Tecniche di Nostradamus

lunedì 20 ottobre 2014

mercoledì 15 ottobre 2014

I segreti di Fatima

Il mio metodo di lavoro nel campo dei misteri è ormai noto: critico ma aperto, aperto ma non credulone. Non nego nulla per principio, ma ugualmente non accetto nulla finché non vedo chiaro; un sano scetticismo di fondo fa da antitodo alle trappole di un ingenuo qualunquismo e, allo stesso  tempo, costituisce uno stimolo a una seria ricerca.
Così, facendo una sintesi, si può essere d’accordo o meno con me sulla natura non profetica delle centurie di Nostradamus, ma credo di aver dato prove a sufficienza, qui e nei miei libri, dell’esistenza di un insospettabile codice rimasto nascosto per quasi cinque secoli.

Ho smontato le profezie dei Papi di Malachia, ma solo per ricostruire un contenuto occulto di natura diversa, mai preso in considerazione prima.

Ho demolito la favola dei “Vaticinia di Nostradamus” perché qualcuno ha provato a  barare. Non è stato un lavoro difficile; però è stato stupefacente constatare quanta gente presti una fede cieca all’origine nostradamica dei disegni, senza uno straccio di motivazione.

Ho affrontato il tema del Graal con una visione che ne lascia inalterato il contenuto mistico ed iniziatico e, allo stesso tempo, mette d’accordo punti di vista differenti.

E’ ora con lo stesso spirito che mi accingo a investigare uno dei più grandi misteri dei nostri giorni; probabilmente il più grande: le visioni di Fatima. E’ questo un tema che mi vedrà impegnato nei prossimi mesi, su un binario parzialmente diverso da quello percorso da altri studiosi.

Non avendo alcuna intenzione di sminuire un fenomeno di così grande rilevanza religiosa, partirò dal presupposto che i pastorelli abbiano realmente visto qualcosa. Tuttavia, considererò anche la possibilità che i loro racconti (in particolare quelli di Lucia) siano stati parzialmente travisati e, volontariamente o involontariamente, manipolati. Valuterò soprattutto la probabilità che il messaggio di Fatima sia stato essenzialmente un messaggio di fede e di preghiera destinato a bambini semplici, incapaci di comprendere e, soprattutto, di ritrasmettere contenuti complessi.

Quest’ultimo, per me, è un concetto fondamentale, che spiega molte cose. Chi ha letto il libro “Il vero codice di Nostradamus” ricorderà che, già nell’introduzione, ho scritto il brano che segue:

Il profeta, ammesso che davvero una tale figura sia mai esistita, vede qualcosa che non capisce, che non può relazionare alle sue conoscenze, che non si sa spiegare e che non sa spiegare.
Ecco perché, quando tenta di dare una descrizione, ricorre ad allegorie, a confronti con le conoscenze e con il vocabolario di cui dispone, a parole inadeguate che, nel processo di rappresentazione, deformano a dismisura il messaggio che vuole trasmettere.
Questo problema non riguarda solo il profeta; costui vede bene e descrive male. Il problema riguarda soprattutto chi vuol capire il contenuto della profezia; costui legge male e capisce peggio.

Sono praticamente le stesse parole pronunciate nel commento teologico al terzo segreto di Fatima da Papa Ratzinger, secondo il quale il veggente vede le cose “con le modalità a lui accessibili di rappresentazione e conoscenza… l’immagine può arrivare solo secondo le sue misure e possibilità…  Per questo motivo il linguaggio immaginifico di queste visioni è un linguaggio simbolico” (la sottolineatura è mia).

E così scrive anche Umberto Eco a proposito del terzo segreto di Fatima (Scienza e paranormale n. 33/2000): “ciascun veggente vede ciò che la sua cultura gli ha insegnato”.

Date queste premesse e allo stato attuale delle conoscenze, considero come inutile esercizio il tentativo di sapere se esiste un quarto segreto tenuto nascosto dalla Chiesa, come alcuni credono. Quando in materia religiosa qualcosa non è chiara, la colpa viene regolarmente addossata al complottismo della Chiesa: una dilettantesca semplificazione, purtroppo molto più accattivante delle ragionevoli parole di Papa Ratzinger sopra riportate.
E’ vero che non sempre la Chiesa è stata immune da questo tipo di responsabilità, ma questa non è una buona ragione per accollarle delle ricostruzioni non verificabili. Adottando lo stesso surreale criterio di indagine, potremmo perfino sostenere che il pianeta Saturno è fatto di groviera, visto che nessuno è attualmente in grado di controllare.

Magari scoprirò di essermi sbagliato ma, per il momento, le ricostruzioni che sono state fatte mi sembrano puerili e ridicole. Infatti, la Madonna avrebbe confidato dei segreti che, restando tali, non presentano alcuna utilità. Avrebbe dato istruzioni che i vari Pontefici avrebbero disatteso. Si ritiene che la Madonna abbia fatto chissà quali misteriose profezie ma, nonostante questa capacità di conoscere il futuro, non sarebbe stata capace di prevedere il comportamento omissivo e complottista dei Papi. Per dirla con Shakespeare: “tanto rumore per nulla”.

Per queste considerazioni cercherò, sopra ogni cosa, di capire meglio ciò che abbiamo a disposizione, evitando accuratamente sia i pregiudizi che le fantasticherie. Credo che solo questo sia il modo migliore di onorare un messaggio divino, se tale lo consideriamo, sottraendolo ad ardite ed ingiustificate congetture, che rischiano solo di trasformarlo in superstizioso prodotto da supermercato dell’occulto. Anzi, lo hanno gà fatto.

Salvo che non sorgano degli occasionali motivi per interventi più ravvicinati, spero di reincontrarvi qui ad inchiesta conclusa.


martedì 14 ottobre 2014

Graal: storia e mito (20)

Esaurita la trattazione del Graal nella tradizione di San Lorenzo, resta da vedere come questa versione dei fatti si possa conciliare con altre forme di Graal portate avanti dalla parte più seria della letteratura.
A mio parere, se facciamo una sintetica storia di come la leggenda si sia evoluta nel tempo, già da prima della sua formalizzazione nei romanzi medievali, non emerge alcuna contraddizione.

Molti indizi fanno ritenere che il Graal sia una derivazione di  un primitivo rituale iniziatico che celebra le origini della vita[1], una esaltazione del mito della fertilità. Ho già accennato (Graal: storia e mito (18) – nota 1) al significato originale della coppa, intesa come utero materno che raccoglie il liquido seminale; tale significato si sarebbe poi evoluto fino a simboleggiare il corpo umano, contenitore dello spirito, che viene sublimato dall’esperienza mistica nella quale la vita fisica si riduce a semplice riflesso di un ineffabile principio divino (Graal: storia e mito - 14).

Avendovi fatto riferimento diverse volte, ricordo che anche il viaggio iniziatico di Dante passa attraverso l’ingresso e l’uscita dall’inferno, cavità uterina a froma di coppa che, come la caverna di Alì Baba, allude alla gestazione e alla nascita dell’uomo spirituale (Graal: storia e mito – 17).


 Il mito del Graal nasce con Adamo al quale, secondo un’antica leggenda, venne consegnata una coppa intagliata nella pietra caduta dalla corona di Lucifero. Dopo la sua caduta, il figlio Seth ottenne il permesso di rientrare nel Paradiso terrestre per recuperare il prezioso vaso e istituire, da qualche parte sulla terra, un centro spirituale che fosse immagine del Paradiso perduto.[2]

Da quel momento in poi, è tutto un susseguirsi di leggende che, sovrapponendo l’aspirazione alla vita eterna al mistero della vita fisica, ripropongono differenti rappresentazioni allegoriche di un medesimo tema iniziatico che, poi, sarà anche quello di Parzival: Giuseppe che, da schiavo, diventa governatore dell’Egitto; Ercole e le sue fatiche; Ulisse e le sue peripezie; Gilgamesh alla ricerca dell’immortalità; Mosè che vaga nel deserto alla ricerca della terra promessa; Giasone alla conquista del vello d’oro; e potrei continuare all’infinito.

Malgrado un esito finale non sempre felice, in tutti i casi vengono raccontate le gesta di un eroe che, attraverso un percorso irto di ostacoli, tenta di raggiungere un traguardo al quale solo gli eletti possono aspirare. Questo eroe è anche Alì Baba che trova il tesoro della caverna, è Pinocchio che da burattino diventa umano[3], è il principe che sveglia la bella addormentata con un bacio.

La sopravvenuta cristianizzazione del Graal non ne muta la natura ma, semmai, l’adatta ai tempi nuovi: i Templari entrano in contatto con sette inizatiche arabe ed ebraiche e ne assimilano le conoscenze, mescolandole con quelle cristiane di origine. Questo giustificherebbe le accuse di eresia che ad essi sono state mosse, sebbene nessuno sappia con esattezza in cosa consistesse tale eresia[4].

Se si accetta questa visione delle cose, si deve concludere che il Graal non è qui o là. Esso è dappertutto ove c’è vita; è anche dentro di noi ed ha solo bisogno di essere riconosciuto. Il Graal splende ovunque esista una dottrina iniziatica di crescita spirituale; non importa che questa sia una filosofia mistica orientale o un’eresia catara o una gnosi cristiana. Le vie sono tante ma il Graal, ideale di purezza e desiderio di eternità, è sempre e solo uno.

FINE



[1] Su tale aspetto insiste Nostradamus nelle sue Centurie (cfr. il mio “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal” – cap. “L’origine della vita”). Invece, per una disamina incentrata particolarmente sul tema della fertilità, cfr. “J. L. Weston – Indagine sul Santo Graal”.
[2] Nessuno ha mai fatto rilevare, in questo episodio di Seth, l’interessante assimilazione dell’utero materno con la coppa (cavità) e della procreazione con il ritorno in Paradiso (origine della vita).  Un’antica leggenda ebraica narra che, temendo che un altro figlio potesse subire la stessa sorte di Abele, Adamo si astenne dall’avere rapporti con Eva per 130 anni. Solo su ordine di un angelo di Dio si ricongiunse con lei, generando Seth. Il recupero della coppa da parte di Seth, oltre che al recupero della vita spirituale, potrebbe alludere proprio al ripristino dell’attività di procreazione con la nascita dello stesso Seth.
[3] Sul significato allegorico della trasformazione di Pinocchio, un apprezzamento particolare va allo scrittore Guido Araldo per alcune sue interessanti riflessioni espresse su Facebook.
[4] Un’ipotesi cabalistica è stata formulata in “Graal: storia e mito (4)”. 

domenica 12 ottobre 2014

Vaticinia di Nostradamus (seguito)

Siamo arrivati alla fine di questo lungo lavoro sui cosiddetti “Vaticinia di Nostradamus”, chiamati anche, per un maggior effetto suggestivo, “Libro perduto di Nostradamus”.

Non siamo di fronte ad un grande enigma, come potrebbero essere le Centurie di Nostradamus o le Profezie dei Papi di Malachia, alle quali riconosco una natura occulta, sia pure di contenuto diverso da quello apparente.
Qui siamo di fronte ad una evidente e grande mistificazione, che chiunque potrebbe smontare con facilità, purchè animato dalla volontà di privilegiare la verità rispetto al desiderio di difendere delle convinzioni ingiustificate, per l’esclusivo piacere di gratificare il proprio amore per il mistero. Un minimo senso di obiettività sarebbe sufficiente a far emergere l’abisso che separa l’inconcludenza dei vaticinia dalla complessità e dalla genialità delle Centurie.

Come ultimo appello agli irriducibili e per chiudere il discorso con un quadro d’insieme, propongo una sintesi dei motivi che rendono il manoscritto una inutile accozzaglia di disegni, non ascrivibili a Nostradamus:

- i primi trenta disegni sono una esatta e completa riproduzione dei “Vaticinia de’ summis pontificibus”, già esistenti da qualche secolo prima di Nostradamus;
- i restanti disegni sono tratti da fonti diverse ben precise, e anch’essi non sono una realizzazione originale dell’autore del manoscritto;
- il primo foglio, contenente l’unico riferimento a Nostradamus, è stato scritto dopo il 1689, cioè almeno 123 anni dopo la morte del veggente provenzale;
- la parte testuale dell’ultimo disegno tenta falsamente di far risalire l’opera al 1343, contraddicendo i contenuti del primo foglio; quand’anche la datazione del 1343 fosse corretta, essa anticiperebbe di 160 anni la nascita di Nostradamus;
- l’ultimo foglio attesta che il manoscritto è stato donato al Cardinale Barberini, nel 1629, da un monaco calabrese e non da Cesare Nostradamus come si legge in giro;
- l’analisi chimica dell’inchiostro fa risalire l’opera a un’epoca compresa tra il 1750 e il 1850.

Viceversa, dall’analisi del manoscritto non emerge un solo motivo per il quale esso dovebbe essere una realizzazione di Nostradamus o del figlio Cesare. Questa è quindi una pura e semplice invenzione, che non si trasforma in verità per il solo fatto che siano in molti a crederci.

FINE

giovedì 9 ottobre 2014

Graal: storia e mito (19)

Nel post precedente, partendo dalla tradizione che associa le vicende di San Lorenzo al mistero del Graal, ho prospettato la possibilità che la famosa coppa affidata a Precelio perché la portasse in Aragona altro non fosse che una misteriosa dottrina iniziatica da diffondere alle falde dei Pirenei.
I dettagli della leggenda non fanno altro che confermare questa ipotesi, evidentemente nota al realizzatore del mosaico della Basilica di San Lorenzo fuori le mura, che la racconta in una maniera figurata piuttosto esplicita.

Sappiamo che quel mosaico, oltre alla coppa, rappresenta anche due salamandre, la cui caratteristica (infondata, ma radicata nell’immaginario popolare) è quella di passare indenni attraverso il fuoco.
Il riferimento a San Lorenzo potrebbe sembrare inappropriato, visto che il Santo è stato bruciato sulla graticola, subendo gli effetti mortali del fuoco. Tuttavia, in un precedente post (Graal: storia e mito - 15) ho scritto che “paradossalmente il punto forte del mosaico risiede proprio in questa contraddizione”.
Probabilmente, esattamente come ritengono gli storici, San Lorenzo non è morto affatto sul fuoco, ma è stato decapitato. Le salamandre, dunque, altro non sarebbero che un riferimento allegorico al Santo che esce rigenerato[1] (ri-generato = generato di nuovo - cfr. Graal: storia e mito – 16) dal fuoco dell’esperienza mistica. Non è stato lo stesso Gesù (Gv. 3,3) a dire a Nicodemo “In verità, in verità ti dico: nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo.”?

Altrettanto allegorica, ma estremamente efficace, si presenta la tradizione secondo la quale il corpo del Santo sarebbe stato dato in pasto ai poveri; l’innegabile parallelo con il sacrifico Eucaristico indicherebbe una sorta di condivisione dell’insegnamento che egli ha diffuso e che, infine, ha affidato a Precelio.
Del resto è noto che i poveri, nella dottrina cristiana, assumono rilevanza non tanto per il limitato possesso di ricchezze materiali, quanto per la carenza di quelle spirituali. Giuseppe di Arimatea non era certo povero di beni, come non lo erano Lazzaro e il padrone della casa che ha ospitato l’ultima cena. Più probabilmente, invece, essi erano poveri di spirito, come richiesto dalle Beatitudini.

Se è vero che San Lorenzo è stato portatore di una conoscenza iniziatica di salvezza, allora si spiega meglio il motivo per il quale egli viene considerato il patrono dei bibliotecari, custodi del sapere; e si spiega anche perché abbia lasciato le parole “la mia notte non ha oscurità alcuna, ma tutte le cose sono chiare nella luce”.

I conti tornano alla perfezione, dunque. I dettagli della leggenda trovano una spiegazione; la divergenza tra la tradizione della graticola e il resoconto degli storici, che sostengono la tesi della decapitazione, si ricompone; l’invio della coppa in Aragona aquista una finalità precisa; la venerazione del Santo come patrono dei bibliotecari trova una giustificazione. Soprattutto, il mosaico diventa perfetta fotografia di questa interpretazione, piuttosto che contraddittoria rappresentazione della leggenda.

L’unico punto oscuro resterebbe il preciso contenuto della dottrina di San Lorenzo che, seppur basata sui principi cristiani, rivestirebbe un carattere iniziatico; una dottrina ritenuta più soddisfacente di quanto il Cristianesimo ortodosso fosse in grado di offrire.

…segue…



[1] Il potere rigenerante del fuoco mistico è ricordato da San Bonaventura che, nel suo “Itinerarium”, scrive del “fuoco che tutto infiamma e nel rapimento dell’ardentissimo affetto ci trasporta in Dio”.

domenica 5 ottobre 2014

Vaticinia di Nostradamus (seguito)

Per dare un’ultima dimostrazione della errata attribuzione a Nostradamus dei vaticinia, propongo l’immagine n. 39, della quale non mi risulta sia mai stata data una spiegazione. Nel prossimo post tireremo le fila, concludendo la trattazione.


  
Il disegno è stato ispirato da un episodio descritto nel “Terzo manifesto – terzo giorno” delle “Nozze Alchemiche di Christian Rosenkreutz”.
Vi sorprende? Come ho detto più volte, documentarsi è un’impresa piuttosto faticosa, alla quale non tutti sono disposti ad assoggettarsi. Poi ci sono cose, come questa, che sono praticamente irrintracciabili, a meno che non rientrino già nel bagaglio delle conoscenze personali.

 Dunque, che dice questo manifesto dei Rosacroce?

Il leone  immediatamente impugnò  la  spada nuda  che aveva,  tenendola nella sua zampa, e la spezzò  in due parti nel mezzo, e i pezzi  di questa, mi sembrò, caddero  nella fontana; dopo di che ruggì a  lungo, fino a che una colomba bianca portò un ramo di olivo nel suo becco, che il  leone divorò  all'istante,  e poi  tutto fu  calmo. 

Gli elementi ci sono tutti: il leone che impugna la spada, la fontana, la colomba, il ramo divorato dal leone. La staticità del fotogramma non compromette in alcuna maniera il dinamismo della scena che, indubitabilmente, è quella del manifesto, creando un problema sulla datazione dei disegni.
Infatti, le “Nozze alchemiche” furono pubblicate per la prima volta nel 1616. Come si fa a credere che siano state rappresentate figurativamente da Nostradamus, morto nel 1566?

…segue…

giovedì 2 ottobre 2014

Graal: storia e mito (18)

L’elemento centrale attorno al quale ruota il legame tra San Lorenzo e quello che, in seguito, diventerà il Graal, è la coppa dell’ultima cena, affidata dal Santo a Precelio affinché la porti a Huesca, alle falde dei Pirenei aragonesi.

Abbiamo già visto che la coppa non è altro che la raffigurazione simbolica di uno stato interiore di sapienza e conoscenza. Nella narrazione del Graal di Robert de Boron, tale rappresentazione trova le sue radici nell’esaltazione del sacrificio di Cristo, con la trasformazione del vino in sangue e con la raccolta del sangue sgorgato dal suo costato: in entrambi i casi, un sangue di salvezza dell’umanità.
Tuttavia, l’idea di conferire alla coppa una funzione divina ha un’origine molto antica e comune a molte culture: basti pensare alla coppa d’immortalità degli Dei greci o alla coppa contenente il Soma, la bevanda d’immortalità degli Dei indù[1], o alla coppa del banchetto del dio Mitra, in una cerimonia analoga alla celebrazione Eucaristica. Il calice, come contenitore della fonte dell’immortalità, è dunque un simbolo universale senza tempo, che diventa tutt’uno con il contenuto, la bevanda della vita, la parola perduta, la conoscenza.
Secondo questa interpretazione, che peraltro risolve molti problemi nella ricerca del Graal, non sarebbe una coppa materiale quella che Lorenzo ha affidato a Precelio, ma la sua visione iniziatica della dottrina di salvezza, con l’incarico di diffonderla alle falde dei Pirenei, sua area geografica di origine.

Per uno strano scherzo del destino, alcuni secoli dopo e proprio in un Paese confinante, l’Occitania, è emersa l’eresia Catara che, secondo Otto Rahn[2], costituisce lo sfondo sul quale Von Eschenbach ha costruito il suo “Parzival”. E’ possibile che il “seme” gettato da Precelio abbia covato sotto la cenere o abbia comunque esercitato la sua influenza, fino all’esplosione di quel catarismo la cui origine rimane sconosciuta?
Che il Parzival sia veramente una rielaborazione allegorica dello sterminio dei Catari oppure no, resta il fatto che l’ambientazione temporale viene collocata ai tempi di Re Artù, le cui vicende si svolgono in epoca che, seppur incerta, viene inquadrata nei primi secoli dopo Cristo e potrebbe benissimo coincidere con l’epoca della presenza in Aragona di Precelio.

Capisco che la revisione in chiave esoterica della leggenda di San Lorenzo possa sembrare una semplice speculazione intellettuale, ma chiedo di sospendere il giudizio in attesa del riesame complessivo. Se, come cercherò di dimostrare, tutti i pezzi si incastrano alla perfezione, allora è probabile che la mia ipotesi non sia infondata. Del resto, la consistenza di un’ipotesi si fonda sulla quantità dei fatti che essa riesce a spiegare e a mettere in relazione, oltre che dal confronto con la narrazione “ufficiale” che, nel nostro caso, gli stessi storici ritengono inesatta (cfr. Graal: storia e mito – 11).

Per quanto superfluo, sottolineo infine che il legame tra San Lorenzo e il Graal non è in discussione, essendo già esplicitamente radicato nella tradizione della “coppa di Valencia” e del “catino di Genova”; la mia è solo una sfida reinterpretativa dei suoi contenuti.

…segue…



[1] Con ogni probabilità, la coppa non era altro che un’originaria esaltazione spirituale dell’utero materno, contenitore del seme della vita terrena.
[2] Membro civile delle SS; autore di “Crusade against de Grail”.