Tecniche di Nostradamus

venerdì 27 dicembre 2013

Il mistero di Antibes

Prima di passare a un esame riepilogativo del racconto di Nostradamus, vi ripropongo la quartina X,13 in originale, unitamente alla traduzione di Patrian e alla mia, richiamando una particolare attenzione sull’ultimo verso.


(Patrian)
Sazi di pastura d’animali ruminanti,
Da essi portati all’erbivoro ventre,
Soldati nascosti, le armi crepitanti,
Non lontano dalla città d’Antibes messi alla prova.

(Mia traduzione)
Sotto la pastura da animali ruminanti,
Da loro condotti al ventre di Wurzburg,
Soldati nascosti, con le loro rumorose armi,
Accampati non lontano dalla città di Antibes.

I carri carichi di pastura (fieno) per animali ruminanti, coi quali ci si reca al centro (ventre) di Wurzburg, sono descritti alla lettera. Sotto il fieno sono nascosti dei soldati con le loro armi. Un altro gruppo di soldati, trasportati alla stessa maniera, si accampa presso Antibes, cittadina portuale della Costa Azzurra. E’ lì probabilmente, e non (o non solo) a La Rochelle, che dei Templari prendono il largo su delle navi.

Per quanto riguarda l’ultimo verso, bisogna notare che la parola originale francese, che ho tradotto con “accampati” è “temptez = rappresentazione tipografica di tentés”. Patrian traduce con “tentati, messi alla prova”. Questo è sicuramente corretto ma una traduzione alternativa, altrettanto corretta, a mio avviso più attinente al contesto, è appunto “attendati, accampati” in attesa dell’imbarco. Non posso tuttavia escludere che il gruppo diretto ad Antibes sia stato raggiunto dai soldati di Filippo il Bello e “messo alla prova”, cioè impegnato in combattimento.
A quanto mi risulta, di nessuna delle due situazioni si ha una specifica conferma storica.

La versione di Nostradamus, per quanto ne so, ha in comune con la tradizione solo l’aspetto relativo ai carri da fieno; è invece assolutamente originale per quanto riguarda le destinazioni. Come già detto, io mi limito soltanto a proporla, nella convinzione che Nostradamus fosse “uno che sapeva”.

La sopravvivenza dell’Ordine sembra testimoniata anche da Dante Alighieri nei versi immediatamente successivi a quelli già riportati in altro recente post (Purgatorio, XX – vv. 94-96):

O Signor mio, quando sarò io lieto
A vedere la tua vendetta che, nascosa,
fa dolce l’ira tua nel segreto?

Dante invoca una vendetta “nascosa” e “segreta”. Molto ci sarebbe da dire ma, per non uscire troppo dal nostro territorio d’indagine, limitiamoci a una velocissima ipotesi. E’ possibile che Dante fosse a conoscenza della sopravvivenza clandestina dei Templari e auspicasse una loro futura vendetta? Quella stessa vendetta (“ascosa”, in “segreto”, messa in atto in clandestinità) conclusasi (ma si è davvero conclusa?) con la rivoluzione francese quando sembra che il boia, chinandosi verso il sovrano in procinto di essere ghigliottinato, gli abbia mormorato: “Io sono un Templare e porto a compimento la vendetta di Jacques de Molay”.
Come noto, il sovrano giustiziato, Luigi XVI, veniva chiamato Luigi Capeto, in quanto discendente di Ugo Capeto, fondatore della dinastia di cui era membro anche Filippo il Bello, sterminatore dei Templari.



domenica 22 dicembre 2013

Herbipolis

Dai precedenti post, sappiamo che la quartina X,13 racconta la fuga di alcuni Templari da Parigi, nascosti in carri di fieno.

Le parole dei versi sono abbastanza esplicite, eccetto due: antipolique e herbipolique/helbipolique. “Antipolique” non sfugge a Patrian e a Guérin/Larmor, mentre fa cascare nel tranello Ramotti (che traduce con “antipodi=Saigon”), Pichon (che intende “antipoli[ti]que”) e  tanti altri.
Eppure è semplice: Antipolis è il vecchio nome di Antibes, ridente cittadina della Costa Azzurra.
Altrettanto semplice è il significato della parola “herbipolique/helbipolique”. Il giochino di Nostradamus è evidente: altera la parola per richiamare una particolare attenzione; ormai siamo ben abituati a questo modo di fare.
Ovviamente “herbipolique” dà l’idea di “erba” ed è coerente con il ventre  e con il pasto degli animali ruminanti. Così, è abbastanza naturale che nessuno ci si soffermi. Va’ a pensare che… non so dire se qualcuno l’ha già proposto (a me non risulta)…  mi limito a copiare e incollare la definizione data da Wikipedia:



Sotto la pastura da animali ruminanti,
Da loro condotti al ventre [dentro, all’interno] di Wurzburg,
Soldati nascosti, con le loro rumorose armi,
[quarto verso al prossimo post]

Herbipolis era il nome medioevale e rinascimentale della città tedesca di Wurzburg.
Herbipolique e Antipolique sono perciò gli attributi (lo stesso che “romano”, “parigino”, “londinese”, etc.) di due città, l’una tedesca (Wurzburg: ventre herbipolico) e l’altra francese (Antibes: città antipolica). Non capisco che bisogno ci sia di ricorrere a discutibili contorsioni mentali per risolvere l’enigma, senza scorgere il legame con la ben nota leggenda dei Templari in fuga: due gruppi di carri si dirigono verso due città diverse, nella speranza che almeno un gruppo sfugga alla caccia dei soldati di Filippo il Bello. O, forse, il gruppo per Antibes serve a tirarsi dietro gli inseguitori, facendo passare inosservata la fuga del gruppo diretto a Wurzburg.
In quest’ultimo caso, il quarto verso della quartina X,1 assumerebbe una diversa luce. Non più l’incomprensibile “dannato il resto per essere sostenuto”, bensì “condannato (fa da esca) a sostegno di un altro gruppo”, per dargli modo di mettersi in salvo. Impostata così, la narrazione assumerebbe una chiarezza esemplare.
Aggiungo che gli studiosi sono certi che alcuni Templari abbiano trovato rifugio tra i Cavalieri Teutonici, versione tedesca dell’ordine del Tempio. Siamo quindi in presenza di una generica conferma storica, pur mancando la conferma del dettaglio che Wurzburg sia stata veramente una città di destinazione della fuga.



(segue)

martedì 17 dicembre 2013

Filippo il Bello: il pirata

Quando ho iniziato questa narrazione, ho promesso che avrei accennato alla sua contestualizzazione in uno scenario più ampio.

A questo fine, prima di approfondire la X,13, segnalo che nella mia ricostruzione essa è preceduta dalla X,1, che mi sembra si integri perfettamente:


 Al nemico, il nemico la sua promessa
non manterrà,  trattenuti i prigionieri:
Preso, calpestato, morto e il resto spogliato dei beni[1],
(Con)dannato il resto per essere sostenuto.

Sapendo che la quartina X,1 dovrebbe precedere la X,13, mi pare di leggere in essa la conferma dell’esistenza di due nemici (Filippo il Bello e i Templari), di una promessa infranta (il debito finanziario contratto da Filippo coi Templari e non più rimborsato), di prigionieri, di morte, di confisca di beni, di un resto che va messo in salvo. Presa isolatamente, la quartina può significare tante cose, ma unita alla X,13 ne significa una sola. Ci torneremo velocemente sopra quando quest’ultima risulterà chiara. Il nesso risulterà innegabile.

Per il momento mi limito a segnalare la possibilità che quel “damné” dell’ultimo verso manchi della sillaba iniziale “con”. La parola, cioè, starebbe per “condamné” (condannato), anziché per “damné” (dannato).
Un esempio del genere è stato già incontrato nella quartina I,76 a proposito della parola “duira”, che proponeva l’alternativa tra “seduira” (sedurrà) e “conduira” (condurrà). In quella occasione, solo dopo aver esaminato tutto lo scenario abbiamo optato per “sedurrà”.

Può essere interessante sapere che la quartina fa il paio con i versi 91-93 del XX canto del Purgatorio:

Veggio il nuovo Pilato sì crudele
che ciò nol sazia; ma senza decreto
porta nel Tempio le cupide vele.

Qui Dante allude a Filippo il Bello, chiamandolo “nuovo Pilato” perché  consegna Bonifacio VIII ai Colonna, come Pilato consegnò Cristo agli Ebrei, ed anche perché si dichiara ipocritamente estraneo ai fatti di Anagni; nel 1307 egli porta le sue “cupide vele”, come un pirata, all’arrembaggio del tesoro dei Templari; il “decreto papale”, necessario per uno scioglimento legittimo dell’Ordine, arriverà solo nel 1312.

Quante cose ci sarebbero da dire…




[1] “Lasciato in camicia” è pressappoco l’equivalente dell’italiano “lasciato in mutande”, “privato di ogni bene”. Il 14 settembre 1307 il re ha inviato un messaggio segreto ai siniscalchi del regno, ordinando l’arresto dei Templari alla data stabilita e la confisca dei loro beni.

giovedì 12 dicembre 2013

I carri di fieno

Stranamente, a dare una interpretazione assai vicina alla realtà della quartina X,13 è uno scrittore che nulla ha a che fare con le profezie: Umberto Eco (Il pendolo di Foucault). Interessante anche ciò che scrive (indipendentemente dalla quartina) il trio Baigent-Leigh-Lincoln nel best-seller “Il Santo Graal”.

Ci sono alcune precisazioni che dovrò aggiungere alla fine ma, sostanzialmente, sia l’uno che gli altri scrivono delle cose condivisibili. Chiamare “precisazioni” le mie prossime aggiunte è riduttivo. Sono novità talmente sorprendenti che, se venissero accettate, potrebbero perfino indurre a rivedere alcune considerazioni storiche. Il problema, semmai, è sapere se Nostradamus è bene informato o se racconta delle frottole. Io mi limito a riportare ciò che leggo, lasciando al lettore ogni valutazione.

L’originaria leggenda, ripresa nei due libri citati sopra, sostiene che, venuti a conoscenza dell’imminente retata, alcuni Templari fuggirono nascondendosi in una o più carrette cariche di fieno, trainate da buoi. Assieme a loro è sparito il favoloso tesoro, sul quale Filippo il Bello voleva mettere le mani.

Il trio Baigent-Leigh-Lincoln sposa la tesi secondo la quale i carri, partiti da Parigi, si diressero a La Rochelle, sulla costa atlantica della Francia, dove Templari fuggitivi e tesoro furono imbarcati su alcune navi della flotta templare, delle quali non si è mai saputa la destinazione.

Di parziale diverso avviso Umberto Eco che, nel suo romanzo “Il pendolo di Foucault”, fa  sostenere a uno dei protagonisti l’idea che il carro carico di fieno usato dai Templari in fuga sia solo una metafora del passaggio del comando da Jacques de Molay,  Gran Maestro dell’Ordine, al nipote conte di Beaujeu. La quartina X,13, secondo il romanzo, altro non sarebbe che la rappresentazione di questa metaforica leggenda.

Uff…. metafora o realtà, finalmente qualcuno ci è arrivato. Napoleone, il Vietnam e altre amenità del genere sono solo frutto di una fantasia estranea a Nostradamus. Quest’ultimo, da perfetto conoscitore delle vicende Templari, apprese durante la permanenza nel convento di Orval (prima o poi dovremo parlare del perché ci è andato e di cosa è successo lì dentro), sta effettivamente descrivendo la fuga dei Templari da Parigi.
Il bello, però, deve ancora venire.


sabato 7 dicembre 2013

X,13: scenario

Con disappunto di coloro che non sopportano più l’invadente argomento dei Templari, sono costretto a riprendere la questione perché, come sappiamo dal mio libro “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”, è per essi che Nostradamus scrive.

Prima di esaminare la quartina X,13, diamo uno sguardo alla leggenda che sta sullo sfondo.

Si narra solitamente che, quando Filippo il Bello dispose la retata dei Templari, all’alba di venerdì 13 ottobre 1307, questi ultimi vennero catturati di sorpresa. Per inciso, è da quella data che è nata la superstizione che vede come sfortunato ogni venerdì 13.

Quasi nessuno crede a questa versione dei fatti. I Templari erano numerosi, potenti ed organizzati. Erano inoltre infiltrati ovunque. La loro rete di complicità e di mutua assistenza era impenetrabile ed efficiente. Assai improbabile che non fossero informati dell’imminente cattura. Trovandosi quasi certamente nell’impossibilità di dileguarsi in massa, hanno probabilmente organizzato delle vie di fuga per alcuni di loro, magari con qualche forma di sorteggio, con l’intento di salvare quante più vite fosse stato possibile e di portare al sicuro il loro tesoro; forse anche lo stesso “Graal”.
In assenza di dati storici comprovati, dobbiamo necessariamente proseguire con un ragionamento per ipotesi di probabilità approdando, infine, al racconto di Nostradamus.
Non è pensabile, strategicamente, che i fuggitivi abbiano pianificato un’unica spedizione. Avranno “frazionato” il rischio, dividendosi in gruppi, ciascuno dei quali avrà preso direzioni diverse; avranno pianificato i contatti futuri; avranno pianificato il nascondiglio o i nascondigli del loro tesoro.
Una volta in salvo, e considerato l’esito funesto dell’esperienza precedente, sono entrati in clandestinità e ci sono rimasti.
Esistono delle leggende su questa fuga, ed è una di queste che ci interessa particolarmente: quella ripresa, 250 anni dopo, da Nostradamus e narrata nella quartina X,13.


lunedì 2 dicembre 2013

Dal Vietnam a Napoleone

Un altro autore di fama, Pierre Guérin (Le véritable secret de Nostradamus – Payot), ripropone l’interpretazione di Colin de Larmor, che non ho avuto il (dis)piacere di leggere. A giudicare da quello che riporta Guérin, non devo essermi perso molto.


 Dice Guérin: “Colin de Larmor, toujours lui, voit dans ce quatrain le retour de l’ile d’Elbe à Golfe Juan, près d’Antibes, qui contraint Napoléon à certains précautions de camouflage”. 

Colin de Larmor, sempre lui, vede in questa quartina il ritorno dall’isola d’Elba a Golfo Juan, presso Antibes, che costringe Napoleone ad alcune precauzioni di camuffamento”.

Non so dire se l’imprecisione sia di Guérin o di Larmor ma, visto che si parla di “Elba”, quantomeno sarebbe stato più opportuno usare la quartina con la versione “helbipolique” (ed. Pierre Rigaud) anziché “herbipolique” (ed. Benoist Rigaud). Non si tratta di pignoleria; sono proprio questi dettagli che, al di là delle interpretazioni, tradiscono la leggerezza con la quale viene affrontato l’argomento che si pretende di spiegare.
In ogni caso, anche adesso si è fatta la ciambella intorno al buco. Si associa la quartina a Napoleone e si cerca una spiegazione di carattere assolutamente generico, che conforti la decisione. I dettagli incompresi vengono trascurati come inutili orpelli oppure vengono adattati a colpi di martello.

Da notare che, a leggere i vari interpreti, Napoleone appare statisticamente come il personaggio maggiormente bersagliato dalle quartine di Nostradamus.

Dal prossimo post inizieremo a interessarci seriamente alla quartina X,13 rifuggendo, come d’abitudine, la genericità, motivando le spiegazioni ed estendendole a tutti i versi e a tutte le parole.