Tecniche di Nostradamus

giovedì 14 febbraio 2013

C'era una volta la Chiesa


Passiamo all’altra quartina collegata alla II,41, cioè alla I,4:

Dall’universo sarà fatto un monarca,
Che in pace e vita non sarà a lungo:
Allora si perderà la barca del pescatore,
Sarà retta nel più grande detrimento.


Sappiamo dal mio libro “Il vero codice di Nostradamus” che questa quartina fa da cerniera tra l’epistola a Enrico II (ricordate l’enigma delle 3 centurie che completano il migliaio?) e le centurie. Siamo al nocciolo più interno dell’obiettivo profetico, nel quale si fondono gli episodi del monarca universale, delle sorti del papato, del Sacro Graal.
In questo contesto, ci interesseremo ai versi 3 e 4. Tuttavia, per capire bene, devo fare delle considerazioni sulle dimissioni del Papa. In quanto personali, potrebbero sembrare estranee all’argomento Nostradamus, ma vedremo che non è così.

In questi giorni si è discusso, e ancora molto si discuterà, sulla natura delle dimissioni. Il diritto canonico le ammette, è vero; ma, al di fuori del profilo giuridico, è ammissibile che un Papa si dimetta come un qualsiasi funzionario statale? Se egli si accorge di non essere all’altezza del suo compito o se, ancor peggio, sa di essere preda di una grave malattia progressivamente invalidante, è opportuno che si tolga di mezzo?

Sotto il profilo umano, si può essere certamente solidali con un Papa fragile e malato, soggetto alle terrene debolezze, e non si è autorizzati a formulare alcun giudizio sul suo gesto dimissionario. Tale giudizio attiene solo alla sua coscienza e al suo rapporto con Dio.

Invece, sotto un profilo genuinamente religioso e al di fuori delle ipocrisie di facciata, le valutazioni personali non trovano spazio, soprattutto se espresse “laicamente” da “non addetti ai lavori”, capaci solo di trasformare una questione così grave in un vuoto chiacchiericcio da bar. Non si possono esprimere opinioni sull’opportunità o sulla inopportunità di un tale gesto, se non si conosce e non si penetra a fondo lo “schema” del pensiero cristiano.
Riflettiamo un attimo! A un cristiano possono sembrare errati, inopportuni e perfino sbagliati degli atteggiamenti che, invece, gli adepti di altre religioni ritengono perfettamente in sintonia con gli insegnamenti ricevuti; ad esempio, certi radicalismi, che per noi sono ingiustificabili, per altre culture sono addirittura azioni sante, imposte da un Libro Sacro.

E’ ovvio che un dialogo tra persone che non abbiano la capacità spirituale di vivere “consapevolmente” il proprio sistema religioso di riferimento, quand’anche vi appartengano formalmente, è un dialogo futile. Se, poi, queste persone si esprimono su un piano laico, allora è decisamente presuntuosa la loro pretesa di formulare giudizi di logicità ed equità su argomenti che appartengono a una sfera di spiritualità ad essi estranea. Semplicemente, esprimono giudizi su ciò che non capiscono. I giornali, in questi giorni, stanno riempiendo pagine e pagine con parole vuote, dissertando di religione come se si parlasse di politica.

Nel pensiero genuinamente cristiano, l’investitura papale è “a vita”. Nel Vangelo di Giovanni (21, 18), che abbiamo imparato a conoscere intimamente negli ultimi mesi, Gesù dice a Pietro: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi”.

A Pietro non viene data facoltà di sciogliersi dall’incarico; egli “deve subire” anche i più spiacevoli eventi. Il papato, per definizione, comporta un abbandono alla volontà di Dio e il Papa si professa strumento nelle Sue mani. In quanto strumento, spetta al “Padrone” decidere quando metterlo da parte. I Pontefici conoscono questo principio, che proclamano ossessivamente in ogni momento di difficoltà. Come si concilia, allora, un abbandono del ruolo con un abbandono di sé nelle mani di Dio?
Negli “Atti di Pietro” (testo apocrifo), Gesù appare a Pietro che scappa da Roma. Questi gli domanda: “Quo vadis, Domine?” (Dove vai, Signore?), Gesù risponde: “Entro in Roma per essere nuovamente crocifisso”. Pietro capisce che non gli è consentito “abbandonare ad altri le sue pecore” e torna indietro.

Questo è il pensiero cristiano. Si può dire quello che si vuole, ma è solo fiato sprecato. Non c’è posto per un Cristianesimo da supermercato, che ognuno possa acquistare a chili o a etti, secondo le preferenze. Si può parlare di revisione dei riti e dei costumi sociali, ma la struttura di base di una religione deve restare quella del suo fondatore e non può essere modificata. In caso diverso, la religione non è più quella originale, ma diventa un’altra. Non si può avere con la religione un rapporto fluttuante, simile a quello che si ha con la politica.

La nostra Chiesa, con il gesto epocale delle dimissioni di Benedetto XVI, ha fatto il contrario. E’ rimasta sempre ferma sui principi di ordine morale e sociale, più o meno estranei al Cristianesimo (potere temporale, disciplina delle coppie, della prolificazione, etc.), ma ha infranto il tabù dell’accettazione del martirio. Anche un Papa totalmente invalido dovrebbe restare al suo posto, finché il “Padrone non miete la vigna”, perché non spetta a lui decidere. Non è sufficiente affermare di essere “umili operai nella vigna del Signore”, se poi si abbandona il posto di lavoro. Per definizione, il ruolo di Pietro è un ruolo sacro di investitura divina; il suo abbandono lo trasforma in un impiego a tempo, al quale viene tolta ogni sacralità. Per il futuro, qualsiasi Papa potrà sentirsi autorizzato a lasciare l’incarico, se le sue valutazioni personali glielo suggeriscono. E chi mai potrà stabilire quale sia il limite di queste “valutazioni personali?”. Quale ascendente potranno avere i futuri Pontefici su un miliardo di Cattolici, se dovesse prevalere l’idea dell’instabilità dell’incarico?

Ecco perché, pur con la massima simpatia umana per la debolezza dell’uomo Ratzinger e sempre, ribadisco, senza voler esprimere giudizi che competono a un Altro, non si può che vedere incoerenza nel suo gesto. Pietro è stato perdonato per aver rinnegato Cristo tre volte, perché era un uomo fragile; si potrebbe dire che bene ha fatto in quanto, se non avesse negato, avrebbe perso stupidamente la sua vita. Eppure, nessuno ha mai pensato di valutare il suo rinnegamento sul piano della logica; questo piano, semmai, giustifica quel gesto che, seppur perdonabile e perdonato, resta pur sempre atto di tradimento.

Con le dimissioni di Benedetto XVI è stato infranto l’elemento costitutivo della Chiesa cristiana “Pasci i miei agnelli… pasci le mie pecore… pasci le mie pecore… [anche quando] un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi” (Gv. 21, 15 e segg.).
Nonostante ogni manifestazione di simpatia e di solidarietà per l’uomo, resta l’incontestabile realtà che, da ora in avanti, saremo di fronte a una Chiesa diversa da quella di solo qualche giorno fa. Forse le conseguenze delle dimissioni, non necessariamente negative sotto il profilo sociale, si vedranno gradualmente o, forse, si faranno sentire subito nella loro gravità. Ma la Chiesa intesa come organizzazione religiosa prima che sociale, così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino a oggi, non esiste più.


Nei prossimi post vedremo come tutto questo possa essere riferito a Nostradamus e alla tradizione del Santo Graal.


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