La storia di Boron è bellissima
e ricca di simbolismi e allusioni difficili da cogliere. La narrazione però,
come ho giù avuto modo di dire, è eccessivamente fantasiosa e a volte banale e
noiosa. E’ tutto un trucco, come tante opere allegoriche, per distogliere
l’attenzione del lettore dal nucleo principale.
Al di là del significato
iniziatico della leggenda, non è difficile capire come Nostradamus, nel
riservare per sé il ruolo di Merlino, assegni il ruolo di Perceval a Cesare,
suo interprete designato.
Costui dovrà primeggiare sugli
altri interpreti (i cavalieri di re Artù) e, dopo infinita ricerca, trovare la
chiave delle Centurie (la lancia di Longino e il vaso del Graal). Ma questo non
sarà sufficiente fino a quando, ponendosi le giuste domande, non penetrerà il
fine ultimo delle stesse Centurie (il significato del Graal): un significato dalla
doppia valenza, quindi, che non si limita ad una assimilazione solo allegorica
del segreto delle Centurie a quello del Graal ma, in effetti, consiste proprio
nel segreto del Graal.
Questo è il contenuto esoterico della
quartina II,79 dalla quale siamo partiti e alla quale dovremo tornare.
Praticamente potrei chiudere la
trattazione con poche parole di spiegazione di questi versi. Tutto il
retroscena, mettendo insieme il mio libro su “Cabala, Templari e Graal”, le
informazioni di questo blog e la
leggenda di Robert de Boron, dovrebbe apparire chiaro. Tuttavia, avendo scelto
la strada delle ampie spiegazioni, credo che, per mantenere alto (lo spero) il
livello della narrazione, debba essere spesa qualche parola in più su due
protagonisti della leggenda: Giuseppe di Arimatea e Longino.
Torniamo quindi ai Vangeli per
verificarne la coerenza con la storia
di Boron.
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