Nonostante si fosse ai primi di marzo, un sole caldo
diffondeva nell’aria una temperatura e un odore di primavera inoltrata. La gente si
accalcava da tutte le parti e le transenne venivano spostate di qua e di là; i
tetti delle due scuole di fronte brulicavano di poliziotti e, quasi certamente,
di cecchini. Un elicottero volteggiava ininterrottamente sulle nostre teste.
La piazzetta antistante la parrocchia, rialzata
rispetto al livello stradale e delimitata da inferriate, appariva inadeguata ad
ospitare tutta la gente che si accalcava per vedere il Papa da vicino. Ad
occupare spazio concorreva in buona parte il camper sul quale era stato montato il
maxischermo, necessario a permettere di seguire la funzione religiosa a coloro
che non avevano la possibilità di accedere all’interno della chiesa, dove i
posti erano stati rigorosamente assegnati sulla base di qualche ignoto criterio
selettivo.
Altro spazio era occupato dalle transenne che,
ammassate le une alle altre, avevano il solo scopo di impedire l’accesso al
poco spazio altrimenti disponibile: “ragioni di sicurezza”, ci veniva detto.
E così, noi poveri disgraziati non raccomandati
venivamo ripetutamente invitati dalle forze dell’ordine a non spingere e ad
accomodarci nel corridoio esterno dell’adiacente convento di monache. Insomma,
come dire che, se vuoi assistere alla partita di calcio, ti puoi accomodare
davanti al televisore del bar accanto allo stadio; tanto varrebbe accomodarsi
nel salotto di casa propria.
Capisco le esigenze di sicurezza, ma quella era una
vera e propria presa in giro, uno show messo in piedi per mostrare la gente
all’ignaro Papa, ma non il Papa alla gente. Si potrebbe pensare, a ragione, che
io sono insofferente alle ipocrisie e istintivamente portato alla polemica e
alla protesta; in compenso, esiste tanta gente tranquilla, disposta a un
dialogo più accomodante. Quella mattina però, perfino quella gente, di fronte a
una organizzazione che vanificava sfacciatamente la visita del Pontefice al suo
gregge, si è di fatto ribellata facendo sentire la propria voce.
In mezzo a un marasma inimmaginabile, ero
personalmente dibattuto tra la sopportazione dettata dall’esigenza inquietante
di cercare un contatto con il Papa e la reazione istintiva di andarmene. Fortunatamente, di fronte a quella che
minacciava di diventare una reazione collettiva incontrollabile, qualcuno ha
pensato bene di liberare la piazzola dagli ingombri inutili e di consentire il
libero accesso. Sono rimaste, così, solo quelle pochissime transenne necessarie
a delimitare il breve percorso che Giovanni Paolo II avrebbe dovuto compiere a
piedi, dall’auto che lo accompagnava, fino all’ingresso della Chiesa: quattro o
cinque metri.
Intorno alle ore 10, la macchina è arrivata e ne è
sceso Giovanni Paolo II, seguito dal Cardinale Ruini. Una schiera di uomini della sicurezza facevano cordone
accanto a lui, ma ciò non gli ha impedito di stringere qualche mano, tra cui la
mia.
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