Nel simbolismo esoterico il fuoco ha sempre
rappresentato l’appassionata aspirazione ad una conoscenza superiore che,
squarciando il velo di maya (ignoranza), permette all’uomo di accedere alla
piena consapevolezza di sé e della propria natura. Il fuoco brucia le scorie
che tengono l’uomo avvolto nell’oscurità e lo fa risorgere, come la Fenice, nel
mondo luminoso da cui proviene.
Già negli antichi miti greci, le sue virtù
rigeneratrici vengono esaltate dal racconto di Demetra, che decide di rendere
immortale il piccolo Demofoonte tenendolo alto sulle fiamme, per bruciare tutto
ciò che in lui è mortale[1].
Sul piano biblico, il pensiero corre a Mosè che,
salito sul monte Sinai (simbolo dell’ascesa spirituale)[2],
si trova alle prese con un roveto ardente che non si consuma. Quando poi ridiscende,
il suo volto è così raggiante da dover essere coperto con un velo (simbolo di
uno stato superiore, non accessibile ai non iniziati). Impossibile non
intravedere un percorso ascetico che, passando attraverso il fuoco interiore,
conduce alla trasfigurazione del proprio Sé.
Mi si permetta di riservare un succinto accenno,
lievemente fuori tema, anche al simbolismo del passaggio delle acque del Mar
Rosso, dalla riva del mondo ostile dell’esistenza manifestata (Egitto) alla
riva del mondo iniziatico che conduce alla terra “latte e miele” degli esseri
eletti (terra promessa), e al simbolismo delle peripezie nel deserto,
assimilabili alle prove che l’eroe (Mosè come Parzival) deve inevitabilmente
affrontare prima dell’incontro con il suo destino.
A differenza di Parzival, però, a Mosè non viene
concessa una seconda possibilità; egli muore ad un passo dal pieno
raggiungimento del traguardo, alle porte dalla terra promessa, a causa di un
precedente atto di disubbidienza nel colpire la roccia[3]
per fare scaturire l’acqua[4].
Facendo un raffronto con la terminologia
medioevale, potremmo dire che quella di Mosé, sacerdote già iniziato ai misteri
egizi, sia stata una tra le più antiche ricerche del Graal mai raccontate in maniera dettagliata.
Nel mondo dell’arte, mi limito a citare la
“Transverberazione di Santa Teresa d’Avila”, di Gian Lorenzo Bernini, nota
anche come “Santa Teresa in fiamme”. La stessa Santa descrive la sua
esperienza estatica narrando di un Angelo che la colpisce al cuore con una
lancia dalla punta di fuoco.
Per finire (per necessità e non per assenza di
esempi), vorrei semplicemente ricordare le fiamme riservate all’uomo peccatore
da alcune religioni, tra le quali principalmente la religione cristiana: le
fiamme dell’Inferno per coloro che, pur dovendo espiare le loro colpe, non
hanno aspirazioni di salvezza; le fiamme del Purgatorio per coloro che
accettano la pena come una forma di purificazione, necessaria per l’accesso al
Paradiso.
In tutti i casi, si parla di un fuoco che non
brucia, che purifica senza consumare. Esattamente come il fuoco attraverso il
quale passano indenni la fenice e le salamandre.
Mettendo insieme le informazioni di cui
disponiamo, possiamo adesso concludere che la contemporanea presenza della
coppa e delle salamandre nel mosaico della Basilica di S. Lorenzo rende
evidente l’intenzione dell’artista di rappresentare la leggenda del sacro
calice, inteso come simbolo di un’esperienza spirituale che rigenera attraverso
il fuoco della purificazione interiore. Quella particolare esperienza che, col
nome di Graal, ci ha tenuti impegnati fino ad ora.
[1] La trasformazione non
riesce per via dell’intervento spaventato della madre del bambino, a dimostrazione
che la stupidità e l’avversione umana hanno il sopravvento perfino sulla
sapienza degli dei. E’ la stessa inconcludenza di Parzival, incapace di porre
la fatidica domanda al suo primo incontro col Graal. E’ anche lo stesso errore
che, come vedremo subito, compie Mosè di fronte a una delle prove che deve
affrontare.
[2]
Maimonide, il cui pensiero rappresenta il più alto livello raggiunto dalla
speculazione ebraica medioevale, sostiene che le parole “ascesa” e “discesa”
possono assumere tre significati. In relazione al terzo significato, al quale
attribuisce natura allegorica, Maimonide dice: “E Mosè salì verso Dio
si riferisce al terzo significato, e questo si aggiunge al fatto che Mosè salì
in cima al monte”.
[3]
Maimonide dice che la roccia è allegoria di Dio come causa prima di tutto ciò
che esiste. Non sfugge, certamente, un possibile collegamento con l’archetipo
della pietra/roccia alla quale si ispira anche la pietra del Graal o “lapsit
exillis”.
[4]
L’acqua è simbolo dell’elemento vitale; nel cristianesimo diventa l’acqua viva
di Gesù, lo Spirito di verità che vivifica.
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