Tecniche di Nostradamus

lunedì 15 aprile 2013

Wojtyla ed io - 1





Ero inquieto, quella lontana mattina di domenica, 4 marzo 2001.
Sono sempre stato un uomo piuttosto schivo, a disagio nella confusione, restìo ai formalismi rituali.
Figuriamoci se mai avrei pensato in vita mia di desiderare ardentemente di “toccare” una persona; soprattutto alla mia età. Eppure, quella mattina, provavo questo desiderio irrazionale, assolutamente estraneo al mio temperamento, stupido e puerile sotto ogni aspetto, ma esigente e irreprimibile.

Una contraddizione mi bruciava dentro da anni. La ragione si opponeva all’istinto e non riuscivo a decidere quale sentimento interiore accettare.
Da un lato mi sentivo ostile a quella persona che volevo “toccare”: non mi piaceva quello che aveva fatto. Sapevo che aveva agito per una causa giusta, ma non ho mai creduto che il fine giustifichi i mezzi.
Dall’altro, l’ammiravo. L’ammiravo per il coraggio, per il carisma, per il sacrificio di sé di cui dava prova.
Può sembrare assurdo ma speravo di ricavare una risposta alla mia inquietudine. Speravo infantilmente che il contatto fisico mi aiutasse a fare chiarezza nei miei sentimenti.
Ma andiamo all’origine dei fatti.

Circa duemila anni fa, un giovane Galileo predicava pace e amore in un Paese nel quale i Romani opprimevano la popolazione. Sembra che quel giovane avesse un seguito non proprio di prima scelta: un esattore delle tasse che aveva angustiato tanta povera gente; uno zelota avido e traditore; un pescatore che portava con sé una sica nascosta sotto il mantello. Tutta gente pronta a tradire o a defilarsi, al momento del pericolo, senza preoccuparsi di lasciare solo il proprio leader. E’ chiaro che sto parlando di Gesù e dei suoi apostoli.

Qualche storico sostiene che la motivazione religiosa fosse solo una copertura; al massimo, poteva valere per il Maestro e per qualcuno dei discepoli. In realtà, l’idea accarezzata da alcuni sobillatori prevedeva una sommossa capeggiata da  Gesù, leader carismatico che si proclamava investito di una missione divina: il Messia predestinato a liberare Israele. Questa cospirazione insurrezionale, secondo tale opinione storica, sarebbe stata la vera ragione della crocifissione di Gesù, dal momento che, se la motivazione fosse stata di carattere veramente religioso, i romani non avrebbero avuto titolo per intervenire.

La tradizione cristiana ci racconta tutt’altra cosa: non solo Gesù non si è posto a capo di alcun movimento extrareligioso, ma, a chi gli chiedeva se fosse giusto pagare le tasse, ha risposto con un’affermazione che traccia un solco invalicabile tra il potere temporale e quello spirituale: “Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio “ (Mc. 12,17).

Da cristiano, sono portato a dare fede al racconto del Vangelo, escludendo qualsiasi coinvolgimento politico di Cristo. E, sempre da cristiano, mi aspetto che una Chiesa che proclama il Vangelo cammini sulla scia del suo fondatore. Un atteggiamento diverso, anche se rivolto ad abbattere il tiranno, non sarebbe coerente con il comportamento di Cristo.

Non spetta a me spiegare le ragioni per le quali il sentimento religioso della Chiesa debba prevalere sulla spinta politica alla libertà, ma, oltre all’adesione all’insegnamento del suo fondatore, due elementi prevalgono su tutto il resto.
Anzitutto, qualsiasi ribellione comporta il rischio del sacrificio di vite umane. Non dico che questa sia una ragione sufficiente per subire la tirannia, ma lo spargimento di sangue esula dal campo di intervento della religione.
In secondo luogo, compito della religione è quello di curare le anime, mentre il compito della realizzazione sociale e della libertà dei popoli spetta alla diplomazia, alla politica e, eventualmente, agli eserciti. Non sono pochi i danni prodotti nei secoli dai Papa-Re che hanno occupato il seggio di Pietro, mischiando le due funzioni; quando l’autorevolezza spirituale si unisce a quella temporale, gli effetti sono devastanti e rischiano di avallare qualsiasi eccesso nel nome di principi divini, addomesticati a misura d’uomo.
La storia dimostra che l’aspirazione politica sorretta dalla fede religiosa può diventare fanatismo. Abbiamo degli esempi in altre religioni e, per restare alla nostra, è fin troppo facile ricordare le violenze esercitate nel nome di Cristo.

Si può condividere o no questa visione, ma è la mia ed è proprio da questa convinzione che è nato il conflitto interiore che sto cercando di spiegare.
Per andare al punto, a suo tempo mi è sembrato strano che Giovanni Paolo II abbia sostenuto “attivamente” Solidarnosc, il sindacato polacco, per abbattere la tirannia comunista, atea e crudele.
Si è corso un rischio enorme, dagli esiti imprevedibili. Se la situazione fosse sfociata in una repressione sanguinaria? Era una possibilità da non sottovalutare, non certo estranea alle abituali reazioni della vecchia Unione Sovietica, che Ronald Reagan arrivava a definire “Impero del male”.
Ora sappiamo che questa strategia è stata vittoriosa sulla bestia apocalittica sovietica e possiamo approvarla; ma solo perché, ragionando col senno del poi, conosciamo la fine incruenta della storia.

(…continua…)

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