Ero inquieto, quella lontana mattina di domenica, 4
marzo 2001.
Sono sempre stato un uomo piuttosto schivo, a
disagio nella confusione, restìo ai formalismi rituali.
Figuriamoci se mai avrei pensato in vita mia di
desiderare ardentemente di “toccare” una persona; soprattutto alla mia età.
Eppure, quella mattina, provavo questo desiderio irrazionale, assolutamente
estraneo al mio temperamento, stupido e puerile sotto ogni aspetto, ma esigente
e irreprimibile.
Una contraddizione mi bruciava dentro da anni. La
ragione si opponeva all’istinto e non riuscivo a decidere quale sentimento
interiore accettare.
Da un lato mi sentivo ostile a quella persona che
volevo “toccare”: non mi piaceva quello che aveva fatto. Sapevo che aveva agito
per una causa giusta, ma non ho mai creduto che il fine giustifichi i mezzi.
Dall’altro, l’ammiravo. L’ammiravo per il coraggio,
per il carisma, per il sacrificio di sé di cui dava prova.
Può sembrare assurdo ma speravo di ricavare una
risposta alla mia inquietudine. Speravo infantilmente che il contatto fisico mi
aiutasse a fare chiarezza nei miei sentimenti.
Ma andiamo all’origine dei fatti.
Circa duemila anni fa, un giovane Galileo predicava
pace e amore in un Paese nel quale i Romani opprimevano la popolazione. Sembra
che quel giovane avesse un seguito non proprio di prima scelta: un esattore
delle tasse che aveva angustiato tanta povera gente; uno zelota avido e
traditore; un pescatore che portava con sé una sica nascosta sotto il mantello.
Tutta gente pronta a tradire o a defilarsi, al momento del pericolo, senza
preoccuparsi di lasciare solo il proprio leader. E’ chiaro che sto parlando di
Gesù e dei suoi apostoli.
Qualche storico sostiene che la motivazione
religiosa fosse solo una copertura; al massimo, poteva valere per il Maestro e
per qualcuno dei discepoli. In realtà, l’idea accarezzata da alcuni sobillatori
prevedeva una sommossa capeggiata da
Gesù, leader carismatico che si proclamava investito di una missione
divina: il Messia predestinato a liberare Israele. Questa cospirazione
insurrezionale, secondo tale opinione storica, sarebbe stata la vera ragione
della crocifissione di Gesù, dal momento che, se la motivazione fosse stata di
carattere veramente religioso, i romani non avrebbero avuto titolo per
intervenire.
La tradizione cristiana ci racconta tutt’altra cosa:
non solo Gesù non si è posto a capo di alcun movimento extrareligioso, ma, a
chi gli chiedeva se fosse giusto pagare le tasse, ha risposto con
un’affermazione che traccia un solco invalicabile tra il potere temporale e
quello spirituale: “Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di
Dio “ (Mc. 12,17).
Da cristiano, sono portato a dare fede al racconto
del Vangelo, escludendo qualsiasi coinvolgimento politico di Cristo. E, sempre
da cristiano, mi aspetto che una Chiesa che proclama il Vangelo cammini sulla
scia del suo fondatore. Un atteggiamento diverso, anche se rivolto ad abbattere
il tiranno, non sarebbe coerente con il comportamento di Cristo.
Non spetta a me spiegare le ragioni per le quali il
sentimento religioso della Chiesa debba prevalere sulla spinta politica alla
libertà, ma, oltre all’adesione all’insegnamento del suo fondatore, due
elementi prevalgono su tutto il resto.
Anzitutto, qualsiasi ribellione comporta il rischio
del sacrificio di vite umane. Non dico che questa sia una ragione sufficiente
per subire la tirannia, ma lo spargimento di sangue esula dal campo di
intervento della religione.
In secondo luogo, compito della religione è quello
di curare le anime, mentre il compito della realizzazione sociale e della
libertà dei popoli spetta alla diplomazia, alla politica e, eventualmente, agli
eserciti. Non sono pochi i danni prodotti nei secoli dai Papa-Re che hanno
occupato il seggio di Pietro, mischiando le due funzioni; quando
l’autorevolezza spirituale si unisce a quella temporale, gli effetti sono
devastanti e rischiano di avallare qualsiasi eccesso nel nome di principi
divini, addomesticati a misura d’uomo.
La storia dimostra che l’aspirazione politica
sorretta dalla fede religiosa può diventare fanatismo. Abbiamo degli esempi in
altre religioni e, per restare alla nostra, è fin troppo facile ricordare le
violenze esercitate nel nome di Cristo.
Si può condividere o no questa visione, ma è la mia
ed è proprio da questa convinzione che è nato il conflitto interiore che sto
cercando di spiegare.
Per andare al punto, a suo tempo mi è sembrato
strano che Giovanni Paolo II abbia sostenuto “attivamente” Solidarnosc, il
sindacato polacco, per abbattere la tirannia comunista, atea e crudele.
Si è corso un rischio enorme, dagli esiti
imprevedibili. Se la situazione fosse sfociata in una repressione sanguinaria?
Era una possibilità da non sottovalutare, non certo estranea alle abituali
reazioni della vecchia Unione Sovietica, che Ronald Reagan arrivava a definire
“Impero del male”.
Ora sappiamo che questa strategia è stata vittoriosa
sulla bestia apocalittica sovietica e possiamo approvarla; ma solo perché,
ragionando col senno del poi, conosciamo la fine incruenta della storia.
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