Abbiamo fatto una serie di ipotesi che, a prescindere della
validità che ad esse vogliamo conferire, evidenziano due certezze
inconfutabili:
Tra le persone che circondano Gesù esiste un discepolo
misterioso, autore del quarto Vangelo, noto come “Vangelo secondo Giovanni”.
Costui attribuisce all’Eucaristia una connotazione diversa da
quella degli altri evangelisti e dell'apostolo Paolo.
Attorno a questi due assiomi, abbiamo costruito la teoria di
un incarico speciale assegnato al personaggio sconosciuto, che abbiamo
identificato in Giuseppe di Arimatea. Abbiamo supposto, anche se non lo abbiamo
ancora dimostrato, l’esistenza di un clima di ostilità tra lui e gli apostoli
(Pietro, soprattutto), inizialmente per motivi di gelosia e poi, forse, per
paura che la Chiesa di Pietro fosse minacciata da una nascente comunità
riconducibile a Giuseppe e ai suoi successori (a tempo debito, ai Cavalieri
Templari).
Il rapporto speciale del nostro discepolo con Gesù,
l’assegnazione a lui di un incarico particolare, la sua diversità rispetto agli
apostoli e l’ostilità nei suoi confronti trovano piena conferma nei brani di
chiusura del citato quarto Vangelo.
Leggiamo:
[Gesù], dopo aver così parlato [a Pietro],
aggiunse: “Seguimi”.
Pietro, voltatosi, vide che gli veniva dietro il discepolo
prediletto da Gesù, quello che nella cena si era chinato sul petto di lui e gli
aveva domandato: “Signore, chi è il tuo traditore?”. Vedutolo, Pietro domandò a
Gesù: “Signore, e di lui che ne sarà?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che egli
resti finché io ritorni, che te ne importa? Tu seguimi”.
Si sparse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo
non doveva morire. Ma Gesù non disse a Pietro che quel discepolo non doveva
morire, bensì: “Se io voglio che egli resti finché io ritorni, che te ne
importa?”.
E’ lui il discepolo che attesta queste cose e le ha scritte
(Gv. 21, 19 – 24).
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