Tecniche di Nostradamus

martedì 8 gennaio 2013

Giuseppe di Arimatea: il discepolo


Quelle che seguono sono le domande del secondo dei tre gruppi proposti nei brani precedenti:

E’ possibile che sia stato Giuseppe il discepolo misterioso che fece entrare Pietro nella casa del sommo sacerdote?
E’ possibile che proprio lui sia stato il discepolo beneamato, autore del Vangelo di Giovanni?
E’ possibile che abbia ricevuto un incarico speciale da Gesù?
Perché l’autore del Vangelo di Giovanni, al contrario degli altri tre canonici, non menziona l’istituzione dell’Eucarestia nel corso dell’ultima cena?

Mi sono chiesto a lungo perché mai Gesù abbia accettato un discepolo (Giuseppe di Arimatea) che non ha rinunciato ai suoi privilegi. Non ho una risposta certa, ma una pluralità di risposte plausibili:

Gesù conosce e giustifica le debolezze umane, se sono accompagnate da un cuore sincero; perdona perfino Pietro, pur sapendo che lo rinnegherà nel momento critico.
Gesù trova in Giuseppe un interlocutore colto e attento alle cose di Dio (“membro distinto del Consiglio, che aspettava egli pure il regno di Dio” dice Matteo), più in sintonia con il suo pensiero rispetto a quanto lo siano gli altri discepoli.
Gesù vede in Giuseppe l’uomo al quale poter affidare un incarico segreto finale che gli altri discepoli non capirebbero.
Gesù e Giuseppe sono di medesima estrazione essena o, comunque, vicini per formazione, se si accetta che Giuseppe sia il discepolo anonimo che abbandona Giovanni Battista per seguire Gesù (Gv. 35 e segg.).
Gesù vede in Giuseppe una fedeltà meditata e convinta, rispetto a quella istintiva e interessata degli apostoli; quella fedeltà che, poi, troverà espressione nella richiesta del corpo di Cristo a Pilato, per la sepoltura, proprio quando gli apostoli faranno a gara per nascondersi.

Voglio spingermi oltre, ipotizzando che la cultura religiosa e la profonda fedeltà di Giuseppe facciano di lui il discepolo prediletto, al quale Gesù confida i misteri più profondi, che gli apostoli “illetterati e ignoranti[1]” (Atti 4, 13) non sono in grado di capire.

Proviamo a guardare da un diverso punto di vista.

Nel Vangelo di Giovanni si aggira un discepolo misterioso del quale viene taciuto il nome; sarà egli stesso, alla fine, a qualificarsi come l’autore del Vangelo: “E’ lui il discepolo che attesta queste cose” (Gv. 21, 24).
Questo stesso discepolo anonimo è colui che ha fatto entrare Pietro nella casa di Caifa e che, abbiamo concluso in un precedente post, non poteva essere Giovanni, come ci è stato sempre insegnato. Solo Giuseppe aveva l’autorevolezza per farlo.
Ci siamo meravigliati come mai Giovanni, presente alla trasfigurazione di Cristo, non facesse menzione di questo straordinario episodio nel suo Vangelo. La questione cadrebbe se il misterioso autore del Vangelo non venisse identificato con Giovanni ma con Giuseppe, non presente all’evento.
Il discepolo anonimo viene sempre qualificato come discepolo “prediletto”; c’è evidentemente un legame di affetto con Gesù che supera quello degli altri. Possibile, appunto, che si tratti di Giuseppe: l’unico a non tirarsi indietro nel momento critico e che, anzi, antepone un gesto di amore ai propri interessi personali.

Non interessa, in questa sede, andare oltre con le dimostrazioni. Lo scopo è di verificare la coerenza delle nostre ricostruzioni con il racconto di Boron.

Ecco alcuni brani, estratti dal Boron, nei quali Gesù parla a Giuseppe di Arimatea:

Tu eri un mio buon amico e io ti conoscevo bene
Ero certo che mi avresti aiutato e soccorso nel momento in cui nessuno dei miei discepoli poteva aiutarmi
Tu mi hai amato in segreto e in segreto io ho amato te

Fin qui, il racconto di Boron è del tutto coerente con le conclusioni da noi tratte dall’analisi dei Vangeli. Poi, Boron aggiunge che, in qualità di discepolo beneamato, Giuseppe riceve il privilegio di un incarico speciale: la custodia della coppa nella quale lui stesso ha raccolto il sangue di Cristo deposto dalla croce e che Cristo gli riconsegna in prigione, dicendogli:

Sappi che il nostro amore sarà manifestato a tutti e sarà terribile per i miscredenti, perché custodirai il simbolo della mia morte.

Poi, Boron aggiunge:

Allora Gesù Cristo insegnò a Giuseppe alcune parole che non oso dire né rivelare… è il Credo del mistero del Graal

Possiamo trovare tracce, nei Vangeli, "dell'incarico speciale" dato a Giuseppe? E quali potrebbero essere le parole segrete alle quali Boron allude?



[1] L’espressione, negli Atti degli Apostoli, è riferita a Pietro e a Giovanni. Tuttavia, può essere estesa a quasi tutti gli altri apostoli, prescelti tra le classi sociali meno elevate.



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