Le domande che, nel post precedente, ci siamo posti su
Giuseppe di Arimatea possono essere raggruppate in tre rami principali: il
primo attiene a ciò che si sa di lui; il secondo a ciò che si potrebbe dedurre
da alcuni fatti e comportamenti; il terzo alle motivazioni che possono
giustificare la scarsa attenzione, forse ostilità, riservata al personaggio da
parte della Chiesa.
Il primo gruppo ruota attorno a tre considerazioni
fondamentali:
Giuseppe è benestante
Giuseppe riveste un ruolo sociale autorevole
Giuseppe ha un legame con Gesù.
Vediamo cosa ci dicono, in proposito, i vari Vangeli:
Fattasi sera, venne
un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era pure discepolo di
Gesù. Egli si presentò a Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Pilato ordinò
che gli fosse dato
(Mt. 27, 27-58).
Matteo fornisce conferma a tutte le nostre tre questioni
dicendoci, anzitutto, che Giuseppe era un uomo ricco ed era discepolo di
Gesù.
In secondo luogo, se egli ha la possibilità di presentarsi a
Pilato, governatore della Giudea, e di chiedergli il corpo di Gesù,
evidentemente ha uno “status sociale” che gli consente di farlo. Dal fatto che
Pilato non solo lo riceve, ma accoglie la sua richiesta, deduciamo che il suo è
uno “status” di rilievo nei rapporti tra i Romani e i Giudei.
Abbastanza simile a quello di Matteo è il racconto di Marco
(Mc. 15, 43):
Giuseppe d’Arimatea, membro distinto del Consiglio, che
aspettava egli pure il regno di Dio, venne ed ebbe il coraggio di presentarsi a
Pilato per chiedergli il corpo di Gesù.
Scopriamo così da Marco che Giuseppe era un membro del Sinedrio
di “rango elevato” (membro distinto).
Ulteriori dettagli ci vengono forniti da Luca (Lc. 23,
50-52):
Ed ecco un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio,
persona dabbene e giusta: egli non aveva approvato la loro decisione né i loro
atti; egli era di Arimatea, città della Giudea e aspettava il regno di Dio:
andò da Pilato e chiuse il corpo di Gesù.
Giuseppe reagisce, dunque, dissentendo dalla decisione del Sinedrio: il gesto di un uomo coraggioso che, di fronte a una sentenza di condanna già preconfezionata verso Cristo, mette da parte la
salvaguardia della sua persona e del suo ruolo. Per valutare meglio la portata
del suo coraggio, confrontandola con una ipotetica situazione analoga dei
nostri tempi, potremmo immaginare la posizione di un membro dissenziente
all’interno di un tribunale politicizzato in uno stato totalitario.
Un ultimo particolare, infine, viene aggiunto da Giovanni
(Gv. 19, 38):
Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, ma occulto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter togliere il corpo di Gesù e Pilato lo permise.
Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, ma occulto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter togliere il corpo di Gesù e Pilato lo permise.
Abbiamo conferma che Giuseppe fosse discepolo di Gesù, con la
precisazione che era un discepolo in incognito, visto il suo ruolo pubblico.
Passando ai Vangeli apocrifi, rileviamo altre conferme e
ulteriori dettagli:
era lì presente Giuseppe, l’amico di Pilato e del Signore (Vangelo di Pietro II, 3)
Che Giuseppe fosse amico di Pilato è una novità abbastanza
verosimile. E’ più che ovvio che Pilato conoscesse i membri importanti del
Sinedrio; un qualche grado di familiarità con Giuseppe, invece, è testimoniato
dal fatto che, a titolo personale, egli chieda e ottenga il corpo di
Cristo, nonostante il clima di odio da parte del resto del Sinedrio e dello
stesso Sommo Sacerdote. E i sacerdoti, infatti, non mancano di esprimere il
loro dissenso quando, scoperta la concessione di Pilato a Giuseppe, chiedono
che, almeno, il sepolcro venga custodito dai romani affinché il corpo non venga
trafugato (Mt. 27, 62-66).
Notevole il contrasto tra il comportamento di Pilato di
fronte all’amico Giuseppe, alla cui richiesta accondiscende, e quello nei
confronti dei Sacerdoti, verso i quali ha una reazione irritata: “Avete un
picchetto di guardie: andate, sorvegliate come volete” (Mt. 27, 65); come
dire, “fate quello che volete, ma non mi state ancora a scocciare”.
Proseguiamo:
Ma ecco un uomo, di nome Giuseppe, un consigliere, della
città di Arimatea, il quale aspettava il regno di Dio, recatosi da Pilato,
richiese il corpo di Gesù
(Vangelo di Nicodemo: Testo greco A - XI,3)
Ma Nicodemo ed io, Giuseppe, vedendo quel tribunale di
pestilenza [il
sinedrio], ci allontanammo da loro, non volendo perire insieme a quel
consesso di empi (Dichiarazione di Giuseppe di Arimatea II,4).
Tutti i Vangeli canonici e diversi degli apocrifi
testimoniano dunque, in maniera pressoché concorde, sul ruolo pubblico di
Giuseppe e sul suo coraggio nell’uscire allo scoperto, incurante della sua
sorte personale.
E’ un fatto alquanto infrequente che un episodio trovi delle
conferme così unanimi ed è proprio questo rilievo dato al personaggio che rende
sorprendente il silenzio che, poi, lo accompagnerà nei secoli.
Alcuni Vangeli apocrifi narrano anche che verrà imprigionato
per l’amore dimostrato verso Gesù. Lo stesso Boron racconta che Gesù gli
apparve proprio in prigione per consegnargli il Graal.
Ecco, dunque, la foto di Giuseppe di Arimatea che viene fuori
da una sintesi delle varie descrizioni:
uomo ricco, membro di spicco del Sinedrio, fedele discepolo
di Cristo in incognito, giusto e coraggioso, amico di Pilato.
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