Proviamo a confrontare lo
scenario di Fatima con quello evangelico.
Il Dio dei Vangeli ci viene
presentato da Gesù come un Padre misericordioso, che non esita a sacrificare il
suo unico figlio per la salvezza dell’umanità. Al fedele è richiesto di amarlo
con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, con tutta la propria
mente.
Gesù non chiede nulla per sé e
tutto ciò che dice è in funzione della volontà del Padre. Egli stesso, nel
Getsemani, si affida al Padre (“sia fatta la tua volontà e non la mia”)
e, quando muore, rimette il suo spirito nelle mani del Padre.
Maria, che non si può certo
pensare che Gesù non amasse, viene messa in disparte. Alle nozze di Cana, Gesù
le dice: “Che c’è tra me e te, donna? L’ora mia non è ancora venuta”
(Gv. 2,4). E, quando la gente lo informa che fuori c’è sua madre con i
fratelli, egli risponde: “Chi sono mia madre e i miei fratelli? Chiunque fa
la volontà di Dio è mio fratello, mia sorella e mia madre” (Mc. 3,32-35).
Maria è ai piedi della croce
quando Gesù le affida il discepolo beneamato “Donna ecco tuo figlio”
(Gv. 19,26) e al discepolo affida Maria “Ecco tua madre” (Gv. 19,27).
Parole misteriose che creano un legame tra il discepolo prediletto e Maria
senza che, tuttavia, questo vada ad interferire con il culto dovuto a Dio
Padre, al quale Gesù riserva le ultime parole.
Nel racconto di Lucia tutto lo
scenario viene stravolto. Il Dio Padre misericordioso sparisce, per lasciare il
posto a un Dio estraneo, esigente, poco incline al perdono, che tiene
spalancate le porte dell’inferno. La stessa Lucia, pur sapendo di godere della
benevolenza della Madonna, è terrorizzata per il timore di sbagliare.
Di fronte a un Dio così severo,
poche sono le anime che riescono a salvarsi, tanto è vero che Luigi Gonzaga da
Fonseca deve fare uno sforzo immane per giustificare le impietose
rappresentazioni di Lucia: “Il numero delle anime che vi cadono [nell’inferno]
è troppo grande? Strano! Ma se normalmente è vero che quale la vita tale
l’eternità, dei milioni di persone morte nella guerra orribile, quanti erano
cattolici? Quanti i buoni cattolici? Invece, quanti pagani? Quanti i
neo-pagani? Quanti gli atei militanti, con o senza patente di ateismo? Non
aveva ragione la piccola veggente di nutrire apprensione? Per questo la Celeste
Signora tanto triste insisteva: Pregate, pregate così: Gesù mio, perdonateci,
liberateci dal fuoco dell’inferno”.
A guardare il mondo, non c’è
dubbio che padre Gonzaga abbia obiettivamente ragione; ma è giusto che il
sacrificio redentore di Cristo vada guardato solo con l’occhio della ragione?
Dov’è finito, nei racconti di Lucia, questo fratello maggiore che ci prende per
mano per condurci al Padre? Dov’è finito l’abbandono alla misericordia divina,
elargita in abbondanza nonostante la nostra inadeguatezza? Dov’è finita la
speranza? Dov’è la carità? Tutto occultato da visioni terrorizzanti, minacce,
ammonimenti, richieste. A dominare non sono la fede e l’impegno personale di
ciascuno, ma l’accettazione rassegnata dell’ira divina.
Il Dio esigente di Lucia non è
un padre amorevole. Egli si mantiene distante dall’uomo, sentinella minacciosa,
avido di sacrifici e penitenze. In primo piano c’è solo Maria che se ne fa
portavoce, non esitando a chiedere a tre bambini inconsapevoli se accettano di
soffrire per la riparazione dei peccati e la conversione dei peccatori. Che
possibilità hanno questi piccoli di fare una scelta matura? E infatti accettano
con tale convinzione da non esitare ad infliggersi severe e dolorose
mortificazioni corporali: digiunano; si
astengono dal bere per lunghi periodi; ingeriscono l’acqua sporca degli stagni;
si alimentano con ghiande amare e olive acerbe; si cingono i fianchi, fino a
farli sanguinare, con una corda annodata; si colpiscono alle gambe con le
ortiche.
Traspare perfino una vena di
sadismo dal compiacimento che la Madonna di Lucia esprime nell’apparizione del
13 settembre 1917:
- Dio è contento dei vostri
sacrifici, ma non vuole che dormiate con la corda. Portatela solo durante il
giorno.
E che dire di quella giovane
che, come la Madonna dice a Lucia, è stata condannata alle pene del purgatorio
fino alla fine del mondo? Pur senza voler mettere in discussione il dogma
cattolico del purgatorio, sul quale la stessa Chiesa sta comunque riflettendo,
ci si potrebbe domandare quale colpa possa aver determinato una condanna così
dura per una giovane. Padre Luigi Gonzaga da Fonseca, sostiene che “la
giovane, tentata come S. Maria Goretti, non aveva però avuto il coraggio della
santa. Morta poco dopo, ebbe appena il tempo di fare in fretta la confessione”[1].
Come si fa a mettere a tacere
il sospetto che sia stata la fertile immaginazione di Lucia a creare tutto?
Passiamo ad altri aspetti.
Mentre, nei Vangeli, ogni atto e ogni pensiero erano finalizzati a Dio e
neanche Gesù chiedeva qualcosa per se stesso, la Maria di Fatima chiede un
proprio culto sin dalla seconda apparizione (Lui [Gesù] vuole
stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato) oltre alla
consacrazione della Russia. Si solleva un forte dibattito tra i teologi, molti
dei quali sostengono che la “consacrazione” sia un atto riservato a Dio e non
può essere esteso a una creatura, per quanto particolarissima, come Maria.
Semmai, quello che si può fare è l’affidamento.
Non si pensi che io voglia
sminuire il sentimento di devozione che il cristiano deve a Maria. Tutt’altro!
Ma proprio per coerenza con una sincera devozione mi viene difficile
riconoscere uno stravolgimento tanto estraneo agli insegnamenti cristiani
quanto fortemente radicato nella tradizione portoghese, storicamente cresciuta
intorno al culto della Madonna. Di fatto sembra quasi che, al culmine del suo
sviluppo, questa tradizione voglia sostituire il culto cristologico con quello
mariano. Un ipotetico lettore delle memorie di Lucia che non sapesse di muoversi
all’interno del cristianesimo potrebbe perfino pensare di assistere al culto di
una Dea Madre che vuole esautorare il culto stesso di Dio.
E Gesù? Nei racconti delle
apparizioni sembra quasi d’intralcio. Ogni tanto viene menzionato da Maria che
lo descrive come addolorato per i peccati del mondo, mentre raccomanda la
devozione alla sua Mamma. La viva impressione è che esista solo perché non se
ne può prescindere; e, allora, Lucia gli assegna il ruolo di comparsa.
Non vorrei scandalizzare, ma il
Pantheon di Lucia sarebbe molto simile a un Pantheon pagano, se non fosse
inquadrato esplicitamente in un contesto cristiano. Nel corso della sesta
apparizione, Lucia mette in scena perfino una passerella, con Maria nelle tre
vesti di Madonna del Rosario, Madonna Addolorata e Madonna del Carmine e con
Gesù sia adulto che bambino, insieme a San Giuseppe.
E’ ovvio che, per la loro
delicatezza sul piano della fede, i punti qui succintamente toccati si prestano
a un ampio dibattito. Tuttavia, pur tenendo conto delle più varie opinioni
possibili, mi sembra che lo scenario di Fatima e quello evangelico non abbiano
molti aspetti in comune. Difficile, quindi, sostenere con padre Gonzaga (cfr.
La Fatima anti-biblica) che “il messaggio di Fatima respira le
aure dell’evangelismo più genuino, più sentito ed espresso”. Usando un
linguaggio teatrale, potremmo dire che gli “attori” sono gli stessi, ma la
“rappresentazione” è un’altra.
Bisogna allora ammettere che,
ancora una volta e anche per questa via, si torna al punto di partenza, come
nel gioco dell’oca: attorno a un nucleo genuino, di preghiera e di penitenza, è
stata suggerita alla suggestionabile Lucia una ricostruzione inappropriata ad
opera di una “mente” colta (relativamente alla dottrina dell’epoca), politicamente
aggiornata (spiccato anticomunismo), fortemente legata alla tradizione
portoghese e ad un cattolicesimo da inquisizione. Qualcuno[2]
ha intravisto in questa “mente” la figura del vescovo di Leira dal 1920 al
1957: José Alves Correira da Silva; colui che ha trasformato Fatima in un vero
e proprio fenomeno sociale e politico.
Una situazione molto
imbarazzante che, man mano che l’attenzione cresceva fuori dai confini
nazionali, non poteva non mettere la Chiesa in crescente difficoltà.
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