Tecniche di Nostradamus

domenica 28 settembre 2014

Vaticinia di Nostradamus (seguito)

Passiamo adesso all’ultimo foglio del manoscritto, che smentisce la diffusa convinzione che esso sia stato donato al cardinale Barberini da Cesare, figlio di Nostradamus.
  

  Questo foglio contiene la nota riportata di seguito:

Candide Lector Ex […ad hindeae] Romanorum Pontificum Prophaetiae (ab Urbano VIII) emblematis [segue una parola illeggibile]. At praedecessorurum [?] jam multae iniuria temporum consumptae desunt hinc; ab aliis ad placitum effictae; hisce haud sorores, sed spuriae; neque afflatu divino, et enthusiasmo venerabilis abatis Joachimi; at ab oestro mendacij progenitae. Bono fruere parvo: Vale. Fr.ter Cinus Beroaldus ex Biblioth.ca Carthusiana. VI. Kal. Septembr. A. MDCXXIX Coratii.

(*) Cinus iste dono dedit Eminentissimo D. Card. Barberino, idque rogatus, et Rev.mi Abatis permissu.

(**) […] ab.tis venerabilis Ioachimi videtis scriptae a Domno Cer[…]s […] antiquo Abate […]pensi.

Tralasciando un’impossibile traduzione, compromessa da parole mancanti o illeggibili, da errori dell’autore e, quasi certamente, da una imprecisa trascrizione, concentriamoci su alcuni elementi chiave, in grado di gettare qualche bagliore di luce su un testo altrimenti oscuro.

La sottoscrizione di un certo frate Cinus Beroaldus dell’abbazia cistercense di Corazzo (Catanzaro), presso la quale Gioacchino da Fiore ricoprì la carica di abate dal 1177 al 1189, testimonia quantomeno la provenienza del dono fatto al cardinale Barberini, menzionato nella prima delle due note. Non si capisce bene di quale cardinale Barberini si tratti, dal momento che nel 1629, anno di datazione della lettera, ne esistevano tre: due di nome Antonio e uno di nome Francesco. Si deve escludere, contrariamente a quanto si legge in giro, che si possa trattare di Maffeo Barberini, già eletto papa nel 1623.
Altro elemento di rilievo è la stessa datazione. Poiché, sulla base dell’analisi dell’inchiostro e dei colori, le illustrazioni contenute nel manoscritto vengono fatte risalire a un arco di tempo compreso tra il 1750 ed il 1850, si possono formulare due ipotesi:

- il testo in esame si riferisce ad altri disegni;
- il foglio contiene false informazioni.

Quand’anche così non fosse la data del 1629 renderebbe l’ultimo foglio incompatibile con il primo che, come già sappiamo, è stato scritto dopo il 1689. Un’incongruenza che si aggiungerebbe a quella della differenza di contenuti e di calligrafia tra i due fogli.

…segue…

mercoledì 24 settembre 2014

Graal: storia e mito (17)

Siamo adesso pronti per una lettura alternativa della storia di San Lorenzo. Tuttavia, per giustificare un tentativo che può sembrare azzardato, è prima necessario ricordare come, in passato, la trasmissione di certi elementi iniziatici venisse spesso affidata alla memoria collettiva attraverso la creazione di una leggenda o, comunque, di una narrazione ingannevole per le masse, ma accessibile a coloro che nel tempo sarebbero stati capaci di comprendere.
Un tale tipo di scelta permetteva di ovviare al rischio di oblio al quale è sempre stata esposta una tradizione o una conoscenza ristretta a una limitata cerchia di persone. In queste circostanze, le masse popolari venivano inconsapevolmente utilizzate come una sorta di registratore perpetuo, in grado di garantire la sopravvivenza di tradizioni che trovavano la loro origine assai indietro nel tempo.
Da rilevare che il folklore narrativo popolare ha di volta in volta assunto le forme più impensabili e irriconoscibili che, però, conservavano sempre gli elementi costitutivi della storia originale, in modo da renderli immuni alle alterazioni del tempo. L’abbiamo visto con i romanzi sul Graal e con la storia biblica di Mosè; potrei ricordare le “profezie dei Papi” di Malachia, nelle quali Arnoldo Wion trasmette la sua dottrina eretica, e le più ben note “profezie di Nostradamus”, veicolo di messaggi occulti che tutto sono tranne che profezie; potrei accodarmi senza esitazioni a quanti vedono la descrizione di un percorso iniziatico nella Divina Commedia.
Preferisco però stupire qualcuno, citando le narrazioni popolari più improbabili, quali le favole, che non sempre sono dei semplici ed innocenti racconti. Per dimostarlo con un esempio, e districandomi nell’imbarazzo della scelta, faccio ricorso ad “Alì Baba e i quaranta ladroni”.

Un solo attimo di riflessione permette di capire che il tesoro di Alì altro non è che una versione volgarizzata del Graal di Perceval. L’invocazione “apriti/chiuditi sesamo” costituisce la parola perduta che dà accesso allo stato di grazia. La caverna[1] è il simbolo del luogo nel quale viene sepolto l’uomo vecchio e dal quale risorge l’uomo nuovo, che nel buio dell’antro trasforma il suo stesso essere (percorso interiore); la caverna, in altri termini, è  sepolcro dell’uomo materiale e, allo stesso  tempo, ventre ed utero materno per la gestazione e la nascita dell’uomo spirituale. Alì, povero taglialegna che diventa uomo ricco, è dunque allegoria dell’uomo spiritualmente povero che conquista sapienza e conoscenza. Non manca la pietra/roccia, allegoria di Dio (cfr. nota 3 del post precedente), che ostruisce l’accesso al “tesoro” a chi non conosce la parola perduta. Il numero dei ladroni ripercorre con aperta evidenza la tradizione del mistico quaranta. Agrippa, uno degli ispiratori del “codice Nostradamus” (cfr. quartine VI,4 e VI,91), scrive nella “Filosofia occulta” che “quaranta” è sinonimo di espiazione,  di penitenza e di misteri, perché Dio, al tempo del diluvio, ha fatto piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti; i figli d’Israele hanno abitato il deserto per quaranta anni; la distruzione di Ninive è stata differita di quaranta giorni; Mosè, Elia e Cristo hanno digiunato per quaranta giorni.

In ogni dettaglio, lo schema della favola è quello ricorrente: il messaggio originale  subisce una rielaborazione che ne banalizza il contenuto, senza tuttavia comprometterne la leggibilità; viene quindi divulgato secondo modalità che assicurino la più ampia penetrazione popolare e la persistenza nel tempo.

Del tutto simile sembra essere il caso della leggenda del martirio di San Lorenzo, a meno che non si vogliano ignorare sia l’interpretazione dell’artista del mosaico che la ricchezza dei simboli di cui sono intessute le vicende e la figura del Santo.

…segue…




1 Per un’ampia trattazione del simbolismo della caverna, cfr. R. Guénon “I simboli della scienza sacra”.

venerdì 19 settembre 2014

Vaticinia di Nostradamus (seguito)

Dimostrato l’errore di chi pensa che il primo foglio del manoscritto attribuisca a Nostradamus o al figlio Cesare la paternità dell’opera, passiamo all’attestazione contenuta nell’ultimo disegno[1], l’unico che riporti una parte testuale. Eccola:

Praedictiones hasce apocalypticas ab Anito Ephesio pictorum aetatis sue principe afflatu piissimi vatis Ab.is Ioachim expressas deinceps a colluvie, situ et temporis carie corruptas. Thomas Gruidius a S.to Ioannes exscripsit voto pp.m Patrum Cartusianorum atque restituit. A.S. 1343.



Ho cercato in rete. Nessuno ne parla, nessuno sembra saperne nulla. Mi domando in quanti, tra coloro che sostengono la provenienza nostradamica dei disegni, si siano presi la briga di dare personalmente un’occhiata agli originali; saprebbero che le riproduzioni in circolazione sono tutte incomplete, spesso relative a immagini estranee al manoscritto, non rispettose del loro corretto ordine di successione.

L’annotazione sopra riportata, sottoscritta da un certo Thomas Gruidius e datata 1343, fa riferimento a un tale Anito Efesio che, ispirandosi alle profezie apocalittiche dell’abate Gioacchino (da Fiore), avrebbe realizzato un manoscritto dal quale sarebbe stato copiato quello di cui ci occupiamo noi.
Evidentemente queste notizie contraddicono le supposizioni che secondo alcuni, sulla base del primo foglio, vedrebbero coinvolti Nostradamus e il figlio Cesare.

Ricordo che l’analisi chimica dell’inchiostro e dei colori ha permesso di far risalire l’opera ad un’epoca circoscritta tra il 1750 e il 1850; quella del 1343 è quindi una falsa datazione, fornita allo scopo di conferire un’apparenza di preziosità ai disegni. Quand’anche fosse corretta, a maggior ragione essa costituirebbe un elemento di esclusione della mano di Nostradamus, vissuto nel XVI secolo.

…segue…



[1] Fonte: Manus online – Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II – Roma.

martedì 16 settembre 2014

L'anno del califfato

La quartina che segue, la X-96, può essere utilizzata per prefigurare lo scontro tra un’alleanza internazionale e il califfato islamico.
 

 La religione del nome dei mari vincerà,
Contro la setta figli Adaluncatif,
Setta ostinata e deplorata temerà,
Dei due feriti da Aleph e Aleph.
 
Mammamia… qual è questa religione del nome dei mari? Alcuni commentatori ritengono che si tratti della “religione di Maria”, cioè la religione cattolica. Personalmente non vedo alcuna relazione tra “mers” e “Marie” e, inoltre, a me non sembra che esista una “religione di Maria”. Non esiste, ovviamente, per un non cattolico; per un cattolico, poi, il concetto sarebbe addirittura blasfemo: Maria è la madre di Cristo e ci mancherebbe altro che avesse una propria religione.
 
Devo però osservare che, secondo Lucrezio (filosofo romano vissuto nel secolo precedente la nascita di Cristo), la parola “religione” deriva da “religare”, nel senso di un legame che unisce gli uomini.
Ecco, allora, che “religione del nome dei mari” potrebbe significare “unione tra uomini da un mare all’altro”; un’Alleanza Atlantica, simboleggiata anche dalle due “A” dell’ultimo verso (“Aleph” è la prima lettera dell’alfabeto ebraico). In realtà, l’Alleanza Atlantica è la Nato, mentre la coalizione che si delinea in questi giorni non ha nulla a che vedere con la Nato. Ma non sottilizziamo, mettendoci i bastoni tra le ruote da soli!
 
Al secondo verso, dall’anagramma di “Adaluncatif” viene fuori “an du califat”, cioè “anno del califfato”. Tanto ci basta per qualificare la quartina come una grande profezia anche se, nei versi originali, mancano perfino articoli e preposizioni che definiscano correttamente la frase.
Non sono del tutto certo sul soggetto di quel “vincerà” del primo verso; la formulazione letterale è solo apparentemente scontata. La “religione del nome dei mari”, benché posta prima del verbo per esigenze metriche e di rima, potrebbe essere il soccombente.
 
Il terzo verso, tanto per cambiare, è anch’esso dubbio; non si capisce se la setta incute timore o se essa stessa deve temere qualcosa. Per fortuna ci sta bene in entrambi i casi: incute timore e nello stesso tempo deve temere le reazioni.
Non si sa chi siano i due feriti del quarto verso, ma che volete farci! In fondo non è un problema che dobbiamo risolvere necessariamente adesso. Si vedrà. Confido nel fatto che, nel tempo, dimenticherete i dettagli e ricorderete solo l’essenza di questa spiegazione.
Restano le parole “da Aleph e Aleph”. Che il neo “Stato Islamico” abbia annunciato la nascita di un califfato che va da Aleppo a Diyala lo sanno tutti. Resta da vedere perché Nostradamus abbia ritenuto di dover raddoppiare la parola “Aleph”, che in realtà non significa “Aleppo” ma è solo la “A” ebraica.
Anche questo è un dettaglio che dimenticherete; nel frattempo, potrebbe sembrare che tutto possa essere spiegato in un modo o nell’altro.
 
Nonostante tutte le perplessità, qualcuno potrebbe ritenere che l’interpretazione sia ugualmente convincente; e infatti ci sono aspetti adattabili alle circostanze attuali. Qualcun altro, invece, potrebbe vedere troppe forzature; e non potrei che dargli ragione: se non avessi dichiarato che si tratta di un gioco, avrei agito in perfetta mala fede, scegliendo una quartina contenente un paio di parole “manipolabili” e affidando il resto alla mia dimestichezza con i versi di Nostradamus.

Del resto, così fan tutti…

lunedì 15 settembre 2014

La profezia del califfato

La mia posizione nei confronti delle “profezie” di Nostradamus è ben nota: il nostro amico provenzale non ha previsto nulla ma, seguendo lo stesso sentiero percorso da tutti gli scrittori ermetici prima e dopo di lui,  ha semplicemente trasmesso un messaggio “riservato”, affidandolo alla memoria collettiva popolare in una forma che, senza perdere il suo fascino, sopravvivesse nei secoli.
E’ la stessa cosa che hanno fatto Arnoldo Wion con le “profezie di Malachia”, Dante Alighieri con la “Divina Commedia” e tanti altri; perfino gli scrittori di ben note favole. Tratteremo questo tema nel prossimo post sul Graal.
Per quanto superfluo, mi preme ribadire che la mia non è una posizione pregiudiziale, ostile a Nostradamus. Al contrario, deriva da uno studio profondo, dettato da amore e passione per il personaggio, al quale riconosco una genialità inimmaginabile, finora fraintesa.

Benché interessato pressoché esclusivamente al “codice Nostradamus”, la mia posizione iniziale, che lasciava aperta la porta agli aspetti profetici delle Centurie, si è andata progressivamente irrigidendosi, con il progredire degli studi, fino ad attribuire a delle semplici coincidenze e forzature interpretative quelle che possono sembrare previsioni corrette. Ma già, in linea generale, è inappropriata la stessa affermazione che possano esistere previsioni corrette.

Come si fa a definire corretta una previsione se non esiste quartina, neanche una, sulla cui lettura ci sia concordanza interpretativa? Perché deve essere corretta l’interpretazione di uno anziché quella di un altro? Cos’è che fa diventare corretta l’interpretazione che piace a noi? Chi lo decide?
In realtà, le quartine sono così (apparentemente) ambigue che ognuno vi può vedere ciò che vuole. Incrociandole con gli eventi storici verificatisi dall’epoca di Nostradamus ad oggi, è praticamente impossibile non trovare un evento applicabile a una qualsiasi quartina o non trovare una quartina applicabile ad un qualsiasi evento.

Così, con questo spirito e giusto per giocare, mi sono messo a cercare una quartina sul califfato islamico; e l’ho trovata. Non avevo dubbi; con qualche martellata di qua e qualche altra di là, alla fine si trova di tutto. Il mio amico Nostradamus mi perdonerà se, per una volta, faccio il cattivo allievo, fingendo di ignorare tutto quello che mi ha insegnato lo studio dei suoi scritti.
Tuttavia, poiché il post sta diventando lungo, continuo domani.

venerdì 12 settembre 2014

Graal: storia e mito (16)

Nel simbolismo esoterico il fuoco ha sempre rappresentato l’appassionata aspirazione ad una conoscenza superiore che, squarciando il velo di maya (ignoranza), permette all’uomo di accedere alla piena consapevolezza di sé e della propria natura. Il fuoco brucia le scorie che tengono l’uomo avvolto nell’oscurità e lo fa risorgere, come la Fenice, nel mondo luminoso da cui proviene.

Già negli antichi miti greci, le sue virtù rigeneratrici vengono esaltate dal racconto di Demetra, che decide di rendere immortale il piccolo Demofoonte tenendolo alto sulle fiamme, per bruciare tutto ciò che in lui è mortale[1].

Sul piano biblico, il pensiero corre a Mosè che, salito sul monte Sinai (simbolo dell’ascesa spirituale)[2], si trova alle prese con un roveto ardente che non si consuma. Quando poi ridiscende, il suo volto è così raggiante da dover essere coperto con un velo (simbolo di uno stato superiore, non accessibile ai non iniziati). Impossibile non intravedere un percorso ascetico che, passando attraverso il fuoco interiore, conduce alla trasfigurazione del proprio Sé.

Mi si permetta di riservare un succinto accenno, lievemente fuori tema, anche al simbolismo del passaggio delle acque del Mar Rosso, dalla riva del mondo ostile dell’esistenza manifestata (Egitto) alla riva del mondo iniziatico che conduce alla terra “latte e miele” degli esseri eletti (terra promessa), e al simbolismo delle peripezie nel deserto, assimilabili alle prove che l’eroe (Mosè come Parzival) deve inevitabilmente affrontare prima dell’incontro con il suo destino.
A differenza di Parzival, però, a Mosè non viene concessa una seconda possibilità; egli muore ad un passo dal pieno raggiungimento del traguardo, alle porte dalla terra promessa, a causa di un precedente atto di disubbidienza nel colpire la roccia[3] per fare scaturire l’acqua[4].
Facendo un raffronto con la terminologia medioevale, potremmo dire che quella di Mosé, sacerdote già iniziato ai misteri egizi, sia stata una tra le più antiche ricerche del Graal mai raccontate in maniera dettagliata.

Nel mondo dell’arte, mi limito a citare la “Transverberazione di Santa Teresa d’Avila”, di Gian Lorenzo Bernini, nota anche come “Santa Teresa in fiamme”. La stessa Santa descrive la sua esperienza estatica narrando di un Angelo che la colpisce al cuore con una lancia dalla punta di fuoco.

Per finire (per necessità e non per assenza di esempi), vorrei semplicemente ricordare le fiamme riservate all’uomo peccatore da alcune religioni, tra le quali principalmente la religione cristiana: le fiamme dell’Inferno per coloro che, pur dovendo espiare le loro colpe, non hanno aspirazioni di salvezza; le fiamme del Purgatorio per coloro che accettano la pena come una forma di purificazione, necessaria per l’accesso al Paradiso.

In tutti i casi, si parla di un fuoco che non brucia, che purifica senza consumare. Esattamente come il fuoco attraverso il quale passano indenni la fenice e le salamandre.

Mettendo insieme le informazioni di cui disponiamo, possiamo adesso concludere che la contemporanea presenza della coppa e delle salamandre nel mosaico della Basilica di S. Lorenzo rende evidente l’intenzione dell’artista di rappresentare la leggenda del sacro calice, inteso come simbolo di un’esperienza spirituale che rigenera attraverso il fuoco della purificazione interiore. Quella particolare esperienza che, col nome di Graal, ci ha tenuti impegnati fino ad ora.

…segue…


[1] La trasformazione non riesce per via dell’intervento spaventato della madre del bambino, a dimostrazione che la stupidità e l’avversione umana hanno il sopravvento perfino sulla sapienza degli dei. E’ la stessa inconcludenza di Parzival, incapace di porre la fatidica domanda al suo primo incontro col Graal. E’ anche lo stesso errore che, come vedremo subito, compie Mosè di fronte a una delle prove che deve affrontare.
[2] Maimonide, il cui pensiero rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medioevale, sostiene che le parole “ascesa” e “discesa” possono assumere tre significati. In relazione al terzo significato, al quale attribuisce natura allegorica, Maimonide dice: “E Mosè salì verso Dio si riferisce al terzo significato, e questo si aggiunge al fatto che Mosè salì in cima al monte”.
[3] Maimonide dice che la roccia è allegoria di Dio come causa prima di tutto ciò che esiste. Non sfugge, certamente, un possibile collegamento con l’archetipo della pietra/roccia alla quale si ispira anche la pietra del Graal o “lapsit exillis”.
[4] L’acqua è simbolo dell’elemento vitale; nel cristianesimo diventa l’acqua viva di Gesù, lo Spirito di verità che vivifica.

lunedì 8 settembre 2014

Vaticinia di Nostradamus (seguito)

Per capire le affermazioni del post precedente, è necessario esaminare la pressoché sconosciuta composizione del manoscritto che, benché rilegato in un corpo unico, è suddiviso in tre parti.

La prima parte è un singolo foglio (scritto su entrambe le facciate), contenente la presunta attribuzione a Nostradamus. Le sua dimensioni sono cm. 19,5 x 13,3.
La seconda parte è costituita da 80 disegni, uno sulla prima facciata di altrettanti fogli di cm. 30,4 x 21,2.
L’ultima parte è una nota informativa sottoscritta e datata 6 settembre 1629, di cm. 27,8 x 21,4.

La calligrafia che appare in ciascuna parte (compresa l’annotazione sull’ultimo disegno – cfr. post precedente) è ogni volta diversa.

Fatte queste premesse, passiamo al primo foglio.

Di dimensioni notevolmente ridotte rispetto agli altri fogli, porta il titolo “Vaticinia Michaelis Nostradami de futuris Christi Vicarijs ad Cesarem Filium D.I.A. interprete”. Tradotto: “Vaticini di Michel Nostradamus sui futuri vicari di Cristo al figlio Cesare D.I.A. interprete”. Lasciamo perdere l’acronimo “D.I.A.”; quando si ha a che fare con gli acronimi sconosciuti, si può dire tutto e il contrario di tutto; non è quindi il caso di abbandonarsi alle speculazioni.

Questa intestazione è l’unica motivazione dell’attribuzione dei disegni a Nostradamus. Ad essa seguono otto vaticini in prosa, l’ultimo dei quali è incompleto, essendo costituito da una sola riga monca. E’ evidente che, all’origine, il discorso proseguiva su altra o altre pagine, mancanti nel fascicolo rilegato.
Ciascuno degli otto vaticini riporta i nomi dei pontefici che vanno da Urbano VIII (eletto nel 1623) a Alessandro VIII (eletto nel 1689). Dunque, chiunque abbia scritto questo foglio lo ha fatto indubitabilmente dopo il 1689, quando Nostradamus e il figlio Cesare erano morti da un bel pezzo.


Peraltro, se rileggiamo attentamente l’intestazione, ci rendiamo conto che essa non significa assolutamente nulla. Cosa vuol dire “Vaticini di Nostradamus al figlio Cesare”? Forse Nostradamus ha consegnato i disegni al figlio? O glieli ha dedicati? E quando? Non certo dopo il 1689.
L’ovvia conclusione è che l’autore del foglio abbia scritto solo una sua opinione. E infatti sembra che egli lo voglia proprio dire, ricorrendo alle parole “D.I.A. interprete”. Fermi restando i dubbi sull’acronimo D.I.A., è evidente che c’è di mezzo un “interprete” che, in quanto tale, fornisce per definizione delle opinioni e non delle certezze.
Tra l’altro, l’autore del foglio, per sua stessa ammissione, si riferisce solo alle immagini dei papi (“vaticini sui futuri vicari di Cristo”), cioè alle ben note repliche dei trenta “vaticinia de summis pontificibus”,  e non all’intero manoscritto.

Riepilogando:

Se teniamo conto della formulazione dell’intestazione e del contenuto dei vaticinia in prosa, peraltro prematuramente interrotti già all’inizio dell’ottavo, non è difficile concludere che il primo foglio costituisca un corpo estraneo ai disegni, ai quali è stato unito in sede di rilegatura.
La scrittura diversa dalle altre e le dimensioni ridotte sono fattori di conferma di questa estraneità.

Evidentemente qualcuno, posteriormente al 1689, ha ritenuto di poter attribuire la prima parte dei disegni, e solo quella, a Nostradamus e ha cercato di interpretarla a modo suo pensando, per qualche motivo, che quei disegni fossero stati consegnati o dedicati al figlio Cesare.
Delle sue interpretazioni ha scritto un certo numero di fogli, dei quali ne è rimasto soltanto uno, visibilmente incompleto.
In sede di rilegatura, quel foglio è stato unito al blocco di tutti i disegni.

…segue…

giovedì 4 settembre 2014

Intervista su Acam.it

Segnalo, di seguito, un link al sito Acam.it di Enrico Galimberti, nel quale è stata pubblicata un'intervista fattami da Simone Leoni sulla figura di Nostradamus.

Intervista su Acam.it

Sulla base delle nuove scoperte che emergono man mano che procedo con le mie ricerche, sono convinto di aver messo a fuoco con sufficiente precisione la vera figura del veggente provenzale. Mi perdonerete se mi spingo fino a dire:


"Vi presento Nostradamus"


Buona lettura.

martedì 2 settembre 2014

Graal: storia e mito (15)

Molto ci sarebbe ancora da dire sul significato della coppa come raffigurazione visibile del Graal, ma possiamo accontentarci di quanto finora esposto. Adesso, prima di ricondurre la questione a San Lorenzo, diamo un’occhiata all’altro elemento che appare nel mosaico che stiamo esaminando: le due salamandre. 


Mentre la coppa trova un riscontro nell’incarico dato a Precelio di portare il sacro oggetto in Aragona, la presenza delle salamandre costituisce un indiretto riferimento al fuoco sul quale fu messo ad arrostire San Lorenzo.

Secondo un’antica tradizione, non rispondente alla realtà, le salamandre sarebbero capaci di attraversare le fiamme rimanendo illese. Sebbene questa particolarità renda l’accostamento al Santo piuttosto fragile, dal momento che il fuoco fu per lui fatale, vedremo che paradossalmente il punto forte del mosaico risiede proprio in questa contraddizione.

La speciale capacità leggendaria delle salamandre trova un parallelo nella virtù della mitica Fenice di rigenerarsi nel fuoco, risorgendo dalle proprie ceneri.
Già in un precedente post abbiamo detto che “il Gral è un concetto che allude ad una rinascita alle proprie radici celesti (o divine): è appunto il mito della fenice che risorge dalle proprie ceneri; l’uomo che riconquista la propria origine”.
E’ lo stesso Trevizrent, lo zio eremita, che rivela a Parzival il legame tra il Graal e la Fenice:

Esso [il Gral] è chiamato Lapsit exillis. In virtù di questa pietra la Fenice è bruciata in cenere, per poi rinascere”.

Vorrei ricordare in proposito[1] che gli antichi alchimisti celavano sotto l’enigma della salamandra, che attraversa il fuoco, l’opera di purificazione dei metalli, per l’ottenimento della “pietra filosofale”. Il parallelo con la pietra del Graal chiamata “Lapsit exillis”, che conferisce le virtù rigenerative alla Fenice, non potrebbe essere più esplicito.

…segue…



[1] René Guenon: I simboli della scienza sacra.