Tecniche di Nostradamus

sabato 31 maggio 2014

Graal: storia e mito (1)

Penso che la gente ne abbia abbastanza di Graal, nei termini in cui se ne parla da alcuni anni. Istintivamente si è sopraffatti da una sensazione di fastidio, che io stesso avverto non di rado: “Uffa! La solita storia; quando uno non sa che dire, il Graal diventa un ottimo rifugio”.

Questo, purtroppo, è l’effetto del noto romanzo di Dan Brown “Il codice da Vinci” che, nel relegare la questione a un aspetto particolare che riveste comunque un suo interesse, la ha volgarizzata al punto da rendere disponibile un tema così altamente esoterico ad una trattazione completamente staccata dalle sue origini e dalla sua natura.

In realtà, prima di parlarne adeguatamente, bisognerebbe capire cosa si intende per “Graal”. Questo è il punto fondamentale. Poiché nessuno lo sa, ognuno vi vede quel che vi vuol vedere così che, ormai, la parola “Graal” è diventata sinonimo di mistero. Numerosi fenomeni inspiegati, meglio se con qualche attinenza con le crociate o coi Templari o col medioevo, vengono ricondotti al “Graal”.

La sua stessa rappresentazione visiva assume forme diverse (il piatto, la coppa, il cuore, il ventre, il sangue, la doppia elica del DNA); l'identificazione con una coppa, abitudine più diffusa, è solo una tra le varie possibilità consentite dalla leggenda.
In effetti la coppa, oltre a svolgere un proprio ruolo autonomo, si presenta con una forma che ben si presta a sostituire efficacemente altre rappresentazioni. Viene quindi ad assumere la duplice veste sia di oggetto materiale che di simbolo.

Un aspetto, però, è comune alle varie tradizioni: verità o fantasia; storia o leggenda; oggetto materiale o simbolo; il Graal è sempre il nome che viene dato a una conoscenza antica, in grado di tirare l’uomo fuori dal pantano di Maya, la vanità e l’illusione del mondo materiale, per trasportarlo al piano dell’elevazione spirituale, lungo la via degli dèi.

Il Graal non è quindi un simbolo cristiano; la rappresentazione cristiana è solo una tra le tante possibili. Esso è piuttosto un obiettivo inseguito da mistici e veggenti di ogni epoca e religione, antecedente alla nascita del cristianesimo. E prima ancora di diventare un obiettivo, è lo stesso percorso di crescita spirituale ben rappresentato dalle mitiche dodici fatiche di Ercole e dalla ricerca del Vello d’oro di Giasone.

Non ho la pretesa e né la competenza per ricondurre la questione al giusto contesto. Tuttavia, vorrei tentare ugualmente di fare una breve sintesi della leggenda, ponendo alla fine l’accento su un aspetto particolare che trae spunto da un mosaico mostratomi questa mattina, nella Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura, dall’amico Simone Leoni, che ringrazio di tutto cuore.
In questa trattazione, fedele al personale convincimento che “chi sa non parla e chi parla non sa”, mi atterrò più che mai al consueto e rigoroso stile del ricercatore che, nulla aggiungendo o togliendo di suo, si limita semplicemente a mettere insieme i pezzi di cui dispone.

...segue...

mercoledì 28 maggio 2014

Papi e vaticinia (seguito)

 Nel 1378, con la morte di Gregorio XI succede il finimondo. Le chiese vengono prese d’assalto; vescovi e cardinali non possono mettere il naso in giro senza essere assediati e strattonati da energumeni urlanti. La folla reclama un papa italiano, preferibilmente romano.

I cardinali che si recano al conclave per eleggere il successore di Gregorio XI vengono fermati, strattonati, circondati, minacciati. Durante lo stesso svolgimento del conclave fanno irruzione bande di scalmanati che urlano e minacciano. Lo Spirito Santo sembra distratto o forse, chissà, sono proprio queste le sue vie.
In questa baraonda indescrivibile, qualcuno fa il nome di Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, uomo moderato e di buona reputazione. Le formule rituali del conclave, già abbondantemente violate, vengono accantonate del tutto: più che un’elezione, l’urgenza suggerisce un accordo di convergenza su quel nome. Prignano, che non è cardinale, si trova a Roma per caso. Bisogna trovarlo per l’accettazione ma, nella confusione del momento, non si sa come, si crede che sia stato eletto il romano Tibaldeschi, al quale vengono tributati dal popolo gli onori papali. E lui a proclamare che non c’entra nulla… Per lo stress, il poveretto muore qualche giorno dopo.
Chiarito l’equivoco, viene rintracciato Prignano, che assume il nome di Urbano VI.
Voltafaccia! Da uomo mite si trasforma radicalmente, mostrando un volto autoritario e un comportamento dispotico, crudele, sadico, torturatore, omicida. Una vera anima pia!
Quasi tutti i cardinali, maltrattati e terrorizzati, lo abbandonano e si rifugiano a Fondi dove, appellandosi alle irregolarità del conclave, dichiarano invalida l’elezione di Prignano. Indicono quindi un nuovo conclave rispettando, questa volta, tutte le ritualità previste. Poiché non riescono a mettersi d’accordo sulla scelta di un italiano o di un francese, optano per un tedesco: Roberto di Ginevra, che assume il nome di Clemente VII.
Urbano VI lo scomunica immediatamente, dichiarandolo anticristo. In realtà, è lui che viene visto come anticristo nei vaticinia di Nostradamus (ce ne occuperemo nel prossimo post). Contemporaneamente, essendo rimasto senza cardinali, ne nomina altri per rimpolpare la sua curia.
Il grande scisma ha inizio così, nel 1378.
Urbano VI si stabilisce a Roma, Clemente VII ad Avignone. Re e principi di tutta Europa prendono posizione a favore dell’uno o dell’altro. La cristianità ha due papi.
Da parte sua, Caterina da Siena, non ancora soddisfatta di aver inguaiato Gregorio XI, non se ne sta con le mani in mano e si batte senza tregua per il riconoscimento di Urbano VI, chiamando “demoni menzogneri” i cardinali di Fondi e “anticristo” Clemente VII. Contemporaneamente, il grande domenicano Vincenzo Ferrer, anch’egli poi proclamato santo, si batte con altrettanto zelo per Clemente VII, chiamando “demoni eretici” i cardinali romani.
Vatti a fidare! I santi avranno pure la linea diretta con l’aldilà, ma è una linea disturbata, piena di fastidiosi rumori di fondo per via delle distanze, e le istruzioni arrivano distorte e contraddittorie. Purtroppo, del vero spirito cristiano, ispirato ai remoti eventi della Palestina, non arriva più neanche una fievole eco.

…segue…

sabato 24 maggio 2014

Gioacchino da Fiore e i vaticinia

Facendo un salto indietro, approfitto della prima immagine dei “vaticinia di Nostradamus”  per completare il filone dei “mistici e veggenti” con un breve ritratto di Gioacchino da Fiore.
Sebbene si dica di lui che abbia avuto in “visione mistica” la spiegazione delle sacre scritture, a me sembra più corretto mettere l’accento sulle sue “umanissime” intuizioni di studioso e interprete biblico, allineate alla cultura e alle attese dei suoi tempi. Va quindi tenuto ben distinto  da quei mistici i quali, seppur ben saldi nella loro fede e forse proprio per questo, scambiarono per rivelazioni divine le loro allucinazioni.
Si è visto con Brigida di Svezia  e con Giovanna d’Arco  come le loro esternazioni sappiano molto di superstizione e poco di verità rivelate. 
Abbiamo visto come lo stesso papa Gregorio XI abbia dato delle millantatrici a Caterina da Siena e Brigida di Svezia.  
Ci imbatteremo, proseguendo con lo studio dei vaticinia di Nostradamus, nello stridente contrasto tra alcune rivelazioni di Santa Caterina da Siena e quelle di San Vincenzo Ferrer.

Gioacchino da Fiore visse nel XII secolo. Prima semplice monaco e poi abate dell’Abbazia di Corazzo, in Calabria, privilegiò sempre una vita di studio a quella di religioso attivo.
La sua figura di esegeta biblico è così importante da giustificare la creazione, nel 1982, di un Centro Internazionale di Studi Gioachimiti a San Giovanni in Fiore.
La sua intuizione più nota è quella della suddivisione delle epoche del mondo in tre grandi rami: età del Padre, età del Figlio ed età dello Spirito Santo; l’ultima avrebbe dovuto essere un’età di perfezione spirituale.
Convinto della forza d’impatto del messaggio visivo,  arricchiva i suoi scritti con immagini, alle quali assegnava un ruolo fondamentale nel processo interpretativo delle sacre scritture. Questo ha fatto sì che gli venisse erroneamente attribuita la paternità dei “Vaticinia de summis pontificibus”, antica raccolta di profezie figurate relative alle vicende di 30 pontefici, poi integralmente incorporate nei “Vaticinia di Nostradamus”.

Benché Gioacchino non sia stato l’autore dei “Vaticinia de summis pontificibus”, così come Nostradamus non è stato l’autore dei “Vaticinia di Nostradamus”, è proprio per questo presunto collegamento tra i due personaggi che ci stiamo interessando al monaco calabrese. Un altro tema che accomuna i due “profeti” è l’accento che entrambi hanno posto sui temi apocalittici; in questo caso è assai probabile che Nostradamus abbia tratto qualche ispirazione dal suo illustre predecessore. E’ da precisare però che, mentre Gioacchino parlava di apocalisse in senso biblico, Nostradamus utilizzava metaforicamente lo stesso termine per rappresentare lo sconvolgimento e la distruzione dell’ordine delle sue quartine, cioè del mondo da lui creato (cfr. “L’Anticristo di Nostradamus” e “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”).

Il primo disegno dei “vaticinia di Nostradamus” raffigura Gioacchino mentre consegna un libro (probabilmente la regola dell’ordine florense da lui fondato) a due gruppi di religiosi inginocchiati, quattro uomini e quattro donne, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra.

Il saio indossato, tipico dei benedettini di regola cistercense, nonché la citazione del suo nome in calce all’ultima immagine del manoscritto, confermano che è proprio lui il monaco con il quale si apre il libro dei vaticinia.


martedì 20 maggio 2014

Le due Sante (Vaticinia di Nostradamus)

Le buone intenzioni durano poco. Spaventato da quella cloaca infernale che non riesce a controllare, Urbano V abbandona presto Roma per fare ritorno ad Avignone.

Gli succede, nel 1370, Gregorio XI, ancora un francese, di fronte al quale si piazzano due donne di carattere, che sostengono di avere un telefono rosso costantemente collegato con l’Aldilà, senza bisogno di comporre alcun numero: Brigida di Svezia, che abbiamo tratteggiato in un recente post, e Caterina da Siena. Il papa deve tornare a Roma, impongono; altrimenti… con l’ira divina non si scherza!

Minacce ben rappresentate nell’icona dei vaticinia, successiva a quella di Urbano V, con la mano di Dio che trattiene l’arma del soldato. Solo minacce, appunto. Se vogliamo, il soldato con la spada è anche il simbolo dei pericoli che, a Roma, attendono il papa.
Guardate che le immagini pubblicate sono tutte in successione, come una storia illustrata che si snoda davanti ai nostri occhi; non certo una di qua e una di là, secondo convenienza. Rassegnatevi, amanti del mistero a buon mercato: è il passato, e non il futuro, che i vaticinia ci raccontano. Non è colpa mia se la verità non è mai così sensazionale come la vorreste. Però, se la guardate con gli occhi giusti, sa essere molto interessante.



Impressionato dalle messaggere divine, Gregorio XI ubbidisce e si trasferisce a Roma.
Lì, però, le cose non cambiano: impotente di fronte all’ingovernabile marasma, il papa non sa che pesci pigliare; le sommosse e i conflitti non si contano, l’odio dilaga, il sangue scorre a fiumi, i cardinali non collaborano, le promesse di Caterina non si avverano, i romani vogliono un papa italiano, preferibilmente romano. Disperato e moribondo, il buon Gregorio detta le sue ultime volontà. Riferendosi a Caterina e Brigida, che lo hanno trascinato in quella trappola, invita a diffidare di: “…queste persone che, millantando presunte rivelazioni, propongono le loro visioni come regola della condotta che si deve tenere nel governo della Chiesa”.
E muore. Con lui finisce la stirpe dei papi francesi o, almeno, dei papi francesi riconosciuti.

E’ diventato oscuro l’oro e mutato il bonissimo colore; la ruggine ti consumerà; hai trovato dolce principio, ma fine tribulante. Dov’è Lucifero? Dove sono andate le stelle? Prego, Signor mio; manda quello che hai da mandare.

…segue…

lunedì 19 maggio 2014

I Papi e i "vaticinia di Nostradamus" (seguito)

A Clemente V succedono altri 4 pontefici francesi ai quali corrispondono, nell’ordine, le immagini da 10 a 13 dei vaticinia di Nostradamus: Giovanni XXII, Benedetto XII, Clemente VI, Innocenzo VI.

Arriviamo così a Urbano V (Guillaume de Grimoard), anche lui francese, sul quale abbiamo aperto questa finestra medioevale nel post precedente sui papi. La vita a Roma è insostenibile e la gente invoca a gran voce il ritorno del Papa, che viene visto come l’unico in grado di ristabilire un po’ di ordine.

Non pensate che questo fosse l’effetto di un cattolicesimo nazionalistico o che ci fossero sullo sfondo delle sincere motivazioni religiose. Niente affatto. Dove stava il papa stava l’oro di Paperon de’ Paperoni. Ignorante e sofferente, la plebe romana pensava di poter beneficiare, chissà come, del benessere papale. Possiamo capirli benissimo, perché qualcosa di simile avviene con certe folle di oggi che, in coro da stadio, inneggiano a questo o a quel leader politico, idolatrandolo perfino, pensando di avere a che fare con un benefattore del popolo. Anche la nobiltà romana aveva bisogno di un centro di potere al quale aggrapparsi per prosperare meglio, con intrighi e intrallazzi. E anche per loro non c’era differenza con le attuali connivenze tra affari e politica.

Uomo pio e virtuoso, Urbano V ascolta le voci che si levano da ogni parte e fa ritorno a Roma, dopo una breve sosta a Viterbo.

A cose altre sei chiamato o Prencipe canuto di mente, che stai in pene! Sorgi e sii robusto, uccidi Nerone, sana i feriti, prendi il ventaglio, ammazza le mosche, scaccia i vendenti dal Tempio, annoncia il giusto, raffrena gli assetati.

Gli artisti lo raffigurano in un’immagine nella quale un Angelo gli consegna le chiavi di San Pietro mentre lui, con la frusta, scaccia il pavone, simbolo del peccato d’orgoglio.  
Dominus Guillelmus de Grimoard, deinde Urbanus papa quintus, recita la fascetta in alto di una delle tante miniature che lo rappresentano: interpretazione autentica di colui che l’ha disegnata.



E così lo rappresenta anche il misterioso autore dei “vaticinia di Nostradamus”, nella quinta immagine successiva a quella del Papa a cavallo che lascia Roma (Clemente V), visto che Urbano V è il quinto papa dopo Clemente V.



Siamo ancora convinti di essere alle prese con un manoscritto di Nostradamus che descrive l’apocalittico futuro a fumetti del mondo di oggi, come ci viene insegnato in un famoso  filmato di History Channel?

Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?
Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza? (Cicerone)

…segue…

giovedì 15 maggio 2014

Giovanna d'Arco - 3


La conclusione più ovvia è che Giovanna d’Arco, in aggiunta alle presunte voci, abbia beneficiato di alcune “importanti referenze terrene” che, durante lo sviluppo degli eventi, hanno perso il loro “peso”.
Ma, se è così, chi si è avvalso di lei? Cosa si celava dietro? Per conto di chi agiva e per quale scopo?

*  *  *

Sembra storicamente certo che, quando Giovanna d’Arco si recò a Chinon per incontrare il re Carlo VII e comunicargli “la volontà divina”, Renato d’Angiò fosse al suo fianco. Perché? A che titolo? Tenuto conto che lei era una contadinotta, come facevano ad essere intimi al punto da far sospettare a qualcuno che fossero amanti?
Renato d’Angiò era un discendente di Goffredo di Buglione, le cui vicende s’intrecciavano con quelle dei Templari e con il loro segreto. Egli stesso, che collezionava presunte “coppe del Graal”, aveva legami con un ordine di derivazione Templare, che avrebbe voluto sottrarre il trono di Francia ai Valois (della dinastia dei capetingi) per restituirlo ai Lorena, che si proclamavano legittimi discendenti del sacro sangue carolingio o addirittura merovingio.
Qual è il nesso tra la storia personale di Renato d’Angiò e il misterioso coinvolgimento di Giovanna?
La questione, storicamente confusa, non può essere certo risolta in questo breve brano, nel quale ogni ipotesi di risposta ci porterebbe molto lontano.

Non si può però non  condividere il punto di vista del trio Baigent-Leigh-Lincoln che, nel libro “Il Santo Graal”, si meraviglia come “la carriera breve e folgorante di Giovanna d’Arco sembrava far pensare a una montatura, come se qualcuno, sfruttando le leggende popolari che parlavano di una vergine di Lorena e giocando abilmente sulla psicologia delle masse, avesse congegnato e orchestrato la cosiddetta missione della Pulzella d’Orléans”.

Oltre un secolo dopo la morte di Giovanna, Nostradamus venne “iniziato” al segreto dei Lorena da Mathias Delvaux, nell’abbazia di Orval. Subito dopo, ha dedicato alla pulzella d’Orléans una quartina: la X,98.
Come al solito, quella di Nostradamus non era una previsione, ma un resoconto. Perché mai l’avrebbe fatto, se non perché quella figura aveva svolto un ruolo ben preciso all’interno della storia che egli ha raccontato nelle sue centurie e che, guarda caso, riguardava proprio il segreto dei Lorena e dei Templari, già custodito da Renato d’Angiò?

La splendeur claire à pucelle joyeuse,
Ne luyra plus, long-temps sera sans sel,
Avec murchans, ruffiens loups odieuse,
Tous pesle mesle monstre universel.

Il limpido splendore della gioiosa pulzella,
Non brillerà più e a lungo senza sapore rimarrà,
Odiosa con mercenari, ruffiani e lupi,
Tutti stupiti dall’universal prodigio.

sabato 10 maggio 2014

Giovanni XXXIII e i "vaticinia di Nostradamus" (2)

Ultimi decenni del XIV secolo. Roma è in pieno fermento: anarchia, sporcizia, brigantaggio, prostituzione, omicidi (tranne che di domenica, per rispetto del giorno del Signore), saccheggi e violenze. Ci si batte ad ogni angolo di strada e ad ogni occasione, tutti contro tutti; i mercenari bivaccano alle porte della città, tormentandola con le loro scorrerie.
Il papa in carica, Urbano V, risiede in Francia, ove la sede pontificia è stata trasferita nel 1313 dal francese Clemente V, lo stesso che aveva sciolto l’Ordine dei Templari.
I vaticinia di Nostradamus (nona immagine) raffigurano Clemente V a cavallo, mentre lascia  una donna con le mani giunte, sulla soglia di un edificio di culto: la sposa di Cristo, la Chiesa di Roma abbandonata.  



Vedi qui il sposo della donna Babilonica, che fugge la sua sposa a sé abominabile, quasi vedovada lasciandola.

Così lo descrivono gli artefici dei disegni, dei quali l’autore dei vaticinia di Nostradamus, che non sono affatto di Nostradamus, è solo un mediocre scopiazzatore.
Mi dispiace di deludere chi la pensa diversamente, ma a me risulta che i “vaticinia di Nostradamus” siano solo un pessimo mosaico del 1800 o giù di lì, un’accozzaglia di frammenti di altre opere. Un lavoro intrigante, espressione di un fenomeno culturale interessante, ma pur sempre una macedonia di frutta, attorno alla quale si è costruito un business di successo.

L’immagine del papa a cavallo che lascia Roma, ripresa da una fonte più sofisticata dei “vaticinia di Nostradamus”, è riportata anche nel recente DVD n. 4 di Alberto Angela “Alla scoperta del Vaticano”.



Dante, filo-templare, immortala Clemente V nell’inferno, in modo assai poco benevolo:

ché dopo lui verrà di più laida opra,
di ver' ponente, un pastor senza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.
Nuovo Iasòn sarà di cui si legge
ne' Maccabei; e come a quei fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge.
Inf. XIX, 83-88

…segue…

mercoledì 7 maggio 2014

Giovanna d'Arco - 2

Abbiamo concluso il post precedente su Giovanna d’Arco adombrando la possibilità che qualcuno, approfittando del suo misticismo, ne manipolasse azioni e comportamenti.

Comunque la si pensi, è un fatto incontrovertibile l’appartenenza di Giovanna a una schiera di santi e veggenti che vanno in guerra per fare strage del prossimo, sotto l’insegna di Colui che ha insegnato, fino al supplizio di sé, l’amore e il perdono per i nemici.
Sia ai credenti che ai non credenti non può sfuggire lo stridente contrasto tra una religione che trova nel martirio il proprio fondamento e le guerre sante scatenate nel corso dei secoli in nome di quella stessa religione.
Ovviamente, non intendo esporre qui dei punti di vista che toccano l’essenza stessa del cristianesimo; mi preme invece sottolineare l’alone di sospetto che circonda la figura di Giovanna d’Arco, sia in merito all’autenticità soprannaturale delle sue voci che all’adesione che ha raccolto intorno a sé. E questo si può riassumere in una semplice domanda: quanto c’era di spontaneo nel fenomeno della santa e quanto di “costruito ad arte”?
Come è possibile che il re Carlo VII abbia dato retta a questa ragazzotta di campagna, anziché mandarla via come invasata? E’ vero che l’ha sottoposta al giudizio di alcuni ecclesiastici ma, se ha fatto questo, evidentemente propendeva a prenderla sul serio. Il fatto stesso che l’abbia ammessa alla sua presenza è incredibilmente sbalorditivo.
Perché questo atteggiamento positivo? E perché poi, in occasione del processo per eresia, non ha mosso un dito per aiutarla, nonostante il debito di riconoscenza che aveva contratto nei suoi confronti, per il suo impegno nelle vicende militari? Avrebbe ugualmente preso le distanze se fosse stato convinto che la pulzella era davvero un’inviata “divina”?
La conclusione più ovvia è che Giovanna d’Arco, in aggiunta alle presunte voci, abbia beneficiato di alcune “importanti referenze terrene” che, durante lo sviluppo degli eventi, hanno perso il loro “peso”.

Ma, se è così, chi si è avvalso di lei? Cosa si celava dietro? Per conto di chi agiva e per quale scopo?

…segue…

domenica 4 maggio 2014

Giovanni XXIII e i "vaticinia di Nostradamus"

Ci siamo chiesti, nel post precedente, come mai il cardinale Roncalli abbia deciso di scegliere un nome, Giovanni XXIII, che era appartenuto a un antipapa.  Abbiamo accennato alla possibilità che tale scelta possa essere messa in correlazione con ambienti esoterici, ma resta comunque il fatto che, diversi secoli fa, un Giovanni XXIII è già stato a capo della Chiesa Cattolica.
E’ possibile che, con la sua decisione, Angelo Roncalli abbia voluto porre la parola fine alla discussa questione di legittimità del suo omonimo predecessore, con l’adozione di un nome e di una numerazione che, automaticamente, lo disconoscevano.

Sebbene chiusa sotto il profilo ecclesiastico, la questione rimane aperta sotto il profilo storico. La riprendo, per introdurre anche lo studio dei “vaticinia di Nostradamus”. Mentre preparo questo lavoro mi accorgo che, nella nuova impostazione che sto per dare, la narrazione non sarà troppo breve: un periodo turbolento e intrigante della Chiesa Cattolica, come quello che ha portato all’elezione del primo Giovanni XXIII, non può essere banalizzato con troppe semplificazioni, soprattutto se vogliamo capirne la connessione coi “vaticinia”, troppo spesso superficialmente spacciati come profezie della “fine del mondo”, invece di essere correttamente visti come rappresentazione artistica di quel periodo storico. Una mistificazione inaccettabile e ingiustificabile, soprattutto sotto il profilo culturale.

Per non lasciare in sospeso fino a data indeterminata il filone (già iniziato, ma piuttosto breve) su Giovanna d’Arco e Gioacchino da Fiore, coi relativi riflessi su Nostradamus, a partire dal prossimo post procederò alternando gli argomenti.

Oggi facciamo presto a dire che Tizio era papa e Caio antipapa: diamo per scontato che, in determinati momenti, si siano fronteggiati usurpatori venuti da chissà dove e pontefici regolarmente eletti. Non è così! Se, per comodità culturale, accettiamo di condividere le etichette apposte dalla storia, questo non deve obbligarci a ignorare che anche gli antipapi potevano spesso vantare delle ragioni che legittimavano la loro posizione, così come certi papi godevano di una legittimazione traballante.

Prima di Giovanni XXIII (Angelo Roncalli), la tradizione non ha mai preso posizione netta sull’omonimo antipapa (Baldassarre Cossa), succeduto a un altro antipapa: Alessandro quinto. Ma, mentre il nome di quest’ultimo è stato implicitamente riconosciuto dal successivo Papa Alessandro VI, che non ne ha duplicato la numerazione, il nome XXIII assunto da Cossa è stato duplicato da Angelo Roncalli. Due pesi e due misure, potremmo dire, anche se il contesto storico è diverso.
Papa Martino V si considerava successore di Giovanni XXIII (Cossa) e non di Gregorio XII che, oggi, viene considerato il suo valido predecessore.
Nella Basilica di S. Paolo Fuori le Mura, il medaglione di Giovanni XXIII (Cossa) è presente unitamente agli altri medaglioni, a dimostrazione del suo riconoscimento.

La verità è che l’elezione di Giovanni XXIII (Cossa) è avvenuta in un periodo storico di incertezza e confusione, durante il quale le regole dell’elezione pontificia venivano disattese, modificate o create a seconda dell’opportunità, anche da chi non aveva l’autorità per farlo.

Per capire, bisogna risalire all’origine di questo gran pasticcio.