esce cadendo nella jeep.
Ma il Papa non è l’unico ad essere colpito. La seconda pallottola, dopo aver sfiorato il gomito destro e fratturato l'indice della mano sinistra, ferisce due turiste americane: l’americana Ann Odre, alla quale viene poi asporata e la milza, e la giamaicana Rose Hall.

Te e i tuoi”, dice il quarto verso della quartina. Forse le due turiste sono estranee all’ambiente che circonda il Papa? No! Esse fanno parte di coloro che, in quel momento, affollano Piazza S. Pietro per assistere all’apparizione pubblica del Pontefice. Di Ann Odre in particolare si sa che, in qualità di fedele, era venuta a Roma proprio per partecipare a un’udienza del Papa. Certamente ci si può riferire ad entrambe le donne come “ai tuoi”.

Quando fiorirà la rosa” è il fotogramma che chiude la quartina. Il riferimento a maggio, mese dell’attentato e mese di fioritura delle rose, parla da solo. E, tuttavia, c’è anche un altro particolare sconcertante.
Quante volte abbiamo parlato dell’anagramma giusto al posto giusto: un anagramma di poche lettere che racchiude un riferimento di dettaglio della quartina. Troppe volte ci siamo imbattuti in una situazione del genere per poter pensare che si tratti di casualità. Anche adesso il riferimento esiste e non è un anagramma, ma una parola già correttamente predisposta: “rose”!
Il riferimento al mese di maggio, sì, ma anche il nome di una delle due fedeli ferite, Rose Hall: esempio delle doppie soluzioni di Nostradamus delle quali ho già svelato l’esistenza. Se vogliamo esagerare, prendendo per buono il collegamento con il segreto di Fatima, possiamo prendere in considerazione anche un riferimento a Lucia de Jesus Rosa dos Santos, la pastorerella delle apparizioni diventata suora.
Visto che ci siamo, segnalo un’ennesima coincidenza, che non c’entra nulla con Nostradamus: un’altra suor Lucia (Lucia Giudici), a piazza San Pietro, ha bloccato Ali Agca dopo gli spari.

Suor Lucia Giudici (oggi Suor Letizia)

Rileggiamo nuovamente la quartina, alla luce della corretta interpretazione:

Romano Pontefice, guardati dall’avvicinarti
Alla città bagnata da due fiumi,
Nei suoi pressi verrà sparso il tuo sangue,
E anche quello dei tuoi fedeli, nel mese di maggio.

Se tutto questo non vi sembra stupefacente, chiudete qui. In caso contrario vi assicuro che, ancora, non avete visto nulla. Aspettate la traduzione della quartina V,62:
 




[1] Più propriamente, il verso dice: “la città che bagna due fiumi”.