Tecniche di Nostradamus

domenica 21 aprile 2013

Wojtyla ed io - 4


Non so come avevo fatto a portarmi in prima fila; a pensarci adesso, mi sembra che avrebbe dovuto essere impossibile, ma in qualche modo c’ero riuscito. Ero rimasto lì proprio per questo e non avevo fallito l’obiettivo.
Ricordo ancora, in maniera vivida, il calore di quella mano: bruciava, quasi scottava, ed era molto debole. Forse il Papa aveva la febbre o, forse, quella era la sua temperatura normale, che normale non era. Curvo nella sua evidente sofferenza, mi è sembrato molto più fragile di quanto mi fosse mai apparso in televisione; le vecchie ferite dell’attentato, la malattia, il peso degli anni, sembravano essersi coalizzati per fare di quell’uomo la rappresentazione vivente della sofferenza fisica.
Tutto questo mi ha colpito profondamente, trasformando di colpo il mio atteggiamento dubbioso nei suoi confronti in un atteggiamento di solidarietà e di condivisione delle sue pene.
Lo guardai negli occhi, cercando quasi di leggervi dentro le sue angosce e le risposte ai miei dubbi. Ma non vidi nulla… se dicessi che i suoi occhi erano spenti direi una falsità. Altrettanto falsa sarebbe l’affermazione che erano vivi: non lo erano, non erano mobili, non si fissavano su nulla; guardavano ma non vedevano. O, forse, vedevano senza guardare.
Rimasi sconvolto da quello sguardo indecifrabile. In un attimo gli trasmisi telepaticamente le mie perplessità. Passato quell’istante eterno, lui passò oltre, strinse qualche altra mano ed entrò in chiesa.

Assistetti alla funzione, davanti al maxischermo, domandandomi se potessi ritenermi soddisfatto per l’esito del tanto atteso contatto. Mi accorsi che avevo dissolto i dubbi precedenti, o dovrei più esattamente dire che di colpo non mi interessavano più, ma solo per far posto ad altri nuovi: Chi era quell’uomo? Perché si ostinava con le sue visite pastorali, nonostante il peso di così grandi sofferenze? A cosa pensava, se pensava, quando stringeva le mani della gente?

Il tempo passava e alcuni uomini della sicurezza hanno cominciato a spostare le transenne per ricollocarle davanti all’uscita laterale della parrocchia, accanto alla quale si era riposizionata la macchina. Evidentemente era da lì che il Papa sarebbe uscito.
Questa volta non ho dovuto faticare; capito al volo quello che stava per succedere, ho occupato per tempo una nuova posizione, scommettendo con me stesso sulla riuscita di un secondo contatto.
E così è stato. Ancora quella mano calda che ho stretto tra entrambe le mie e, giurerei, l’ombra di un sorriso.

Lo sguardo però, esattamente come prima,  mi ha attraversato per soffermarsi in qualche punto infinitamente distante dietro di me. Sono sicuro che non fosse distacco o indifferenza. Le parole più adeguate che mi vengono in mente sono tuttora le stesse che allora ho usato raccontando l’incontro a mia moglie: “Il Papa era lì e nello stesso tempo non c’era; guardava con gli occhi del corpo ma chissà cosa vedeva con gli occhi della mente”.
C’è voluto del tempo per sapere che non mi ero sbagliato e che altri, più vicini al Pontefice e alle sue confidenze, erano in grado di dare a quello sguardo un significato mistico che io non potevo e non sapevo formulare.

In ogni caso, quel giorno mi sono innamorato di Karol Wojtyla. Probabilmente, senza saperlo, ne ero innamorato già da prima e proprio da questo era scaturita l’esigenza di spazzare via dubbi ed ostilità. Oggi so che quel giorno, pur senza rendermene conto, ho avuto le risposte che cercavo: quando sponsorizzava Solidarnosc contro la bestia sovietica, l’apocalittica Babilonia, il Papa non rischiava nulla, perché sapeva già come sarebbe andata a finire. Era un mistico che vedeva lontano.

°°°

Monsignor Jarek Cielecki, direttore di Vatican Service News: “Gli occhi. I suoi sembravano guardare qualcosa, non erano vagamente persi nel vuoto com’è il nostro sguardo quando preghiamo”.
(Antonio Socci: I segreti di Karol Wojtyla – Rizzoli)

Direi addirittura che nel suo caso non si può neanche parlare di "un uomo di fede", perché la fede è una scommessa, come diceva Pascal; mentre invece il Papa - che peraltro conosce bene il grande filosofo francese, che cita spesso - è posseduto da una certezza. Non ha bisogno di credere: egli vede. Parlando con lui, si ha l'impressione che sia immerso in una sorta di visione.
(Estratto da un'intervista a Vittorio Messori realizzata da Etienne de Moniery e pubblicata da "Le Figaro Magazine" il 2/4/2005)

Sarà il Papa dell’Apocalisse. Non sarà un Papa italiano. Il suo simbolo sarà il tridente.
(Renzo Baschera: Le profezie del ragno nero – Armenia 1972)

Dopo queste cose vidi scendere dal cielo un altro Angelo, con gran potenza, e la terra fu illuminata dal suo splendore. Egli gridò con voce potente: “E’ caduta, è caduta la grande Babilonia! E’ diventata la dimora dei demoni, il covo d’ogni spirito impuro, il rifugio d’ogni uccello immondo e odioso, perché tutte le genti hanno bevuto il vino della sua frenetica lussuria e i re della terra hanno fornicato con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti per l’esorbitante suo lusso!”.
(Apocalisse 18, 1-3)

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