Spero sia emerso con chiarezza che la presa di
posizione del post precedente non implicava alcun giudizio ma, piuttosto,
intendeva mettere in risalto il profondo stravolgimento che l’atto delle
dimissioni apporta all’elemento fondante della Chiesa.
Nessuno si sognerebbe mai di correggere una sinfonia
di Beethoven, senza alterarne la melodia; nessuno, se non un vandalo, si
azzarderebbe a dipingere un neo sul viso della Gioconda. Analogamente, e anzi
di più, non si può pensare che possa restare privo di gravi conseguenze un atto
di enorme rilevanza storica, che altera non un’opera d’arte, ma le stesse basi
di una religione alla quale aderisce un miliardo di fedeli, se consideriamo
solo i cattolici, o due miliardi, se consideriamo l’intera cristianità.
Una volta si diceva: “Morto un Papa se ne fa un
altro”; oggi potremmo dire: “Morta una Chiesa se ne fa un’altra”. Questo è il
punto. La vecchia Chiesa cede il passo a una nuova organizzazione e a una nuova
mentalità dai contorni da definire. Comunque vada, si è concluso un bimillenario
ciclo storico.
Il confronto con i pochi precedenti atti
dimissionari, con particolare riferimento a Celestino V, si regge su basi
talmente diverse da non essere proponibile. Le dimissioni di Benedetto XVI sono
concordate, condivise o imposte, organizzate. Non siamo in presenza di un uomo
che rinuncia, ma di una struttura ecclesiastica che codifica e applica scrupolosamente l’innovativo ed esplosivo criterio di un papato “a tempo”. Un evidente clima di
complicità e di cospirazione copre perfino le ragioni che hanno condotto a un
atto così deflagrante: prima l’età; poi l’accenno a generiche condizioni di
salute; infine il riferimento a gesti e rivalità interne che sfigurano la
Chiesa.
Un miliardo di persone avrebbe diritto di conoscere
il vero motivo per il quale la loro guida spirituale, il vicario di Cristo,
lascia il suo posto. Un sistema che confonde le idee è un sistema che teme per
la propria sopravvivenza; è un sistema che manca di rispetto al ruolo
spirituale che pretende di svolgere.
Perciò, prima ancora di un uomo che rinuncia, viene
in primo piano, anche se tenta di restare sullo sfondo, un sistema che implode:
la mancanza di trasparenza è solo una forma di difesa della propria debolezza.
I segni erano nell’aria e un evento epocale era
atteso. Non certo a caso, nella lettera ai lettori del libro “Cabala, Templari
e Graal” ho scritto: “I tempi sono maturi; troppo a lungo è durata l’attesa…
così, almeno, risulta dal vero racconto delle Centurie per chi ha orecchio
disposto ad ascoltare”.
E sempre non a caso, nel mio post del 14 maggio 2011
(Nostradamus e le profezie di Malachia), che
faceva seguito a quello del 12 maggio 2011 (Nostradamus e la profezia di Orval), scrivevo che, con Benedetto XVI, ci si poteva
aspettare la chiusura di un cerchio che trovava la sua origine nella permanenza
di Nostradamus a Orval.
Tornando alle quartine, già il terzo verso della
II,41 (Dimissioni di Benedetto XVI) esalta il
lamento di Nostradamus per gli effetti dell’evento:
Il grosso mastino tutta la notte urlerà
Le più bizzarre fantasie si sono scatenate nel
tentativo di identificare il mastino. Chi ha letto il libro “Cabala, Templari e
Graal” o “L’Anticristo di Nostradamus” sa bene che l’epistola a Enrico II
contiene un’espressione che spiega, senza assurde contorsioni mentali, perché
il “mastino” sia proprio Nostradamus. La ricordo qui di seguito:
…dopo il grande cane uscirà il più grosso mastino,
che farà distruzione di tutto, anche di ciò che prima era stato perpetrato, saranno
raddrizzati i templi…
Urla e ulula, il mastino-Nostradamus, perché sa che
da queste dimissioni non verrà fuori nulla di buono. E ce lo dice chiaramente
nei versi 3 e 4 della quartina I,4:
….
….
Allora si perderà la barca
del pescatore,
Sarà retta nel più grande detrimento.
Sarà retta nel più grande detrimento.
C’è poco da commentare. Comunque vada, gli effetti
delle dimissioni saranno devastanti. Forse non saranno subito evidenti, forse
ci sarà una nuova Chiesa con nuove regole o anche con le vecchie, ma un mare in
tempesta attende la barca di Pietro. Senza contare che la discendenza del
discepolo beneamato, la linea del Santo Graal, non sarà più disposta a
riconoscere il primato di una Chiesa apostolica che rinuncia nel modo più
eclatante alla solennità dell’investitura divina. Di questo ci parla la
quartina VI,12 che esamineremo la prossima volta.
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