Tecniche di Nostradamus

mercoledì 17 aprile 2013

Wojtyla ed io - 2


All’epoca, e anche adesso se penso in retrospettiva, mi veniva difficile apprezzare l’appoggio religioso al comportamento rivoltoso di un popolo, ipocritamente strumentalizzato dalle potenze mondiali antisovietiche che, però, si tenevano al riparo all’interno dei loro confini.
Insomma, mi sarebbe sembrato più equo se, proprio al contrario di quanto è effettivamente accaduto, la Chiesa si fosse limitata a un sostegno morale e di solidarietà agli oppressi, lasciando alle potenze temporali il compito di appoggiarli più concretamente con l’intelligence e coi mezzi politici e finanziari. Inoltre, è difficile non vedere un atteggiamento di parzialità in un Papa polacco, padre spirituale di tutta l’umanità,  che agisce nell’interesse del suo popolo di origine, pur in presenza di molti altri popoli ugualmente affamati e oppressi sulla faccia della terra, per i quali nessuno muove un dito.

L’impresa è avvenuta ai tempi dello scandalo dello IOR e di Marcinkus; quindi, con il probabile supporto delle finanze vaticane e, si dice, dell’Opus Dei, elevata da Giovanni Paolo II a prelatura personale nel 1982. Il suo fondatore, il discusso Josemaria Escrivà de Balaguer, è stato canonizzato nel 2002, in tempi piuttosto rapidi rispetto a quelli di una normale canonizzazione. La riconoscenza verso l’Opus Dei è stata uno degli elementi di valutazione della “santità”?

“Non tocca a me giudicare”, mi dicevo quella mattina, mentre aspettavo. Ma è difficile impedire ai pensieri di seguire il proprio corso. Tornando con la mente agli anni ’80, vedevo nel comportamento del Pontefice, capo di tutta la cristianità, una intrusione indebita negli affari interni di un Paese, in sostituzione degli organismi internazionali preposti. Non lo vedevo più, o non solo, come leader religioso, ma soprattutto come leader politico che utilizzava la sua influenza, alimentata dall’universalità dei cattolici, per aiutare il suo Paese.
E questo, pur con ogni simpatia e solidarietà verso il popolo polacco, non mi piaceva.

Per altro verso, il 13 maggio 1981, il Papa era già stato vittima dell’attentato a piazza S. Pietro. Non è mai stato chiarito da chi sia stata armata la mano che ha sparato, appartenente al turco Alì Agca; sono sempre stati forti i sospetti che l’ordine di uccidere sia partito dal lato orientale della cortina di ferro, proprio nel timore che il Papa polacco potesse fornire al suo popolo quel sostegno che poi, effettivamente, ha fornito.
Nonostante le profonde perplessità, non potevo non ammirare quest’uomo che, dopo aver rischiato la vita e nonostante le conseguenze dell’attentato, era rimasto fedele alla sua volontà di combattere il “male assoluto” rappresentato dalla dittatura sovietica. Non potevo non ammirare il leader spirituale che, nonostante le sue sofferenze fisiche e l’età avanzata, continuava a girare per il mondo evangelizzando le genti e animando le giornate della gioventù. Non potevo non apprezzare il carattere solare che manifestava nei contatti con la gente. Non potevo non restare stupito per la forza con la quale si aggrappava alla croce, come un balocco dal quale un bimbo non intende staccarsi. Sollecitato da più parti a dimettersi, per l’aggravarsi della sua salute, aveva deciso di esercitare fino in fondo il suo ministero.

E così, quella mattina, doveva venire in visita alla parrocchia che frequento abitualmente: una piccola parrocchia di periferia, ben felice di accogliere il suo “pastore” che, da parte sua, avrebbe avuto tutto il diritto e tutte le ragioni di risparmiarsi la fatica di un bagno di folla.

(…continua…)

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