Il
Vangelo attribuito a Giovanni viene scritto[1] da un discepolo che opera in incognito, diverso dagli
Apostoli e particolarmente caro a Gesù. Abbiamo ipotizzato che egli fosse
Giuseppe di Arimatea, dal momento che questa identificazione fornisce risposta
ad alcuni quesiti, altrimenti insolubili.
A
questo discepolo Gesù affida il suo segreto finale, da custodire e tramandare
nei secoli.
In
mezzo ad alcune congetture, una attenta analisi dei vangeli, canonici e
apocrifi, fornisce anche delle certezze.
Le
congetture riguardano essenzialmente l’identità del discepolo misterioso e la
natura del segreto che gli viene affidato.
La certezza più notevole, invece, è una particolare
vicinanza a Gesù che, tuttavia, pone degli interrogativi sul perché di questa
predilezione.
Probabilmente le motivazioni vanno ricercate in uno
sfondo ideologico e religioso comune (essenismo) oppure in una maggiore
affidabilità del discepolo.
Emerge infatti dai Vangeli che gli apostoli sono
piuttosto rozzi, non capiscono bene il messaggio di Gesù, aspirano alla gloria,
scappano via nel momento del pericolo.
Il discepolo speciale, invece, è un uomo colto,
autorevole, pienamente consapevole delle sue scelte: il quadro si addice perfettamente a Giuseppe di Arimatea[2], membro del Sinedrio che,
per amore, si fa avanti quando gli altri fuggono, mettendo a disposizione il
sepolcro di famiglia. E’ diverso dagli altri, quindi, e questa diversità gli
comporta la gelosia degli apostoli, che lo fanno quasi sparire dalla tradizione
cristiana anche per il timore che, essendo a conoscenza della dottrina più
segreta di Gesù, possa diffondere insegnamenti diversi dai loro,
particolarmente orientati alla ritualità liturgica piuttosto che alla vera
conoscenza.
Riprendo,
per un confronto, le parole che Robert de Boron, nel suo “Libro del Graal”,
mette in bocca a Gesù, quando si rivolge a Giuseppe di Arimatea:
Tu
eri un mio buon amico e io ti conoscevo bene. Ero certo che mi avresti aiutato
e soccorso nel momento in cui nessuno dei miei discepoli poteva aiutarmi. Non
ho portato qui nessuno dei miei discepoli perché nessuno di loro conosce
l’amore che unisce me e te. Tu mi hai amato in segreto e in segreto io ho amato
te.
[Con
riferimento al calice contenente il sangue di Cristo]: Giuseppe, è a te che
spetta custodirlo e a coloro ai quali lo affiderai.
Poi,
Boron aggiunge: Allora Gesù Cristo insegnò a Giuseppe alcune parole che non
oso dire né rivelare.
Come
si vede, la coerenza tra la narrazione di Boron e la ricostruzione evangelica è
totale: anche per Boron il protagonista è Giuseppe, che ha amato Gesù in
segreto, che da lui è stato amato in maniera speciale, che ha ricevuto
l’incarico di custodirne il sangue, che ha ricevuto degli insegnamenti segreti.
Robert
de Boron, con il suo Giuseppe di Arimatea, fornisce perciò tutte le conferme
che ci servono. Ecco perché il suo romanzo non è una semplice favola medievale,
ma risponde a precise esigenze iniziatiche, di difficile accessibilità. Per
arrivare alle sue conclusioni, a meno che non abbia potuto attingere a fonti
più dirette, Boron ha dovuto fare, molti secoli prima di me, gli stessi
ragionamenti che io ho presentato in parte in questo Blog.
Dopo
la crocifissione e la resurrezione di Cristo, Giuseppe trasferisce in Europa
l’oggetto del segreto, che prende il nome di Graal.
Adempie
a questo compito tramite il cognato, secondo Boron, o personalmente, secondo
altre leggende. Ai fini del seguito, questo non assume rilevanza determinante.
Al
prezzo di una descrizione piuttosto estesa, ho cercato di dare coerenza all’intera
narrazione, esaltando tutti gli elementi che assicurano ad essa continuità
logica[3], a partire dagli albori dell’umanità. Un lavoro
unico, scandito dai collegamenti tra le specificità della storia di Abramo,
l’enigma della genealogia di Matteo, l’identificazione del discepolo misterioso
del quarto Vangelo, la leggenda del Santo Graal e, come sanno i lettori del mio
ultimo libro, la finalità delle profezie di Nostradamus.
Nessuno
ha mai tentato una ricerca del genere, perché nessuno ha mai potuto beneficiare
degli spunti che mi sono stati forniti dalla decifrazione delle Centurie.
Non
ho la pretesa di sostenere di aver colto nel segno sotto ogni aspetto. E’
possibile che degli aggiustamenti si rendano in futuro necessari; però sono
assolutamente certo che la direttrice della strada percorsa rispetti le
indicazioni di Nostradamus che, anche se apparentemente trascurato, rimane il
soggetto principale del Blog.
Non
ci resta, a questo punto, che passare a un altro personaggio evangelico che,
pur recitando un ruolo marginale nel dramma della crocifissione,
diventa figura di spicco nella narrazione di Robert di Boron: sto parlando del
soldato romano conosciuto come Longinus.
[1] Per autore del Vangelo si intende il suo iniziatore;
infatti, è praticamente certo che alla struttura originaria si siano aggiunti
dei brani successivi, ad opera di altri.
[2] Naturalmente esistono altri elementi, alcuni dei
quali esaminati nei post precedenti, che confortano questa ipotesi.
[3] Ho cercato di far sì che il contenuto del Blog fosse
autoesplicativo; tuttavia, ho lasciato in ombra le indicazioni di Nostradamus,
in quanto già trattate in maggior dettaglio nel libro “Cabala, Templari,
Graal”.
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