Torniamo al dialogo tra Gesù e Pietro.
A prescindere dai toni, è evidente che Gesù coltiva sul
discepolo beneamato un progetto particolare. Quel “se io voglio…” non è
una semplice espressione ipotetica, che lascia il discepolo senza un futuro. E’
solo un voler tacere su quel futuro, che un discepolo così stretto deve
necessariamente avere, come e più di tutti gli altri: un incarico speciale,
quindi, come abbiamo fin qui ipotizzato.
Interessante anche il riferimento al ritorno di Cristo: “Se
io voglio che egli resti finché io ritorni…”. E’ davvero
un’esemplificazione o contiene il germe del progetto?
Anche Paolo, nella sua ricostruzione del rito
dell’Eucaristia, sostiene che “…tutte le volte che voi mangiate di questo
pane e bevete di questo calice, celebrate la morte del Signore, finché egli
venga” (1 Corinti, 11, 26).
Nel brano del Vangelo dal quale siamo partiti, è detto che “Si
sparse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non doveva morire. Ma
Gesù non disse a Pietro che quel discepolo non doveva morire” (Gv. 21, 23).
Certamente l’affermazione di Gesù viene fraintesa, ma forse
non del tutto, se è vero che l’incarico affidato a Giuseppe consiste nella
custodia del sangue della “vita eterna”. Appare indiscutibile, sotto questo
aspetto, la coerenza con il racconto di Boron.
Nessun commento:
Posta un commento