Siamo adesso pronti per una lettura alternativa della
storia di San Lorenzo. Tuttavia, per giustificare un tentativo che può sembrare
azzardato, è prima necessario ricordare come, in passato, la trasmissione di
certi elementi iniziatici venisse spesso affidata alla memoria collettiva
attraverso la creazione di una leggenda o, comunque, di una narrazione
ingannevole per le masse, ma accessibile a coloro che nel tempo sarebbero stati
capaci di comprendere.
Un tale tipo di scelta permetteva di ovviare al rischio
di oblio al quale è sempre stata esposta una tradizione o una conoscenza
ristretta a una limitata cerchia di persone. In queste circostanze, le masse
popolari venivano inconsapevolmente utilizzate come una sorta di registratore
perpetuo, in grado di garantire la sopravvivenza di tradizioni che trovavano la
loro origine assai indietro nel tempo.
Da rilevare che il folklore narrativo popolare ha di
volta in volta assunto le forme più impensabili e irriconoscibili che, però,
conservavano sempre gli elementi costitutivi della storia originale, in modo da
renderli immuni alle alterazioni del tempo. L’abbiamo visto con i romanzi sul
Graal e con la storia biblica di Mosè; potrei ricordare le “profezie dei Papi”
di Malachia, nelle quali Arnoldo Wion trasmette la sua dottrina eretica, e le
più ben note “profezie di Nostradamus”, veicolo di messaggi occulti che tutto
sono tranne che profezie; potrei accodarmi senza esitazioni a quanti vedono la
descrizione di un percorso iniziatico nella Divina Commedia.
Preferisco però stupire qualcuno, citando le narrazioni
popolari più improbabili, quali le favole, che non sempre sono dei semplici ed
innocenti racconti. Per dimostarlo con un esempio, e districandomi
nell’imbarazzo della scelta, faccio ricorso ad “Alì Baba e i quaranta ladroni”.
Un solo attimo di riflessione permette di capire che il
tesoro di Alì altro non è che una versione volgarizzata del Graal di Perceval.
L’invocazione “apriti/chiuditi sesamo” costituisce la parola perduta che dà
accesso allo stato di grazia. La caverna[1]
è il simbolo del luogo nel quale viene sepolto l’uomo vecchio e dal quale
risorge l’uomo nuovo, che nel buio dell’antro trasforma il suo stesso essere
(percorso interiore); la caverna, in altri termini, è sepolcro dell’uomo materiale e, allo stesso tempo, ventre ed utero materno per la
gestazione e la nascita dell’uomo spirituale. Alì, povero taglialegna che
diventa uomo ricco, è dunque allegoria dell’uomo spiritualmente povero che
conquista sapienza e conoscenza. Non manca la pietra/roccia, allegoria di Dio
(cfr. nota 3 del post precedente), che ostruisce l’accesso al “tesoro” a chi non conosce la parola
perduta. Il numero dei ladroni ripercorre con aperta evidenza la tradizione del
mistico quaranta. Agrippa, uno degli ispiratori del “codice Nostradamus” (cfr.
quartine VI,4 e VI,91), scrive nella “Filosofia occulta” che “quaranta” è
sinonimo di espiazione, di penitenza e
di misteri, perché Dio, al tempo del diluvio, ha fatto piovere sulla terra per
quaranta giorni e quaranta notti; i figli d’Israele hanno abitato il deserto
per quaranta anni; la distruzione di Ninive è stata differita di quaranta
giorni; Mosè, Elia e Cristo hanno digiunato per quaranta giorni.
In ogni dettaglio, lo schema della favola è quello
ricorrente: il messaggio originale
subisce una rielaborazione che ne banalizza il contenuto, senza tuttavia
comprometterne la leggibilità; viene quindi divulgato secondo modalità che
assicurino la più ampia penetrazione popolare e la persistenza nel tempo.
Del tutto simile sembra essere il caso della leggenda del
martirio di San Lorenzo, a meno che non si vogliano ignorare sia
l’interpretazione dell’artista del mosaico che la ricchezza dei simboli di cui
sono intessute le vicende e la figura del Santo.
…segue…
1
Per un’ampia trattazione del simbolismo della caverna, cfr. R. Guénon “I
simboli della scienza sacra”.
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