Tecniche di Nostradamus

giovedì 14 marzo 2013

Habemus Papam


Avendo trattato l’argomento di recente, penso di dover fare un breve commento alla luce della elezione di ieri.

Anzitutto devo toccare nuovamente la questione del Papa nero per ribadire quando già scritto nell’articolo “La profezia del Papa nero”. Non esiste quartina di Nostradamus in tal senso e la profezia di “caput nigrum” è un’invenzione romanzesca di S.M. Olaf.

Per completezza di esposizione, segnalo che viene spesso citata la seguente quartina di Nostradamus (X,91):


 L’anno 1609 il clero romano,
A capo d’anno farà elezione
Di un grigio e nero uscito dalla Compagnia (o della Compagnia di Gesù)
Mai si vide uno così malvagio.

Il terzo verso “sembra” effettivamente alludere a un gesuita,  ma la strofa è fatta di quattro versi e siamo ben lontani da una rispondenza predittiva, adeguata alla situazione attuale. Vedere il nuovo Pontefice nelle parole del terzo verso significherebbe accettare una visione distorta del messaggio di Nostradamus: sopravvalutazione delle poche coincidenze e sottovalutazione delle molte dissonanze; in pratica, proprio quel metodo interpretativo che sto combattendo in questo blog.

Quello che posso dire è che questa quartina non riguarda affatto un Pontefice, né Francesco I e né altri. L’anno dell’elezione, da solo, denuncia la presenza di un “codice” di struttura. Può darsi che in futuro sorga l’occasione di parlarne.

Resta aperta, con tutti i suoi interrogativi, la questione del “Petrus Romanus” di Malachia.
Come noto, le cosiddette profezie di Malachia prevedono 111 Pontefici, ciascuno dei quali è caratterizzato da un motto in latino. Quello di Benedetto XVI, il 111°, era “Gloria olivae”.

Petrus Romanus non è un 112° motto, ma un’intera frase in latino, della quale riporto la traduzione:

Durante l'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dei sette colli crollerà ed il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.

Per tornare a Olaf, piuttosto che al suo inesistente “caput nigrum” guarderei alla singolarità conclusiva del suo romanzo, nel quale l’ultimo Papa, Petrus Romanus, è un gesuita. Perciò, se proprio volessimo prestar fede alla leggenda da lui divulgata, allora dovremmo dire che il successore di “Gloria Olivae” (Benedetto XVI) è contemporaneamente “caput nigrum” e “Petrus Romanus”.

Con riferimento al contenuto del messaggio apocalittico riferito a Petrus Romanus, e a semplice titolo di curiosità, devo dire che, sull’istante, mi ha colpito l’espressione di Francesco I quando, alludendo alla sua provenienza dall'Argentina, ha detto di “venire dalla fine del mondo”. Buttata lì o effetto dell’influenza della frase finale di Malachia che lui certamente conosce?

Mettiamola come ci pare, la faccenda di “Petrus Romanus” crea non pochi problemi.
Qualcuno pensa che l’espressione sia apocrifa, perché non segue lo stile dei precedenti motti. Altri ritengono che tra il Papa del 111° motto e Petrus Romanus esista un indefinito arco di tempo ricoperto da un certo numero di Papi, dei quali non è stato fornito il motto identificativo. Qualcun altro ancora ritiene che il nome “Petrus” sia solo un modo generico di designare l’ultimo Papa, che chiude la successione iniziata da Pietro il Galileo.

Una tesi piuttosto accreditata ritiene che addirittura l’intera lista dei Papi sia un falso pubblicato nel 1595 da Arnoldo Wion che, nel suo “Lignum vitae”, attribuisce la fonte originale (inesistente) al vescovo Malachia di Armagh, vissuto nel XII secolo.

Le ragioni a sostegno della tesi della falsità sono essenzialmente tre:
- i motti sono piuttosto precisi per i Pontefici eletti prima del 1595 (data della pubblicazione) e alquanto vaghi, se non addirittura inspiegabili, per i Pontefici successivi;
- nessuno, nei quattro secoli antecedenti il 1595, aveva mai saputo nulla della profezia; lo stesso Bernardo di Chiaravalle, tra le cui braccia si dice sia morto il vescovo Malachia, non ne fa menzione nella sua “Biografia di Malachia”;
- è solitamente abbastanza facile individuare in un Pontefice una caratteristica che, in un modo o nell’altro, possa essere adattata a un motto generico.

A sostegno della tesi opposta, cioè dell’attendibilità della lista, gioca la straordinaria precisione di alcuni motti, anche recenti.

Fedele allo stile dello studioso e del ricercatore che mi sono sempre imposto trattando questi argomenti, non posso che lasciare aperta la questione.

Piuttosto, verrei fare una riflessione sul nome assunto dal nuovo Papa. Pur non sapendo se, scegliendo di farsi chiamare “Francesco”, egli voglia realmente riferirsi al poverello di Assisi, sono portato a pensare che sia così.
Allora, vorrei trascrivere l’ultimo brano del mio articolo sulla Chiesa del Graal  del 16 febbraio scorso:

Si sentirebbe stanco di assistere impotente agli scandali, alle lotte e ai crimini che, nei secoli, hanno travolto le massime istituzioni della Chiesa. Non potrebbe più tollerare i conflitti per il potere che, ancora oggi, dilaniano le carni della Sposa di Cristo. Non potrebbe più consentire gli agi, i lussi e le ricchezze che circondano coloro che, anziché professare umiltà e amore per il prossimo, proclamando la Parola Cristiana, dedicano i loro sforzi agli intrighi di palazzo.

Nello stesso tempo, saprebbe che non può fare di tutta l’erba un fascio; come diremmo oggi, saprebbe di non poter buttare via il bambino con l’acqua sporca. Saprebbe che, sparsi per il mondo, ci sono migliaia e migliaia di umili servi del Signore che danno perfino la vita per gli afflitti; saprebbe che, per duemila anni, questi umili pastori hanno tenuto viva la fiaccola del Cristianesimo.

Perciò, prenderebbe coscienza di dover agire per ripristinare la vera eredità di Cristo. Capirebbe lo scopo finale della sua missione, di subentro a quella petrina. Saprebbe che è giunta l’ora della Chiesa del Graal, a lui affidata. E’ a questo, appunto, che ci prepara la quartina VI,12 di Nostradamus.

La realizzazione di quest’attesa significherebbe, per me, molto più di quanto possa valere lo studio di versi profetici più o meno azzeccati. In questo mio sogno mi conforta l’articolo odierno del Direttore di Repubblica (Rivoluzione a San Pietro), del quale riporto di seguito alcuni stralci in cui l’autore, adottando concetti analoghi ai miei, intravede i primi segni della “Chiesa Giovannea”, che io preferisco chiamare “Chiesa del Graal”.

°°°
Un Papa a sorpresa, venuto dalla fine del mondo quasi a dire basta agli intrighi e ai ricatti italiani della Curia

Un gesto di apertura e di speranza che chiude un’epoca e porta il Papa fuori dai sacri Palazzi, liberandolo dal potere per sperare di rtrovarlo pastore.

Un richiamo quasi giovanneo, tanti anni dopo

E la prova più grande di questa umiltà personale unita all’ambizione del cambiamento viene dalla scelta del nome, che nessun Papa aveva mai osato pronunciare per sé come successore di Pietro: Francesco. Un nome che è un progetto e un vincolo per il pontificato, quasi la denuncia programmatica della necessità di un gesto estremo, un ritorno alle origini, al Vangelo, all’Annuncio, alla missione di una Chiesa disincarnata dal potere e dalle sue pompe.

L’indicazione di un Papa che sa di dover camminare tra i lupi, che è pronto a spogliare il Vaticano dei suoi ricchi mantelli.


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