Tecniche di Nostradamus

martedì 26 febbraio 2013

Mabus


Nell’ambito del gruppo di quartine riguardanti la cometa, resta da esaminare la II,62, contenente un riferimento a quel Mabus sul conto del quale si è tanto favoleggiato nel corso dei secoli: anticristi, re, papi, governanti… ci si è visto di tutto: perfino Osama Bin Laden e Barack Obama; mancava solo “topo Gigio”.
Invece, come spero di avere ampiamente dimostrato, le quartine relative alla cometa sono semplicemente delle quartine di struttura. Questa non fa eccezione.

II,62

Mabus poi subito morirà, verrà,
Di gente e bestie una orribile disfatta:
Poi di colpo la vendetta si vedrà,
Cento, mano, sete, fame, quando passerà la cometa.

Come molti sanno e come sanno bene coloro che hanno letto i miei libri, nell’epistola a Enrico II Nostradamus sviluppa un enigma con due serie di intervalli biblici, entrambi sbagliati rispetto alla Bibbia e discordanti tra di loro. Quell’enigma nasconde diversi messaggi. Uno di questi verte su un episodio della vita di Nostradamus, tuttora in attesa che si renda giustizia alla verità. Ne ho accennato nel libro “Il vero codice di Nostradamus”; l’accenno è presente solo nella edizione cartacea, dalla quale riprendo il seguente brano:

…la vendetta è un piatto che si serve freddo. E di vendette devono esserne compiute almeno un paio; una, in particolare, riguarda un episodio storico di Nostradamus, naturalmente descritto in codice da lui stesso, del quale nessun biografo è a conoscenza.

E’ quella stessa vendetta di cui Nostradamus parla al terzo verso della quartina sopraindicata.

Poi di colpo la vendetta si vedrà,

Giusto per fornire un’indicazione, dico solo che è una questione di verità storica: il “furto” di una scoperta; oggi lo chiameremmo “plagio”.

Cosa racconta l’intera quartina? A parte il consueto richiamo a delle immagini apocalittiche, comuni a tutte le quartine del gruppo, è detto che:

Quando passerà la cometa (edizione A. Du Rosne)
Subito dopo verrà e morirà Mabus
Così, si realizzerà la vendetta.

Cos’è che viene dopo l’edizione A. Du Rosne? L’edizione Pierre Rigaud del 1566.
Ma, con precisione maggiore, cos’è che viene subito dopo l’edizione du Rosne? L’edizione Pierre Rigaud, subito dopo (puis tost) aver ripreso il contenuto dell’edizione du Rosne, inizia con l’epistola a Enrico II, nella quale sono contenute le due cronologie bibliche. Mabus ha una relazione con la prima di queste due cronologie, il cui totale è 4758. Do per scontato che abbiate letto uno qualsiasi dei miei libri oppure che vi procuriate l’epistola a Enrico II e facciate i vostri calcoli.

Tra le varie funzioni di questo numero, nel libro “Cabala, Templari e Graal” abbiamo trovato un collegamento con la parola Graal (4758 è una permutazione delle cifre che compongono il numero 8547, ottenuto da 77 x 111). Con lo stesso identico metodo, troviamo un collegamento con la parola “”Mabus”.

Infatti, sulla base della tabella di Gematria contenuta nel libro, otteniamo:

M
A
B
U
S
2
1
2
1
8

Nostradamus ricorre spesso alla ripetitività dei metodi proprio per garantire l’intenzionalità del risultato. Perciò, come nel caso della parola “Graal” abbiamo moltiplicato le prime due cifre per le successive tre, ottenendo 8547 (rimescolamento di 4758), anche in questo caso, moltiplicando 21 x 218, otteniamo 4578 (altro rimescolamento di 4758).

Questo significa che, subito dopo (puis tost) il contenuto dell’edizione Du Rosne, viene l’epistola a Enrico II con le sue cronologie bibliche, la prima delle quali è correlata a “Mabus”. La morte di Mabus è la soluzione dell’enigma delle cronologie[1] che, risolto, cessa di essere un enigma e, quindi, muore… per la vendetta si vedrà. Non è detto che debba essere resa pubblica; il fatto stesso che la verità sia stata trovata è già una vendetta.

Mi devo scusare per un post così criptico, ma la sola alternativa sarebbe stata quella di tacere del tutto. Il fatto è che, per una questione di completezza, non potevo omettere questa quartina quando ho mostrato tutte quelle che trattano della cometa. Come certamente ricorderete, nell’impegnarmi a dimostrare il carattere strutturale delle quartine riguardanti la cometa, ho anche premesso che mi sarei attenuto agli aspetti generali, senza addentrarmi nei dettagli non pertinenti alla dimostrazione. In questo caso ho avuto qualche difficoltà in più, dal momento che non è stato possibile tenere nettamente distinti i due atteggiamenti.



[1] Quello delle cronologie è l’enigma centrale di tutte le centurie e costituisce garanzia che nessuno possa fare man bassa delle mie scoperte del codice. Perciò, la sua soluzione sarà l’ultima ad essere rivelata al momento opportuno.

domenica 24 febbraio 2013

Il rinnovamento di secolo


II,46

Dopo grande umano sconvolgimento, uno più grande si appresta,
Il grande motore rinnova i secoli.
Pioggia, sangue, latte, carestia, ferro e peste,
Nel cielo vista lunga scintilla di fuoco che corre.

Questa è una delle quartine all’apparenza più catastrofiche di tutte le centurie. Non c’è interprete che non vi abbia intravisto la fine del mondo o, comunque, grandi cataclismi per l’umanità. Niente di più sbagliato.
Senza dimenticare che essa appartiene al gruppo delle comete, già qualificato “di struttura” e non profetico, vediamo cosa dobbiamo veramente leggervi.

Dal libro “Cabala, Templari e Graal”, sappiamo che il mondo (e di riflesso l’umanità) è costituito dall’insieme delle quartine associate alle lettere dell’alfabeto, analogamente al “rimescolamento delle lettere dell’alfabeto” nel processo di creazione del mondo e degli esseri viventi da parte di Dio, secondo il testo cabalistico “Sepher Yetzirah”.
Il motore è il “meccanismo” con il quale sono codificate le centurie; anche questo ci è noto.
Sappiamo anche che i secoli sono le centurie; gli uni e le altre, infatti, sono composti da 100 elementi.
Il rinnovamento, citato anche in altre quartine e nelle epistole di Nostradamus, riveste di solito un significato che ho già trattato ampiamente nei miei libri e in altri brani di questo blog: è il cambiamento della chiave di decifrazione a un certo punto dell’opera. Come spartiacque di questo rinnovamento, ho sempre indicato la quartina VI,100 che, in realtà, non ha un numero d’ordine esplicito, ma un titolo:  “Legis cantio”.
La fame, la peste, etc., come ho scritto in un post precedente, rappresentano simbolicamente gli effetti della sconfitta a cui vanno incontro coloro che si cimentano con l’enigma.
La scintilla di fuoco nel cielo ci rimanda alla cometa e, quindi, all’edizione A. Du Rosne delle centurie.

Rileggendo la quartina II,46 alla luce di queste precisazioni, scopriamo allora che Nostradamus sta dando delle informazioni al suo interprete:

Dopo grande umano sconvolgimento (dopo un iniziale rimescolamento dell’ordine delle quartine)
Uno più grande si appresta (ve ne è un altro ancora più complesso)
Il grande motore rinnova i secoli (da un certo punto in avanti, si rinnova l’organizzazione delle centurie)
Pioggia, sangue, latte, carestia, ferro e peste (la lotta per la comprensione)
Nel cielo vista lunga scintilla di fuoco che corre (la “Legis Cantio” alla quale si interessa questa quartina è quella dell’edizione A. Du Rosne, che presenta diverse differenze rispetto a quella delle edizioni successive P. Rigaud e B. Rigaud.).

venerdì 22 febbraio 2013

Alla ricerca della cometa


Caratteristica comune alle quartine che stiamo esaminando è il verificarsi di flagelli quale fame, peste, carestia, moria di gente e bestie. Tutte metafore inserite di proposito per far pensare a profondi influssi negativi della cometa mentre, invece, rappresentano la disfatta e la miseria della comprensione a cui vanno incontro coloro che si cimentano con l’enigma.

Come premesso la volta scorsa, trascuro le parti che non riguardano direttamente l’argomento che intendo affrontare (morte del grande di Roma = soppressione di una parte editoriale "fasulla"; Persia che invade la Macedonia = predominio, in alcune parti, di una edizione sull’altra; Suze, Sienne, Boece, Eretrion, le cui iniziali forniscono il numero gematrico di 23[1], fondamentale nella crittografia di Nostradamus; etc.). Questi sono aspetti di dettaglio delle “istruzioni operative”, non necessari per la dimostrazione.

Ecco, invece, ciò che a noi interessa (quartine VI,6 – II,96 - II,43):

Apparirà verso il settentrione,
Non lontano dal Cancro la stella cometa:

Fuoco ardente in cielo di sera sarà visto
Presso la fine e il principio del Rodano:

Durante l’apparizione della stella cometa,
I tre grandi principi diventeranno nemici,

Diamo un’occhiata alla vignetta che appare nella copertina dell’edizione “Du Rosne” delle centurie, non presente nelle edizioni Rigaud:


I lettori del libro “Cabala, Templari e Graal” sanno già che la copertina dell’edizione Antoine du Rosne è una miniera di codice. La vignetta non sfugge alla regola.
E’ il metodo Nostradamus: un tassello di codice qua, un tassello di codice là, finché le istruzioni complete per la ricostruzione delle centurie emergono in chiaro.

In alto a destra è rappresentata una cometa che si avvicina al quarto di luna. Nostradamus prende a riferimento questa immagine proprio per designare questa edizione e precisare l’uso che bisogna farne.

- Apparirà verso il settentrione (a nord = in alto nel disegno)
- Non lontano dal [C]ancro (vicino alla “C” del quarto di luna) la stella cometa
- Fuoco ardente in cielo di sera sarà visto (il sole sulla destra della cometa)
- Presso la fine e il principiodu Rosne (il verso contiene sia l’esplicito riferimento alla edizione “du Rosne” che le coordinate del sole, il fuoco ardente, all'interno della vignetta: “alla fine” in orizzontale, “all’inizio” in verticale). Da notare la finezza racchiusa nell’espressione “fine e principio”, che focalizza la posizione del sole meglio di “principio e fine”, come potrebbe sembrare più logico.
- Durante l’apparizione della stella cometa (l’edizione Antoine du Rosne)
- I tre grandi principi ("princes" nell'originale) diventeranno nemici (contrasti tra le tre edizioni delle centurie: Du Rosne, P. Rigaud e B. Rigaud). Faccio notare che “princeps” era un grado militare dei centurioni romani, ufficiali che comandavano le “centurie”. Non pensiamo a chissà cosa se, alla stessa maniera, uno dei versi afferma che “morirà il grande di Roma”; è solo un aiuto a sgombrare il campo dal superfluo.

Ci dobbiamo ancora occupare delle quartine rimaste II,46 e II,62. Già da ora, però, la questione della cometa dovrebbe essere chiara e, spero, convincente. I riferimenti incrociati all’edizione “du Rosne”, alla grafica della vignetta e ai “princeps” garantiscono la correttezza dell’interpretazione, che in nessun’altra maniera potrebbe essere soddisfatta.




[1] Valore ridotto, come da tabella del libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”)

giovedì 21 febbraio 2013

I tre grandi principi


Consapevole di deludere i catastrofisti, devo fare una breve introduzione su ciò che dirò: le quartine relative alla cometa sono parte di un più ampio gruppo, che  descrive il ruolo delle varie edizioni delle Centurie nella ricostruzione delle chiavi di decifrazione. Secondo una terminologia che ho introdotto da tempo, si tratta di quartine di struttura, del tutto estranee alle false e apocalittiche interpretazioni delle quali leggo in giro. La mia analisi sarà limitata agli aspetti generali di questa dimostrazione, mentre tralascerà i pochi versi che si addentrano in dettagli specifici, comprensibili solo nel contesto di una visione più completa.

Cominciamo con l’enunciazione del teorema che intendiamo dimostrare: nell’ambito del gruppo di appartenenza, le specifiche quartine che trattano della cometa forniscono delle indicazioni sul ruolo dell’edizione Antoine Du Rosne del 1557.
Questo è detto esplicitamente al secondo verso della II,96, che riprenderemo più avanti:

Pres de la fin e principe du Rosne

Fuoco ardente in cielo di sera sarà visto
Presso la fine e il principio del Rodano:
Carestia, spada: il soccorso tardi arrivato,
La Persia torna a invadere la Macedonia.

Du Rosne non significa “del fiume Rodano”, come hanno letto indistintamente tutti gli esegeti per 450 anni, ma “Antoine du Rosne”, editore. Solo così, come vedremo, acquista un senso il sibillino luogo della visione, allo stesso  tempo “fine e principio”. O forse dovrebbe significare che la cometa appare solo alla foce e alla sorgente del fiume? Davvero molto brillante, come ipotesi!

Ricordo a tutti che la pubblicazione delle centurie è avvenuta in tre gruppi e in quattro edizioni.

La prima edizione, Macé Bonhomme del 1555, conteneva un primo gruppo di 353 quartine;
La seconda edizione, Antoine du Rosne del 1557, conteneva un secondo gruppo di 289 quartine, oltre alla riedizione delle prime 353;
La terza e quarta edizione, rispettivamente Pierre Rigaud del 1566 e Benoist Rigaud del 1568, contenevano un terzo gruppo di 300 quartine, oltre alle 642 (353+289) delle precedenti edizioni.
Ogni altra edizione non è stata commissionata da Nostradamus o, se lo è stata, aveva il solo scopo di confondere le acque.

Per quanto riguarda le chiavi di decifrazione, a parte alcuni aspetti marginali, l’edizione Bonhomme contiene informazioni che sono riprese integralmente dalla edizione Antoine du Rosne. Se non si disponesse della prima, il lavoro sulla seconda non sarebbe compromesso. Quest’ultima è invece indispensabile per il lavoro di decifrazione, unitamente alle due edizioni Rigaud.

Riepilogando, le tre edizioni Du Rosne, P. Rigaud e B. Rigaud contengono informazioni complementari tra di loro, ma anche informazioni contrastanti, allo scopo di complicare le ricerche. Sono i tre principi del secondo verso della quartina II,43:

 
Les trois grans princes seront fait ennemis,


Durante l’apparizione della stella cometa,
I tre grandi principi diventeranno nemici,
Colpiti dal cielo, pace e terra tremano.
Po e Tevere ondeggianti, serpente messo sul bordo.

Gettate le basi, devo provare a convincervi che non ho scritto delle sciocchezze. Per questo, vi rimando al prossimo post.

martedì 19 febbraio 2013

La cometa di Nostradamus


II,46

 Dopo grande umano sconvolgimento, uno più grande si appresta,
Il grande motore rinnova i secoli.
Pioggia, sangue, latte, carestia, ferro e peste,
Nel cielo vista lunga scintilla di fuoco che corre.

VI,6

 Apparirà verso il settentrione,
Non lontano dal Cancro la stella cometa:
Suze, Sienne, Boece, Eretrion,
Morirà il grande di Roma, notte dispersa.

II,96

 Fuoco ardente in cielo di sera sarà visto
Presso la fine e il principio del Rodano:
Carestia, spada: il soccorso tardi arrivato,
La Persia torna a invadere la Macedonia.

II,43

Durante l’apparizione della stella cometa,
I tre grandi principi diventeranno nemici,
Colpiti dal cielo, pace e terra tremano.
Po, Tevere ondeggianti, serpente messo sul bordo.

II,62

Mabus poi subito morirà, verrà,
Di gente e bestie una orribile disfatta:
Poi di colpo la vendetta si vedrà,
Cento, mano, sete, fame, quando passerà la cometa.

Dopo aver trattato a lungo la questione del Graal, così come vista da Nostradamus, il 31 gennaio scorso, con un post dal titolo “The end", avevo deciso di terminare questa lunga esposizione del Codice Nostradamus, riservandomi di tornare sull’argomento qualora ce ne fosse stata l’opportunità.

Neanche a farlo apposta, si sono verificati immediatamente due eventi di portata straordinaria: le dimissioni di Benedetto XVI e il meteorite caduto sulla Russia; quest’ultimo, in particolare, ha richiamato l’attenzione di molti sulle quartine di Nostradamus che presagiscono guai e sventure in concomitanza con l’apparizione di una cometa. Avviata la discussione, le opinioni si sono divise tra la caduta del meteorite e l’apparizione della cometa ISON prevista per fine anno. Uno dei due fenomeni (meteorite o ISON) o entrambi, sostengono “gli esperti”, sono stati previsti da Nostradamus.
Domanderei ai sostenitori della ISON perché mai la previsione si dovrebbe riferire proprio ad essa e non a un’altra cometa, passata o futura! Mistero!

La verità è che, come al solito, a forza di prendere alla lettera le quartine, si abbocca regolarmente all’amo di Nostradamus. E così non ci si accorge che quest’ultimo, mentre si dilunga veramente sulla questione del Pontefice (io ho commentato quattro quartine), prende in giro tutti quanti con la questione della cometa.
Le quartine indicate in apertura di post, allora? Solo un bell’esempio di come NON bisogna leggerle. Cominciate a rifletterci un po’ sopra, prima di passare al commento. Intanto, le ho messe in ordine per facilitarvi il compito.

L’ultima riguarda addirittura quel famigerato “Mabus” che, da sempre, ha suscitato terrore nei commentatori.

lunedì 18 febbraio 2013

Il grosso mastino


Scrivendo il post sulle dimissioni di Benedetto XVI, ho indicato e commentato la quartina che le prevede, cioè la II,41:

 La grande stella per sette giorni brucerà,
La nube farà due soli apparire:
Il grosso mastino tutta la notte urlerà,
Quando il grande pontefice cambierà territorio.

Con riferimento al terzo verso, ho affermato che il “mastino” è lo stesso Nostradamus. Vediamo di capirne bene il motivo.

Come sostenuto nei miei libri, ribadisco che l’opera di Nostradamus non è interamente profetica. Non lo è, soprattutto, l’epistola a Enrico II nella quale gli scenari descritti, correttamente riletti e opportunamente ricostruiti, forniscono la chiave di decifrazione. Con riferimento alla parte principale di questa chiave, ho segnalato che le quartine devono essere associate  alle frasi in latino contenute nella citata epistola e in quella al figlio Cesare.

Nelle edizioni originali delle centurie, l’epistola a Cesare è scritta a caratteri normali, mentre le frasi in latino sono scritte in corsivo. L’epistola a Enrico II è invece scritta in corsivo, mentre le frasi in latino sono scritte a caratteri normali, cioè “raddrizzate”, usando un termine che vedremo subito.

Tutto questo riguarda il riordinamento delle quartine. Per quanto, invece, riguarda la “lettura in chiaro”, Nostradamus ricorre a una serie di trucchetti, tra i quali tre tecniche cabalistiche: la Temurah, la Gematriah, il Notarikon. Quest’ultimo, in particolare, consiste nella valorizzazione delle lettere iniziali e finali delle parole.

Torniamo all’epistola a Enrico II, che è un vero e proprio “manuale delle istruzioni”. A un certo punto del suo discorso, Nostradamus scrive:

...aprés le  grand chien sortira le plus gros mastin, qui fera destruction de tout, mémes de ce qu’auparavant sera été perpetré, seront redressez les temples...

…dopo il grande cane uscirà il più grosso mastino, che farà distruzione di tutto, anche di ciò che prima era stato perpetrato, saranno raddrizzati i templi…

Applicando il Notarikon a “[c]hie[n]” e “[m]asti[n]”, otteniamo CN e MN, cioè le iniziali di Cesare Nostradamus e Michel Nostradamus.

La frase sopra riportata deve quindi essere riletta in “chiaro”, rispettando lo stile di “traduzione” dell’intera epistola. Proviamoci:

Dopo le frasi latine in corsivo presenti nell’epistola a Cesare Nostradamus (dopo il grande cane - C.N.), Michel Nostradamus (il mastino - M.N.) distruggerà il vecchio metodo (distruggerà ciò che prima era stato perpetrato) e raddrizzerà i templi (raddrizzerà i caratteri, usando quelli non inclinati nell’epistola a Enrico II).

E’ davvero così? E’ davvero rilevante la questione dei caratteri in corsivo (inclinati)? Nell’epistola a Cesare, Nostradamus scrive:

…inclination d’engin congnoistre des secretz obstruses…

…l’inclinazione del meccanismo per conoscere gli astrusi segreti…

A questo punto, avendo fatto conoscenza del “grosso mastino”, diventa evidente che colui che urla al terzo verso della quartina II,41  è lo stesso Nostradamus, che si lamenta per l’evento al quale assiste. Non c’è alcun bisogno di ricercare fantasiose letture alternative.



domenica 17 febbraio 2013

La profezia del Papa nero


In vista dell’imminente conclave, l’attesa per la proclamazione di un Papa nero si è fatta spasmodica. Giornalisti, esperti, maghi, indovini, fattucchiere e perfino bookmakers la danno per probabile, se non addirittura certa.
Forse lo si è dimenticato, ma già prima della nomina di Benedetto XVI si era sviluppato un clima analogo.
Da dove nasce questa convinzione? Esiste davvero qualche profezia che annuncia l’avvento di un Papa di colore?
I riferimenti, come sempre quando si parla di Pontefici, sono a Nostradamus e, soprattutto, a Malachia.

Partiamo dal primo.
Spulciando per bene, qua e là si possono trovare due o tre quartine disponibili per le forzature dei nostradamologi alla Eta Beta, strano personaggio disneyano capace di tirare fuori di tutto dalla tasca delle cianfrusaglie. In realtà a me sembra che, nel contesto della “struttura organizzata” delle Centurie, Nostradamus non faccia alcun annuncio del genere. Vedremo cosa ci proporranno i sostenitori della profezia qualora venisse veramente eletto un Papa nero.

Più articolato, invece, è il discorso su Malachia, vescovo del XII secolo, molto più gettonato di Nostradamus per le profezie sui Papi.
Come noto, Malachia ha tramandato un elenco di brevi motti, ciascuno dei quali esprime una caratteristica distintiva degli ultimi 111 Pontefici. Al 112°, designato come Petrus Romanus, ha riservato una lunga espressione apocalittica.

Il 111° motto, riferito al successore di Giovanni Paolo II, consiste nelle parole “De Gloria Olivae”. I più attenti studiosi hanno sempre ipotizzato che il Papa qualificato con quel motto dovesse provenire dai monaci benedettini, una cui congregazione è detta “olivetana”. Come adesso sappiamo, il Papa attuale non è stato un benedettino, ma ha assunto il nome di Benedetto. Se non siamo al cospetto di una profezia, ma di una semplice coincidenza, bisogna ammettere che tale coincidenza è davvero notevole.
Poiché si potrebbe pensare che questa è una lettura “post eventum”, riporto di seguito il brano di un libro del 2001[1], quattro anni prima dell’elezione dell’attuale Pontefice, che contiene questa interpretazione:


L’autore del libro (S.M. Olaf), del quale si sa poco, appare sicuramente molto competente e documentato. Però, il libro è un romanzo e, come tale, presenta delle esigenze narrative alle quali Olaf non può sottrarsi.
Il protagonista è un sacerdote di nome Augusto, destinato a diventare il Papa del 112° motto di Malachia, Petrus Romanus. Questo sacerdote è ancora abbastanza giovane e vive ai tempi di Giovanni Paolo II. Olaf ritiene poco verosimile, e lo fa capire chiaramente, che tra il 110° Papa (G.P. II) e il 112° (Petrus Romanus) intercorra un solo Papa (De Gloria Olivae), per un intervallo di tempo che dia modo ad Augusto di raggiungere un’età matura prima di essere eletto.

Si potrebbe obiettare che nulla si opporrebbe all’elezione di un Papa relativamente giovane, ma il narratore vuole evidentemente aderire a uno scenario tradizionale, che prescrive una lunga e consolidata esperienza sacerdotale.
Che fa allora? Inventa un motto aggiuntivo, “Caput nigrum” (testa nera), instillando nel lettore un’impressione di autenticità.
Poiché tale motto non è evidentemente presente nel Lignum vitae (la lista di Malachia), egli finge di trovare una informazione segreta in una chiesa di Viterbo. Superfluo dire che, a parte Olaf, nessuno ha mai visto questa fonte informativa. Questa è l’origine della “profezia del Papa nero”. 

Per la verità, non è neanche detto che “Caput nigrum” debba essere necessariamente associato a un Papa di colore. Il caso vuole, ad esempio, che nello stemma di Benedetto XVI sia presente la testa di un moro.



Ecco allora che i sostenitori dell’inesistente profezia si confondono e non capiscono più se questo famigerato Papa nero sia  in realtà Benedetto XVI, al quale deve ancora seguire il “De Gloria Olivae”.
Poco documentati, perché la documentazione costa fatica, non  sanno che lo stesso Olaf, nella parte finale del romanzo, fornisce la corretta successione, unitamente a una nuova e clamorosa finzione, anch’essa data tacitamente per vera e finalizzata alla convalida della narrazione.
Bisogna premettere che, nella basilica romana di San Paolo Fuori le Mura, lungo i cornicioni, sono riprodotte le immagini di tutti i Pontefici, a partire da San Pietro. 


Olaf scrive che, dopo il medaglione riservato a Giovanni Paolo II, all’epoca del romanzo ancora in vita, “restano esattamente tre medaglioni vuoti, per le tre profezie di Malachia che devono ancora realizzarsi: Gloria olivae, Caput nigrum, Petrus Romanus”.

Come si vede, il dubbio sull’ordine di successione viene sciolto dallo stesso Olaf. Ma è falsa l’affermazione che i medaglioni disponibili siano “esattamente tre”: io ne ho contati 27; anzi 28, se consideriamo che quello con il ritratto di Benedetto XVI era ancora vuoto all’epoca della pubblicazione del romanzo.
Chiunque parli del “Caput nigrum” di Malachia e del collegato “Papa nero” dovrebbe quantomeno documentarsi. Saprebbe così che, quand’anche il prossimo Papa dovesse essere di pelle scura, la profezia resterebbe comunque non solo inventata, grazie a un motto aggiuntivo arbitrario, ma anche sbagliata nel conteggio dei medaglioni.




[1] S.M. Olaf, La vigilia dell’eternità, Fazi Editore. Una seconda edizione è apparsa nel 2005 con il titolo: “La profezia dell’ultimo Papa”.

sabato 16 febbraio 2013

La Chiesa del Graal


La terza delle quartine che ci siamo proposti di esaminare ci porta indietro alla vicenda del Sacro Graal, che per tanto tempo ci ha tenuti impegnati negli ultimi mesi. Vediamola, questa quartina VI,12:
  

 Per salire all’Impero radunerà eserciti,
Terrà il sangue Reale del Vaticano:
Fiamminghi, Inglesi, Spagna con Aspire,
Contro l’Italia e la Francia contenderà.

E’ una quartina particolarmente oscura, ma questo non mi preoccupa più di tanto. Resto ostinatamente fermo nel proposito di non lasciarmi trascinare nella trappola dell’interpretazione forzata di ciò che deve ancora avvenire. Mi bastano invece  le indicazioni di massima, benché imprecise, che vengono dai primi due versi.

Il primo raffigura una riorganizzazione di forze, certamente non nel senso letterale di struttura militare. Il secondo, invece, mette a fuoco la finalità di questa riorganizzazione: l’affermazione di un legame tra il sangue Reale e il Vaticano.

“Sang royal”  equivale a “sang real”, dal quale deriva la forma arcaica “San Greal” di quello che, oggi, è conosciuto come “Santo Graal”. Nostradamus, quindi, mette espressamente in relazione il Vaticano e il Graal, sottolineando l’aspirazione dei custodi del Graal ad assumere la conduzione della Chiesa.

Procediamo con ordine, tornando al vecchio discorso del “discepolo beneamato”, depositario del segreto del Graal. Costui si sentiva particolarmente vicino a Cristo e ai suoi più intimi insegnamenti. Però, nonostante l’ostilità che Pietro nutriva nei suoi confronti, egli non ne contestava il primato universale. Del resto, ha assistito personalmente alla sua investitura come pastore del gregge (“pasci i miei agnelli… pasci le mie pecore… pasci le mie pecore… - Gv.  21, 15 e segg.). E, già in precedenza, arrivato per primo al sepolcro di Gesù, si era fermato per aspettare l’arrivo di Pietro e farlo entrare per primo (Gv. 20, 4 e segg.). 

Tuttavia, nel suo Vangelo, il beneamato non manca di rimarcare le distanze:

- nell’ultima cena, si appoggia al petto di Gesù, mentre Pietro deve rivolgersi a lui per avere informazioni sul traditore (Gv. 13, 23-24);
- quando Gesù viene arrestato, egli entra nel palazzo del Sommo Sacerdote, mentre Pietro ha bisogno del suo aiuto per entrare a sua volta (Gv. 18, 13-16);
- nella corsa verso il sepolcro, come già detto, arriva per primo (Gv. 20, 4);
- entrato nel sepolcro, dopo Pietro, soltanto lui “vide e credette” (Gv. 20, 8);
- nel lago di Tiberiade, è sempre lui a riconoscere Gesù e a comunicarlo a Pietro (Gv. 21, 7);
- racconta che Pietro ottiene una brutta risposta, quando tradisce gelosia nel chiedere a Gesù informazioni sulla sua sorte (Gv. 21, 22);
- racconta di sé come l’unico discepolo a non aver mai abbandonato Gesù.

Nonostante quanto precede, il beneamato non assume mai toni polemici o aggressivi nei confronti degli apostoli in generale o di Pietro in particolare; ritiene semplicemente che nessuna istituzione o struttura possa sostituire la vera essenza degli insegnamenti di Gesù, ai quali egli ha avuto accesso in modo particolarmente stretto.
Anche la sua missione, come quella di Pietro, è stata direttamente programmata da Gesù e, perciò, gode quantomeno di eguale dignità. Anzi, è addirittura una missione speciale, tant’è vero che Gesù si rifiuta di farla conoscere a Pietro (Se voglio che egli resti finché io ritorni, che te ne importa? – Gv. 21, 22).

Il beneamato, quindi, rivendica per sé un ruolo ben specifico ma, nello stesso tempo, non spinge il suo individualismo fino al punto da provocare uno scisma. Riconosce il ruolo pastorale di Pietro e, pur nello svolgimento della sua personale missione, resta all’interno della comunità apostolica. Quasi due Chiese, una delle quali, segreta, aderisce all’altra, che svolge un ruolo pubblico e universale.

Fosse ancora vivo, il discepolo beneamato non potrebbe oggi non ricordare la preghiera di Gesù al Padre: “Adesso l’anima mia è conturbata! E che dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma è appunto per questo che io sono venuto in quest’ora” (Gv. 12, 27).
Non potrebbe quindi accettare che, a differenza di Cristo che ha aderito pienamente alla volontà del Padre, Pietro (Benedetto XVI) possa rifiutare il proprio destino, affidando ad altri le pecore che sono state affidate a lui dall’amatissimo Maestro.

Si sentirebbe stanco di assistere impotente agli scandali, alle lotte e ai crimini che, nei secoli, hanno travolto le massime istituzioni della Chiesa. Non potrebbe più tollerare i conflitti per il potere che, ancora oggi, dilaniano le carni della Sposa di Cristo. Non potrebbe più consentire gli agi, i lussi e le ricchezze che circondano coloro che, anziché professare umiltà e amore per il prossimo, proclamando la Parola Cristiana, dedicano i loro sforzi agli intrighi di palazzo.

Nello stesso tempo, saprebbe che non può fare di tutta l’erba un fascio; come diremmo oggi, saprebbe di non poter buttare via il bambino con l’acqua sporca. Saprebbe che, sparsi per il mondo, ci sono migliaia e migliaia di umili servi del Signore che danno perfino la vita per gli afflitti; saprebbe che, per duemila anni, questi umili pastori hanno tenuto viva la fiaccola del Cristianesimo.

Perciò, prenderebbe coscienza di dover agire per ripristinare la vera eredità di Cristo. Capirebbe lo scopo finale della sua missione, di subentro a quella petrina. Saprebbe che è giunta l’ora della Chiesa del Graal, a lui affidata. E’ a questo, appunto, che ci prepara la quartina VI,12 di Nostradamus.

Nel prossimo post ci occuperemo, in quanto attuale, della presunta profezia del Papa nero.

venerdì 15 febbraio 2013

La barca nella tempesta


Spero sia emerso con chiarezza che la presa di posizione del post precedente non implicava alcun giudizio ma, piuttosto, intendeva mettere in risalto il profondo stravolgimento che l’atto delle dimissioni apporta all’elemento fondante della Chiesa.
Nessuno si sognerebbe mai di correggere una sinfonia di Beethoven, senza alterarne la melodia; nessuno, se non un vandalo, si azzarderebbe a dipingere un neo sul viso della Gioconda. Analogamente, e anzi di più, non si può pensare che possa restare privo di gravi conseguenze un atto di enorme rilevanza storica, che altera non un’opera d’arte, ma le stesse basi di una religione alla quale aderisce un miliardo di fedeli, se consideriamo solo i cattolici, o due miliardi, se consideriamo l’intera cristianità.

Una volta si diceva: “Morto un Papa se ne fa un altro”; oggi potremmo dire: “Morta una Chiesa se ne fa un’altra”. Questo è il punto. La vecchia Chiesa cede il passo a una nuova organizzazione e a una nuova mentalità dai contorni da definire. Comunque vada, si è concluso un bimillenario ciclo storico.
Il confronto con i pochi precedenti atti dimissionari, con particolare riferimento a Celestino V, si regge su basi talmente diverse da non essere proponibile. Le dimissioni di Benedetto XVI sono concordate, condivise o imposte, organizzate. Non siamo in presenza di un uomo che rinuncia, ma di una struttura ecclesiastica che codifica e applica scrupolosamente l’innovativo ed esplosivo criterio di un papato “a tempo”. Un evidente clima di complicità e di cospirazione copre perfino le ragioni che hanno condotto a un atto così deflagrante: prima l’età; poi l’accenno a generiche condizioni di salute; infine il riferimento a gesti e rivalità interne che sfigurano la Chiesa.
Un miliardo di persone avrebbe diritto di conoscere il vero motivo per il quale la loro guida spirituale, il vicario di Cristo, lascia il suo posto. Un sistema che confonde le idee è un sistema che teme per la propria sopravvivenza; è un sistema che manca di rispetto al ruolo spirituale che pretende di svolgere.
Perciò, prima ancora di un uomo che rinuncia, viene in primo piano, anche se tenta di restare sullo sfondo, un sistema che implode: la mancanza di trasparenza è solo una forma di difesa della propria debolezza.

I segni erano nell’aria e un evento epocale era atteso. Non certo a caso, nella lettera ai lettori del libro “Cabala, Templari e Graal” ho scritto: “I tempi sono maturi; troppo a lungo è durata l’attesa… così, almeno, risulta dal vero racconto delle Centurie per chi ha orecchio disposto ad ascoltare”.

E sempre non a caso, nel mio post del 14 maggio 2011 (Nostradamus e le profezie di Malachia), che faceva seguito a quello del 12 maggio 2011 (Nostradamus e la profezia di Orval), scrivevo che, con Benedetto XVI, ci si poteva aspettare la chiusura di un cerchio che trovava la sua origine nella permanenza di Nostradamus a Orval.

Tornando alle quartine, già il terzo verso della II,41 (Dimissioni di Benedetto XVI) esalta il lamento di Nostradamus per gli effetti dell’evento:

Il grosso mastino tutta la notte urlerà

Le più bizzarre fantasie si sono scatenate nel tentativo di identificare il mastino. Chi ha letto il libro “Cabala, Templari e Graal” o “L’Anticristo di Nostradamus” sa bene che l’epistola a Enrico II contiene un’espressione che spiega, senza assurde contorsioni mentali, perché il “mastino” sia proprio Nostradamus. La ricordo qui di seguito:

…dopo il grande cane uscirà il più grosso mastino, che farà distruzione di tutto, anche di ciò che prima era stato perpetrato, saranno raddrizzati i templi…

Urla e ulula, il mastino-Nostradamus, perché sa che da queste dimissioni non verrà fuori nulla di buono. E ce lo dice chiaramente nei versi 3 e 4 della quartina I,4:

….
….
Allora si perderà la barca del pescatore,
Sarà retta nel più grande detrimento.

C’è poco da commentare. Comunque vada, gli effetti delle dimissioni saranno devastanti. Forse non saranno subito evidenti, forse ci sarà una nuova Chiesa con nuove regole o anche con le vecchie, ma un mare in tempesta attende la barca di Pietro. Senza contare che la discendenza del discepolo beneamato, la linea del Santo Graal, non sarà più disposta a riconoscere il primato di una Chiesa apostolica che rinuncia nel modo più eclatante alla solennità dell’investitura divina. Di questo ci parla la quartina VI,12 che esamineremo la prossima volta.

giovedì 14 febbraio 2013

C'era una volta la Chiesa


Passiamo all’altra quartina collegata alla II,41, cioè alla I,4:

Dall’universo sarà fatto un monarca,
Che in pace e vita non sarà a lungo:
Allora si perderà la barca del pescatore,
Sarà retta nel più grande detrimento.


Sappiamo dal mio libro “Il vero codice di Nostradamus” che questa quartina fa da cerniera tra l’epistola a Enrico II (ricordate l’enigma delle 3 centurie che completano il migliaio?) e le centurie. Siamo al nocciolo più interno dell’obiettivo profetico, nel quale si fondono gli episodi del monarca universale, delle sorti del papato, del Sacro Graal.
In questo contesto, ci interesseremo ai versi 3 e 4. Tuttavia, per capire bene, devo fare delle considerazioni sulle dimissioni del Papa. In quanto personali, potrebbero sembrare estranee all’argomento Nostradamus, ma vedremo che non è così.

In questi giorni si è discusso, e ancora molto si discuterà, sulla natura delle dimissioni. Il diritto canonico le ammette, è vero; ma, al di fuori del profilo giuridico, è ammissibile che un Papa si dimetta come un qualsiasi funzionario statale? Se egli si accorge di non essere all’altezza del suo compito o se, ancor peggio, sa di essere preda di una grave malattia progressivamente invalidante, è opportuno che si tolga di mezzo?

Sotto il profilo umano, si può essere certamente solidali con un Papa fragile e malato, soggetto alle terrene debolezze, e non si è autorizzati a formulare alcun giudizio sul suo gesto dimissionario. Tale giudizio attiene solo alla sua coscienza e al suo rapporto con Dio.

Invece, sotto un profilo genuinamente religioso e al di fuori delle ipocrisie di facciata, le valutazioni personali non trovano spazio, soprattutto se espresse “laicamente” da “non addetti ai lavori”, capaci solo di trasformare una questione così grave in un vuoto chiacchiericcio da bar. Non si possono esprimere opinioni sull’opportunità o sulla inopportunità di un tale gesto, se non si conosce e non si penetra a fondo lo “schema” del pensiero cristiano.
Riflettiamo un attimo! A un cristiano possono sembrare errati, inopportuni e perfino sbagliati degli atteggiamenti che, invece, gli adepti di altre religioni ritengono perfettamente in sintonia con gli insegnamenti ricevuti; ad esempio, certi radicalismi, che per noi sono ingiustificabili, per altre culture sono addirittura azioni sante, imposte da un Libro Sacro.

E’ ovvio che un dialogo tra persone che non abbiano la capacità spirituale di vivere “consapevolmente” il proprio sistema religioso di riferimento, quand’anche vi appartengano formalmente, è un dialogo futile. Se, poi, queste persone si esprimono su un piano laico, allora è decisamente presuntuosa la loro pretesa di formulare giudizi di logicità ed equità su argomenti che appartengono a una sfera di spiritualità ad essi estranea. Semplicemente, esprimono giudizi su ciò che non capiscono. I giornali, in questi giorni, stanno riempiendo pagine e pagine con parole vuote, dissertando di religione come se si parlasse di politica.

Nel pensiero genuinamente cristiano, l’investitura papale è “a vita”. Nel Vangelo di Giovanni (21, 18), che abbiamo imparato a conoscere intimamente negli ultimi mesi, Gesù dice a Pietro: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi”.

A Pietro non viene data facoltà di sciogliersi dall’incarico; egli “deve subire” anche i più spiacevoli eventi. Il papato, per definizione, comporta un abbandono alla volontà di Dio e il Papa si professa strumento nelle Sue mani. In quanto strumento, spetta al “Padrone” decidere quando metterlo da parte. I Pontefici conoscono questo principio, che proclamano ossessivamente in ogni momento di difficoltà. Come si concilia, allora, un abbandono del ruolo con un abbandono di sé nelle mani di Dio?
Negli “Atti di Pietro” (testo apocrifo), Gesù appare a Pietro che scappa da Roma. Questi gli domanda: “Quo vadis, Domine?” (Dove vai, Signore?), Gesù risponde: “Entro in Roma per essere nuovamente crocifisso”. Pietro capisce che non gli è consentito “abbandonare ad altri le sue pecore” e torna indietro.

Questo è il pensiero cristiano. Si può dire quello che si vuole, ma è solo fiato sprecato. Non c’è posto per un Cristianesimo da supermercato, che ognuno possa acquistare a chili o a etti, secondo le preferenze. Si può parlare di revisione dei riti e dei costumi sociali, ma la struttura di base di una religione deve restare quella del suo fondatore e non può essere modificata. In caso diverso, la religione non è più quella originale, ma diventa un’altra. Non si può avere con la religione un rapporto fluttuante, simile a quello che si ha con la politica.

La nostra Chiesa, con il gesto epocale delle dimissioni di Benedetto XVI, ha fatto il contrario. E’ rimasta sempre ferma sui principi di ordine morale e sociale, più o meno estranei al Cristianesimo (potere temporale, disciplina delle coppie, della prolificazione, etc.), ma ha infranto il tabù dell’accettazione del martirio. Anche un Papa totalmente invalido dovrebbe restare al suo posto, finché il “Padrone non miete la vigna”, perché non spetta a lui decidere. Non è sufficiente affermare di essere “umili operai nella vigna del Signore”, se poi si abbandona il posto di lavoro. Per definizione, il ruolo di Pietro è un ruolo sacro di investitura divina; il suo abbandono lo trasforma in un impiego a tempo, al quale viene tolta ogni sacralità. Per il futuro, qualsiasi Papa potrà sentirsi autorizzato a lasciare l’incarico, se le sue valutazioni personali glielo suggeriscono. E chi mai potrà stabilire quale sia il limite di queste “valutazioni personali?”. Quale ascendente potranno avere i futuri Pontefici su un miliardo di Cattolici, se dovesse prevalere l’idea dell’instabilità dell’incarico?

Ecco perché, pur con la massima simpatia umana per la debolezza dell’uomo Ratzinger e sempre, ribadisco, senza voler esprimere giudizi che competono a un Altro, non si può che vedere incoerenza nel suo gesto. Pietro è stato perdonato per aver rinnegato Cristo tre volte, perché era un uomo fragile; si potrebbe dire che bene ha fatto in quanto, se non avesse negato, avrebbe perso stupidamente la sua vita. Eppure, nessuno ha mai pensato di valutare il suo rinnegamento sul piano della logica; questo piano, semmai, giustifica quel gesto che, seppur perdonabile e perdonato, resta pur sempre atto di tradimento.

Con le dimissioni di Benedetto XVI è stato infranto l’elemento costitutivo della Chiesa cristiana “Pasci i miei agnelli… pasci le mie pecore… pasci le mie pecore… [anche quando] un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi” (Gv. 21, 15 e segg.).
Nonostante ogni manifestazione di simpatia e di solidarietà per l’uomo, resta l’incontestabile realtà che, da ora in avanti, saremo di fronte a una Chiesa diversa da quella di solo qualche giorno fa. Forse le conseguenze delle dimissioni, non necessariamente negative sotto il profilo sociale, si vedranno gradualmente o, forse, si faranno sentire subito nella loro gravità. Ma la Chiesa intesa come organizzazione religiosa prima che sociale, così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino a oggi, non esiste più.


Nei prossimi post vedremo come tutto questo possa essere riferito a Nostradamus e alla tradizione del Santo Graal.


mercoledì 13 febbraio 2013

E adesso che succederà?


Riprendiamo le tre quartine segnalate nel post precedente, focalizzando l’attenzione sui versi particolarmente significativi. Iniziamo con la V,15:

En navigant captif prins grand pontife,
Grans apretz faillir les clercz tumultuez:
Second esleu absent son bien debife,
Son favory bastard à mort tué.

In navigazione preso prigioniero grande pontefice,
Dopo, i grandi corrono il rischio di tumulti clericali:
Secondo eletto assente, il suo bene diviso,
Il suo favorito bastardo ucciso a morte.

Nella sua letteralità, la quartina sarebbe molto chiara, se non sapessi che, per Nostradamus, la letteralità è come la mano destra di un prestigiatore, utile solo a distogliere l’attenzione dalla sinistra. Perciò, prendiamola con le molle.

Del primo verso mi colpisce la parola “navigant”. Se volessi seguire l’ormai arcinota regola dell’anagramma giusto al posto giusto, dovrei dire che la parola contiene un significato interessante:

[n]avigant = vatigan (vaticano)

In Vaticano preso prigioniero il grande pontefice

Tuttavia, questo non mi piace per via della “g” al posto della “c”. Non ho mai ceduto alla tentazione di storpiare le parole e credo di avere ormai abbondantemente dimostrato che Nostradamus sa fare di meglio, proponendo sempre degli anagrammi perfetti.
Perciò, preferirei dire che il grande pontefice è preso prigioniero “durante la navigazione”; poiché la Chiesa è la barca di Pietro, allora la navigazione è lo svolgimento del suo mandato.
Resta da capire il significato della parola “prigioniero”. Va intesa letteralmente, nel senso che il Papa è stato costretto a dimettersi da complotti esterni, diventando un ostaggio dei cospiratori, o va intesa nel senso di autoesilio, visto che resta “intrappolato” nel sistema per il resto della sua vita, come un prigioniero condannato all'ergastolo?

Qualche dubbio anche sul secondo verso. Chi sono i grandi? Forse i Cardinali più in vista? Gli ipotetici potenti che hanno ordito un complotto? Più che ovvio che ci siano da fronteggiare dei tumulti interni che oppongono le varie fazioni. Possibile anche ipotizzare delle ripercussioni e divisioni nell’intero apparato ecclesiastico.

Il terzo verso, se venisse preso nella sua letteralità, sarebbe sconvolgente. Chi è il secondo eletto? Il primo, evidentemente, è Benedetto XVI, mentre il secondo è colui che lo deve sostituire. Però, costui è assente. Perché? Forse non ci sarà un “secondo eletto”, cioè un secondo Papa? In tal caso, il suo bene (l’eredità di Benedetto XVI) sarebbe “diviso”, cioè distribuito, tra un collegio di “reggenti”? Se così fosse, i due “soli” che emergono dalla nube della quartina II,41 sarebbero semplicemente i due nuclei di riferimento: il vecchio pontefice ancora in vita e il nuovo collegio.

Il quarto verso (Il suo favorito bastardo ucciso a morte) è chiaramente metaforico. L’espressione “ucciso a morte” è tautologica e servirebbe semplicemente ad evocare un’immagine simbolica: non ci sarebbe altrimenti bisogno di dire che uno viene “ucciso a morte”, dal momento che non si può essere uccisi senza morire. E chi sarebbe questo “suo bastardo fatto fuori”? Forse un protetto di Benedetto XVI?

Abbiamo giocato un po’ e io stesso mi sono smentito clamorosamente, andando contro l'abitudine di non cimentarmi con le interpretazioni. Di tutto quanto ho scritto, prendiamo per buono il primo verso; lasciamo gli altri sul piano di un semplice esercizio speculativo intorno a situazioni che potremmo immaginare anche senza ricorrere a Nostradamus. Del resto, non conosceremo mai la “vera verità”: due millenni di storia ci hanno insegnato che è impossibile sapere cosa succede all’interno delle mura vaticane.