La terza delle quartine che ci siamo
proposti di esaminare ci porta indietro alla vicenda del Sacro Graal, che per
tanto tempo ci ha tenuti impegnati negli ultimi mesi. Vediamola, questa
quartina VI,12:
Per salire all’Impero
radunerà eserciti,
Terrà il sangue Reale
del Vaticano:
Fiamminghi, Inglesi,
Spagna con Aspire,
Contro l’Italia e la
Francia contenderà.
E’ una quartina particolarmente
oscura, ma questo non mi preoccupa più di tanto. Resto ostinatamente fermo nel
proposito di non lasciarmi trascinare nella trappola dell’interpretazione
forzata di ciò che deve ancora avvenire. Mi bastano invece le indicazioni di massima, benché imprecise,
che vengono dai primi due versi.
Il primo raffigura una
riorganizzazione di forze, certamente non nel senso letterale di struttura
militare. Il secondo, invece, mette a fuoco la finalità di questa
riorganizzazione: l’affermazione di un legame tra il sangue Reale e il
Vaticano.
“Sang royal” equivale a “sang real”, dal quale deriva la
forma arcaica “San Greal” di quello che, oggi, è conosciuto come “Santo Graal”.
Nostradamus, quindi, mette espressamente in relazione il Vaticano e il Graal,
sottolineando l’aspirazione dei custodi del Graal ad assumere la conduzione
della Chiesa.
Procediamo con ordine, tornando
al vecchio discorso del “discepolo beneamato”, depositario del segreto del
Graal. Costui si sentiva particolarmente vicino a Cristo e ai suoi più intimi
insegnamenti. Però, nonostante l’ostilità che Pietro nutriva nei suoi
confronti, egli non ne contestava il primato universale. Del resto, ha
assistito personalmente alla sua investitura come pastore del gregge (“pasci
i miei agnelli… pasci le mie pecore… pasci le mie pecore… - Gv. 21, 15 e segg.). E, già in precedenza,
arrivato per primo al sepolcro di Gesù, si era fermato per aspettare l’arrivo
di Pietro e farlo entrare per primo (Gv. 20, 4 e segg.).
Tuttavia, nel suo Vangelo, il
beneamato non manca di rimarcare le distanze:
- nell’ultima cena, si appoggia al
petto di Gesù, mentre Pietro deve rivolgersi a lui per avere informazioni sul
traditore (Gv. 13, 23-24);
- quando Gesù viene arrestato, egli
entra nel palazzo del Sommo Sacerdote, mentre Pietro ha bisogno del suo aiuto
per entrare a sua volta (Gv. 18, 13-16);
- nella corsa verso il sepolcro,
come già detto, arriva per primo (Gv. 20, 4);
- entrato nel sepolcro, dopo
Pietro, soltanto lui “vide e credette” (Gv. 20, 8);
- nel lago di Tiberiade, è sempre
lui a riconoscere Gesù e a comunicarlo a Pietro (Gv. 21, 7);
- racconta che Pietro ottiene una
brutta risposta, quando tradisce gelosia nel chiedere a Gesù informazioni sulla
sua sorte (Gv. 21, 22);
- racconta di sé come l’unico
discepolo a non aver mai abbandonato Gesù.
Nonostante quanto precede, il beneamato non assume mai toni
polemici o aggressivi nei confronti degli apostoli in generale o di Pietro in
particolare; ritiene semplicemente che nessuna istituzione o struttura possa
sostituire la vera essenza degli insegnamenti di Gesù, ai quali egli ha avuto
accesso in modo particolarmente stretto.
Anche la sua missione, come
quella di Pietro, è stata direttamente programmata da Gesù e, perciò, gode
quantomeno di eguale dignità. Anzi, è addirittura una missione speciale, tant’è
vero che Gesù si rifiuta di farla conoscere a Pietro (Se voglio che egli
resti finché io ritorni, che te ne importa? – Gv. 21, 22).
Il beneamato, quindi, rivendica per sé un ruolo ben specifico ma, nello
stesso tempo, non spinge il suo individualismo fino al punto da provocare uno
scisma. Riconosce il ruolo pastorale di Pietro e, pur nello svolgimento della
sua personale missione, resta all’interno della comunità apostolica. Quasi due Chiese,
una delle quali, segreta, aderisce all’altra, che svolge un ruolo pubblico e
universale.
Fosse ancora vivo, il discepolo beneamato non potrebbe oggi non
ricordare la preghiera di Gesù al Padre: “Adesso l’anima mia è conturbata! E
che dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma è appunto per questo che io sono
venuto in quest’ora” (Gv. 12, 27).
Non potrebbe quindi accettare che, a differenza di Cristo che ha
aderito pienamente alla volontà del Padre, Pietro (Benedetto XVI) possa
rifiutare il proprio destino, affidando ad altri le pecore che sono state
affidate a lui dall’amatissimo Maestro.
Si sentirebbe stanco di assistere impotente agli scandali, alle lotte e
ai crimini che, nei secoli, hanno travolto le massime istituzioni della Chiesa.
Non potrebbe più tollerare i conflitti per il potere che, ancora oggi,
dilaniano le carni della Sposa di Cristo. Non potrebbe più consentire gli agi,
i lussi e le ricchezze che circondano coloro che, anziché professare umiltà e
amore per il prossimo, proclamando la Parola Cristiana, dedicano i loro sforzi agli intrighi di palazzo.
Nello stesso tempo, saprebbe che non può fare di tutta l’erba un
fascio; come diremmo oggi, saprebbe di non poter buttare via il bambino con
l’acqua sporca. Saprebbe che, sparsi per il mondo, ci sono migliaia e migliaia
di umili servi del Signore che danno perfino la vita per gli afflitti; saprebbe
che, per duemila anni, questi umili pastori hanno tenuto viva la fiaccola del
Cristianesimo.
Perciò, prenderebbe coscienza di dover agire per ripristinare la vera
eredità di Cristo. Capirebbe lo scopo finale della sua missione, di subentro a
quella petrina. Saprebbe che è giunta l’ora della Chiesa del Graal, a lui
affidata. E’ a questo, appunto, che ci prepara la quartina VI,12 di
Nostradamus.
Nel prossimo post ci occuperemo, in quanto attuale, della presunta
profezia del Papa nero.
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