Continuando con la nostra analisi del brano evangelico,
osserviamo che Pietro, pur perdendo il coraggio al tavolo dell’ultima cena, e
non solo allora, possiede un carattere spavaldo[1].
Nella scena finale, quando Gesù gli affida le sue “pecore” e lo invita a
seguirlo, la sua baldanza lo fa sentire
“un generale” che vuole discutere delle sorti altrui. Però non chiede degli
altri apostoli, come sarebbe più logico.
Chiede, invece, di essere reso partecipe della decisione
sulle sorti del discepolo anonimo che, anche se non lo dice apertamente,
considera un intruso nella cerchia dei dodici prescelti (undici, dopo il
tradimento di Giuda). E lo chiede evidentemente male! Talmente male, da
meritarsi una rispostaccia irritata: “Se io voglio… a te che importa? Tu
seguimi” (Gv. 21, 22).
Traduco: “Pensa a fare la tua parte e non t’immischiare
nei progetti che ho per lui”.
Non è normale una risposta del genere, data a colui che è
appena stato nominato vicario (“pasci le mie pecore”, Gv. 21, 17), a
meno che la domanda non tradisca gelosia, invidia o intolleranza; un
interessamento sinceramente affettuoso e preoccupato avrebbe probabilmente
ottenuto una risposta più serena e tranquillizzante.
Quante volte, da ragazzi e forse anche da adulti, abbiamo
assunto un atteggiamento di complicità, all’interno di una cerchia di amici,
chiedendo come comportarci con un tizio estraneo al nucleo: “Che facciamo? Lo
portiamo al cinema con noi? Lo rendiamo partecipe di quello che stiamo facendo?
Ci inventiamo una scusa per escluderlo?”.
Ecco! Questo deve essere stato l’atteggiamento di Pietro, che
proprio di quel discepolo domanda e non degli altri apostoli, provocando la
risposta che ha ricevuto.
Non si pensi che voglia fare della propaganda anti-Pietrista.
Tutt’altro! Ho rispetto e venerazione per il primo degli Apostoli, e non ho
alcuna intenzione di oscurare il riscatto della sua morte (crocifisso a testa
in giù, secondo la tradizione). Però resta il fatto che aveva un caratteraccio!
L’ostilità verso il discepolo, se questi è veramente Giuseppe
di Arimatea, sembra raggiungere il culmine nei giorni successivi
all’ascensione, quando bisogna nominare un dodicesimo apostolo, in sostituzione
di Giuda. La scelta è ristretta a Giuseppe, soprannominato Giusto, e a Mattia.
Si tira a sorte e viene prescelto Mattia (Atti 1, 23-26). Può essere che
“Giuseppe il Giusto” sia “Giuseppe di Arimatea”, che Luca (Lc. 23, 50)
qualifica come “persona dabbene
e giusta”? Se veramente si tratta dello stesso Giuseppe, chi meglio
di lui? Perché tirare a sorte? Forse per escludere l’inviso discepolo
prediletto con una estrazione truccata?
La rottura definitiva è consumata e Giuseppe sparisce dalla
tradizione cristiana. Resta, perché incancellabile, l’episodio del sepolcro. Il
discepolo più amato da Gesù, rifiutato dagli apostoli, trova nella
clandestinità il rifugio migliore per lo svolgimento della sua missione.
Solo illazioni, ovviamente; ma illazioni abbastanza motivate,
soprattutto se teniamo conto che, anche se qualificassimo come fantasie le
ipotesi avanzate nelle mie ricostruzioni, Giuseppe di Arimatea avrebbe
obiettivamente tutte le carte in regola, e anche di più, per godere di una
speciale venerazione, in ricordo del suo comportamento ai piedi della Croce.
Perché, allora, gli viene negata questa visibilità?
[1] Dopo la
trasfigurazione: “Maestro, com’è bene per noi star qui! Facciamo tre tende,
una per te, una per Mosè, una per Elia” (Mc. 9, 5). Pietro offre la sua
vita: “Pietro insisté: E perché, Signore, non posso seguirti ora? Darei per
te la mia vita. Gesù soggiunse: Tu darai la tua vita per me? In verità, in
verità ti dico: non canterà il gallo, che già mi avrai rinnegato tre volte.”
(Gv. 13, 37). Gesù preannuncia la sua morte: “Ma Pietro, trattolo a sé
cominciò a fargli rimostranze dicendo: Oh no, Signore! Questo non ti accadrà!”
(Mt. 16, 22). Pietro vorrebbe camminare sulle acque: “Allora Pietro gli
disse: Signore, se sei tu, comanda che io venga a te sull’acqua” (Mt. 14,
28). Pietro colpisce uno degli uomini che arrestano Gesù: “Allora Simon
Pietro, che aveva una spada, la sfoderò e colpì un servo del Sommo Sacerdote e
gli tagliò l’orecchio destro” (Gv. 18, 10).
Nessun commento:
Posta un commento