Trascrivo, di seguito, uno di una serie di vecchi post di questo blog che riguardano Papa Wojtyla o, come allora l'ho chiamato, "L'uomo delle profezie".
Segnalo che il mio recente libro sulle "Profezie di Malachia" contiene un'appendice che riguarda proprio il profilo profetico di questo Papa.
Segnalo che il mio recente libro sulle "Profezie di Malachia" contiene un'appendice che riguarda proprio il profilo profetico di questo Papa.
Non so come avevo fatto a portarmi in prima fila; a
pensarci adesso, mi sembra che avrebbe dovuto essere impossibile, ma in qualche
modo c’ero riuscito. Ero rimasto lì proprio per questo e non avevo fallito
l’obiettivo.
Ricordo ancora, in maniera
vivida, il calore di quella mano: bruciava, quasi scottava, ed era molto
debole. Forse il Papa aveva la febbre o, forse, quella era la sua temperatura
normale, che normale non era. Curvo nella sua evidente sofferenza, mi è
sembrato molto più fragile di quanto mi fosse mai apparso in televisione; le
vecchie ferite dell’attentato, la malattia, il peso degli anni, sembravano
essersi coalizzati per fare di quell’uomo la rappresentazione vivente della
sofferenza fisica.
Tutto
questo mi ha colpito profondamente, trasformando di colpo il mio atteggiamento
dubbioso nei suoi confronti in un atteggiamento di solidarietà e di
condivisione delle sue pene.
Lo guardai negli occhi, cercando quasi di leggervi
dentro le sue angosce e le risposte ai miei dubbi. Ma non vidi nulla… se
dicessi che i suoi occhi erano spenti direi una falsità. Altrettanto falsa
sarebbe l’affermazione che erano vivi: non lo erano, non erano mobili, non si
fissavano su nulla; guardavano ma non vedevano. O, forse, vedevano senza
guardare.
Rimasi sconvolto da quello sguardo indecifrabile.
In un attimo gli trasmisi telepaticamente le mie perplessità. Passato
quell’istante eterno, lui passò oltre, strinse qualche altra mano ed entrò in
chiesa.
Assistetti alla funzione, davanti al maxischermo,
domandandomi se potessi ritenermi soddisfatto per l’esito del tanto atteso
contatto. Mi accorsi che avevo dissolto i dubbi precedenti, o dovrei più
esattamente dire che di colpo non mi interessavano più, ma solo per far posto
ad altri nuovi: Chi era quell’uomo? Perché si ostinava con le sue visite
pastorali, nonostante il peso di così grandi sofferenze? A cosa pensava, se
pensava, quando stringeva le mani della gente?
Il tempo passava e alcuni uomini della sicurezza
hanno cominciato a spostare le transenne per ricollocarle davanti all’uscita
laterale della parrocchia, accanto alla quale si era riposizionata la macchina.
Evidentemente era da lì che il Papa sarebbe uscito.
Questa volta non ho dovuto faticare; capito al volo
quello che stava per succedere, ho occupato per tempo una nuova posizione,
scommettendo con me stesso sulla riuscita di un secondo contatto.
E così è stato. Ancora quella mano calda che ho
stretto tra entrambe le mie e, giurerei, l’ombra di un sorriso.
Lo sguardo però, esattamente come prima, mi
ha attraversato per soffermarsi in qualche punto infinitamente distante dietro
di me. Sono sicuro che non fosse distacco o indifferenza. Le parole più
adeguate che mi vengono in mente sono tuttora le stesse che allora ho usato
raccontando l’incontro a mia moglie: “Il Papa era lì e nello stesso tempo
non c’era; guardava con gli occhi del corpo ma chissà cosa vedeva con gli occhi
della mente”.
C’è voluto del tempo per sapere che non mi ero
sbagliato e che altri, più vicini al Pontefice e alle sue confidenze, erano in
grado di dare a quello sguardo un significato mistico che io non potevo e non
sapevo formulare.
In ogni caso, quel giorno mi sono innamorato di
Karol Wojtyla. Probabilmente, senza saperlo, ne ero innamorato già da prima e
proprio da questo era scaturita l’esigenza di spazzare via dubbi ed ostilità.
Oggi so che quel giorno, pur senza rendermene conto, ho avuto le risposte che
cercavo: quando sponsorizzava Solidarnosc contro la bestia sovietica,
l’apocalittica Babilonia, il Papa non rischiava nulla, perché sapeva già come
sarebbe andata a finire. Era un mistico che vedeva lontano.
°°°
Monsignor
Jarek Cielecki, direttore di Vatican Service News: “Gli occhi. I suoi
sembravano guardare qualcosa, non erano vagamente persi nel vuoto com’è il
nostro sguardo quando preghiamo”.
(Antonio Socci: I segreti di Karol Wojtyla –
Rizzoli)
Direi
addirittura che nel suo caso non si può neanche parlare di "un uomo di
fede", perché la fede è una scommessa, come diceva Pascal; mentre invece
il Papa - che peraltro conosce bene il grande filosofo francese, che cita
spesso - è posseduto da una certezza. Non
ha bisogno di credere: egli vede. Parlando
con lui, si ha l'impressione che sia immerso in una sorta di visione.
(Estratto da
un'intervista a Vittorio Messori realizzata da Etienne de Moniery e pubblicata
da "Le Figaro Magazine" il 2/4/2005)
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