Tecniche di Nostradamus

sabato 16 febbraio 2013

La Chiesa del Graal


La terza delle quartine che ci siamo proposti di esaminare ci porta indietro alla vicenda del Sacro Graal, che per tanto tempo ci ha tenuti impegnati negli ultimi mesi. Vediamola, questa quartina VI,12:
  

 Per salire all’Impero radunerà eserciti,
Terrà il sangue Reale del Vaticano:
Fiamminghi, Inglesi, Spagna con Aspire,
Contro l’Italia e la Francia contenderà.

E’ una quartina particolarmente oscura, ma questo non mi preoccupa più di tanto. Resto ostinatamente fermo nel proposito di non lasciarmi trascinare nella trappola dell’interpretazione forzata di ciò che deve ancora avvenire. Mi bastano invece  le indicazioni di massima, benché imprecise, che vengono dai primi due versi.

Il primo raffigura una riorganizzazione di forze, certamente non nel senso letterale di struttura militare. Il secondo, invece, mette a fuoco la finalità di questa riorganizzazione: l’affermazione di un legame tra il sangue Reale e il Vaticano.

“Sang royal”  equivale a “sang real”, dal quale deriva la forma arcaica “San Greal” di quello che, oggi, è conosciuto come “Santo Graal”. Nostradamus, quindi, mette espressamente in relazione il Vaticano e il Graal, sottolineando l’aspirazione dei custodi del Graal ad assumere la conduzione della Chiesa.

Procediamo con ordine, tornando al vecchio discorso del “discepolo beneamato”, depositario del segreto del Graal. Costui si sentiva particolarmente vicino a Cristo e ai suoi più intimi insegnamenti. Però, nonostante l’ostilità che Pietro nutriva nei suoi confronti, egli non ne contestava il primato universale. Del resto, ha assistito personalmente alla sua investitura come pastore del gregge (“pasci i miei agnelli… pasci le mie pecore… pasci le mie pecore… - Gv.  21, 15 e segg.). E, già in precedenza, arrivato per primo al sepolcro di Gesù, si era fermato per aspettare l’arrivo di Pietro e farlo entrare per primo (Gv. 20, 4 e segg.). 

Tuttavia, nel suo Vangelo, il beneamato non manca di rimarcare le distanze:

- nell’ultima cena, si appoggia al petto di Gesù, mentre Pietro deve rivolgersi a lui per avere informazioni sul traditore (Gv. 13, 23-24);
- quando Gesù viene arrestato, egli entra nel palazzo del Sommo Sacerdote, mentre Pietro ha bisogno del suo aiuto per entrare a sua volta (Gv. 18, 13-16);
- nella corsa verso il sepolcro, come già detto, arriva per primo (Gv. 20, 4);
- entrato nel sepolcro, dopo Pietro, soltanto lui “vide e credette” (Gv. 20, 8);
- nel lago di Tiberiade, è sempre lui a riconoscere Gesù e a comunicarlo a Pietro (Gv. 21, 7);
- racconta che Pietro ottiene una brutta risposta, quando tradisce gelosia nel chiedere a Gesù informazioni sulla sua sorte (Gv. 21, 22);
- racconta di sé come l’unico discepolo a non aver mai abbandonato Gesù.

Nonostante quanto precede, il beneamato non assume mai toni polemici o aggressivi nei confronti degli apostoli in generale o di Pietro in particolare; ritiene semplicemente che nessuna istituzione o struttura possa sostituire la vera essenza degli insegnamenti di Gesù, ai quali egli ha avuto accesso in modo particolarmente stretto.
Anche la sua missione, come quella di Pietro, è stata direttamente programmata da Gesù e, perciò, gode quantomeno di eguale dignità. Anzi, è addirittura una missione speciale, tant’è vero che Gesù si rifiuta di farla conoscere a Pietro (Se voglio che egli resti finché io ritorni, che te ne importa? – Gv. 21, 22).

Il beneamato, quindi, rivendica per sé un ruolo ben specifico ma, nello stesso tempo, non spinge il suo individualismo fino al punto da provocare uno scisma. Riconosce il ruolo pastorale di Pietro e, pur nello svolgimento della sua personale missione, resta all’interno della comunità apostolica. Quasi due Chiese, una delle quali, segreta, aderisce all’altra, che svolge un ruolo pubblico e universale.

Fosse ancora vivo, il discepolo beneamato non potrebbe oggi non ricordare la preghiera di Gesù al Padre: “Adesso l’anima mia è conturbata! E che dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma è appunto per questo che io sono venuto in quest’ora” (Gv. 12, 27).
Non potrebbe quindi accettare che, a differenza di Cristo che ha aderito pienamente alla volontà del Padre, Pietro (Benedetto XVI) possa rifiutare il proprio destino, affidando ad altri le pecore che sono state affidate a lui dall’amatissimo Maestro.

Si sentirebbe stanco di assistere impotente agli scandali, alle lotte e ai crimini che, nei secoli, hanno travolto le massime istituzioni della Chiesa. Non potrebbe più tollerare i conflitti per il potere che, ancora oggi, dilaniano le carni della Sposa di Cristo. Non potrebbe più consentire gli agi, i lussi e le ricchezze che circondano coloro che, anziché professare umiltà e amore per il prossimo, proclamando la Parola Cristiana, dedicano i loro sforzi agli intrighi di palazzo.

Nello stesso tempo, saprebbe che non può fare di tutta l’erba un fascio; come diremmo oggi, saprebbe di non poter buttare via il bambino con l’acqua sporca. Saprebbe che, sparsi per il mondo, ci sono migliaia e migliaia di umili servi del Signore che danno perfino la vita per gli afflitti; saprebbe che, per duemila anni, questi umili pastori hanno tenuto viva la fiaccola del Cristianesimo.

Perciò, prenderebbe coscienza di dover agire per ripristinare la vera eredità di Cristo. Capirebbe lo scopo finale della sua missione, di subentro a quella petrina. Saprebbe che è giunta l’ora della Chiesa del Graal, a lui affidata. E’ a questo, appunto, che ci prepara la quartina VI,12 di Nostradamus.

Nel prossimo post ci occuperemo, in quanto attuale, della presunta profezia del Papa nero.

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