Passiamo all’altra quartina collegata alla II,41,
cioè alla I,4:
Dall’universo sarà fatto un monarca,
Che in pace e vita non sarà a lungo:
Allora si perderà la barca del pescatore,
Sarà retta nel più grande detrimento.
Sappiamo dal mio libro “Il vero codice di
Nostradamus” che questa quartina fa da cerniera tra l’epistola a Enrico II
(ricordate l’enigma delle 3 centurie che completano il migliaio?) e le
centurie. Siamo al nocciolo più interno dell’obiettivo profetico, nel quale si
fondono gli episodi del monarca universale, delle sorti del papato, del Sacro
Graal.
In questo contesto, ci interesseremo ai versi 3 e 4.
Tuttavia, per capire bene, devo fare delle considerazioni sulle dimissioni del
Papa. In quanto personali, potrebbero sembrare estranee all’argomento
Nostradamus, ma vedremo che non è così.
In questi giorni si è discusso, e ancora molto si
discuterà, sulla natura delle dimissioni. Il diritto canonico le ammette, è
vero; ma, al di fuori del profilo giuridico, è ammissibile che un Papa si dimetta
come un qualsiasi funzionario statale? Se egli si accorge di non essere
all’altezza del suo compito o se, ancor peggio, sa di essere preda di una grave
malattia progressivamente invalidante, è opportuno che si tolga di mezzo?
Sotto il profilo umano, si può essere certamente
solidali con un Papa fragile e malato, soggetto alle terrene debolezze, e non
si è autorizzati a formulare alcun giudizio sul suo gesto dimissionario. Tale
giudizio attiene solo alla sua coscienza e al suo rapporto con Dio.
Invece, sotto un profilo genuinamente religioso e al
di fuori delle ipocrisie di facciata, le valutazioni personali non trovano
spazio, soprattutto se espresse “laicamente” da “non addetti ai lavori”, capaci
solo di trasformare una questione così grave in un vuoto chiacchiericcio da
bar. Non si possono esprimere opinioni sull’opportunità o sulla inopportunità
di un tale gesto, se non si conosce e non si penetra a fondo lo “schema” del
pensiero cristiano.
Riflettiamo un attimo! A un cristiano possono
sembrare errati, inopportuni e perfino sbagliati degli atteggiamenti che,
invece, gli adepti di altre religioni ritengono perfettamente in sintonia con
gli insegnamenti ricevuti; ad esempio, certi radicalismi, che per noi sono
ingiustificabili, per altre culture sono addirittura azioni sante, imposte da
un Libro Sacro.
E’ ovvio che un dialogo tra persone che non abbiano
la capacità spirituale di vivere “consapevolmente” il proprio sistema religioso
di riferimento, quand’anche vi appartengano formalmente, è un dialogo futile.
Se, poi, queste persone si esprimono su un piano laico, allora è decisamente
presuntuosa la loro pretesa di formulare giudizi di logicità ed equità su
argomenti che appartengono a una sfera di spiritualità ad essi estranea.
Semplicemente, esprimono giudizi su ciò che non capiscono. I giornali, in questi giorni, stanno riempiendo pagine e pagine con parole vuote, dissertando di religione come se si parlasse di politica.
Nel pensiero genuinamente cristiano, l’investitura
papale è “a vita”. Nel Vangelo di Giovanni (21, 18), che abbiamo imparato a
conoscere intimamente negli ultimi mesi, Gesù dice a Pietro: “In verità, in
verità ti dico: quando eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi;
ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti
condurrà dove tu non vuoi”.
A Pietro non viene data facoltà di sciogliersi
dall’incarico; egli “deve subire” anche i più spiacevoli eventi. Il papato, per
definizione, comporta un abbandono alla volontà di Dio e il Papa si professa
strumento nelle Sue mani. In quanto strumento, spetta al “Padrone” decidere
quando metterlo da parte. I Pontefici conoscono questo principio, che
proclamano ossessivamente in ogni momento di difficoltà. Come si concilia, allora, un
abbandono del ruolo con un abbandono di sé nelle mani di Dio?
Negli “Atti di Pietro” (testo apocrifo), Gesù appare
a Pietro che scappa da Roma. Questi gli domanda: “Quo vadis, Domine?” (Dove
vai, Signore?), Gesù risponde: “Entro in Roma per essere nuovamente
crocifisso”. Pietro capisce che non gli è consentito “abbandonare ad altri le
sue pecore” e torna indietro.
Questo è il pensiero cristiano. Si può dire quello
che si vuole, ma è solo fiato sprecato. Non c’è posto per un Cristianesimo da
supermercato, che ognuno possa acquistare a chili o a etti, secondo le
preferenze. Si può parlare di revisione dei riti e dei costumi sociali, ma la
struttura di base di una religione deve restare quella del suo fondatore e non
può essere modificata. In caso diverso, la religione non è più quella
originale, ma diventa un’altra. Non si può avere con la religione un rapporto
fluttuante, simile a quello che si ha con la politica.
La nostra Chiesa, con il gesto epocale delle
dimissioni di Benedetto XVI, ha fatto il contrario. E’ rimasta sempre ferma sui
principi di ordine morale e sociale, più o meno estranei al Cristianesimo
(potere temporale, disciplina delle coppie, della prolificazione, etc.), ma ha
infranto il tabù dell’accettazione del martirio. Anche un Papa totalmente
invalido dovrebbe restare al suo posto, finché il “Padrone non miete la vigna”,
perché non spetta a lui decidere. Non è sufficiente affermare di essere “umili
operai nella vigna del Signore”, se poi si abbandona il posto di lavoro. Per
definizione, il ruolo di Pietro è un ruolo sacro di investitura divina; il suo
abbandono lo trasforma in un impiego a tempo, al quale viene tolta ogni
sacralità. Per il futuro, qualsiasi Papa potrà sentirsi autorizzato a lasciare
l’incarico, se le sue valutazioni personali glielo suggeriscono. E chi mai
potrà stabilire quale sia il limite di queste “valutazioni personali?”. Quale
ascendente potranno avere i futuri Pontefici su un miliardo di Cattolici, se
dovesse prevalere l’idea dell’instabilità dell’incarico?
Ecco perché, pur con la massima simpatia umana per
la debolezza dell’uomo Ratzinger e sempre, ribadisco, senza voler esprimere
giudizi che competono a un Altro, non si può che vedere incoerenza nel suo
gesto. Pietro è stato perdonato per aver rinnegato Cristo tre volte, perché era
un uomo fragile; si potrebbe dire che bene ha fatto in quanto, se non avesse
negato, avrebbe perso stupidamente la sua vita. Eppure, nessuno ha mai pensato di
valutare il suo rinnegamento sul piano della logica; questo piano, semmai,
giustifica quel gesto che, seppur perdonabile e perdonato, resta pur sempre
atto di tradimento.
Con le dimissioni di Benedetto XVI è stato infranto
l’elemento costitutivo della Chiesa cristiana “Pasci i miei agnelli… pasci
le mie pecore… pasci le mie pecore… [anche quando] un altro ti cingerà e
ti condurrà dove tu non vuoi” (Gv. 21, 15 e segg.).
Nonostante ogni manifestazione di simpatia e di
solidarietà per l’uomo, resta l’incontestabile realtà che, da ora in avanti,
saremo di fronte a una Chiesa diversa da quella di solo qualche giorno fa.
Forse le conseguenze delle dimissioni, non necessariamente negative sotto il
profilo sociale, si vedranno gradualmente o, forse, si faranno sentire subito
nella loro gravità. Ma la Chiesa intesa come organizzazione religiosa prima che sociale, così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino
a oggi, non esiste più.
Nei prossimi post vedremo come tutto questo possa
essere riferito a Nostradamus e alla tradizione del Santo Graal.
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