Avendo
trattato l’argomento di recente, penso di dover fare un breve commento alla
luce della elezione di ieri.
Anzitutto
devo toccare nuovamente la questione del Papa nero per ribadire quando già
scritto nell’articolo “La profezia del Papa nero”. Non esiste quartina di Nostradamus in tal senso e la
profezia di “caput nigrum” è un’invenzione romanzesca di S.M. Olaf.
Per
completezza di esposizione, segnalo che viene spesso citata la seguente
quartina di Nostradamus (X,91):
L’anno 1609 il clero romano,
A capo d’anno farà elezione
Di un grigio e nero uscito
dalla Compagnia (o della Compagnia di Gesù)
Mai si vide uno così
malvagio.
Il
terzo verso “sembra” effettivamente alludere a un gesuita, ma la strofa è fatta di quattro versi e
siamo ben lontani da una rispondenza predittiva, adeguata alla situazione
attuale. Vedere il nuovo Pontefice nelle parole del terzo verso significherebbe
accettare una visione distorta del messaggio di Nostradamus: sopravvalutazione
delle poche coincidenze e sottovalutazione delle molte dissonanze; in pratica,
proprio quel metodo interpretativo che sto combattendo in questo blog.
Quello
che posso dire è che questa quartina non riguarda affatto un Pontefice, né
Francesco I e né altri. L’anno dell’elezione, da solo, denuncia la presenza di
un “codice” di struttura. Può darsi che in futuro sorga l’occasione di
parlarne.
Resta
aperta, con tutti i suoi interrogativi, la questione del “Petrus Romanus” di
Malachia.
Come
noto, le cosiddette profezie di Malachia prevedono 111 Pontefici, ciascuno dei
quali è caratterizzato da un motto in latino. Quello di Benedetto XVI, il 111°,
era “Gloria olivae”.
Petrus
Romanus non è un 112° motto, ma un’intera frase in latino, della quale riporto
la traduzione:
Durante l'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà
Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la
città dei sette colli crollerà ed il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo.
Fine.
Per
tornare a Olaf, piuttosto che al suo inesistente “caput nigrum” guarderei alla
singolarità conclusiva del suo romanzo, nel quale l’ultimo Papa, Petrus
Romanus, è un gesuita. Perciò, se proprio volessimo prestar fede alla leggenda
da lui divulgata, allora dovremmo dire che il successore di “Gloria Olivae”
(Benedetto XVI) è contemporaneamente “caput nigrum” e “Petrus Romanus”.
Con riferimento al contenuto del messaggio apocalittico riferito
a Petrus Romanus, e a semplice titolo di curiosità, devo dire che,
sull’istante, mi ha colpito l’espressione di Francesco I quando, alludendo alla sua provenienza dall'Argentina, ha detto di
“venire dalla fine del mondo”. Buttata lì o effetto dell’influenza della frase
finale di Malachia che lui certamente conosce?
Mettiamola
come ci pare, la faccenda di “Petrus Romanus” crea non pochi problemi.
Qualcuno
pensa che l’espressione sia apocrifa, perché non segue lo stile dei precedenti
motti. Altri ritengono che tra il Papa del 111° motto e Petrus Romanus esista
un indefinito arco di tempo ricoperto da un certo numero di Papi, dei quali non
è stato fornito il motto identificativo. Qualcun altro ancora ritiene che il
nome “Petrus” sia solo un modo generico di designare l’ultimo Papa, che chiude
la successione iniziata da Pietro il Galileo.
Una
tesi piuttosto accreditata ritiene che addirittura l’intera lista dei Papi sia
un falso pubblicato nel 1595 da Arnoldo Wion che, nel suo “Lignum vitae”,
attribuisce la fonte originale (inesistente) al vescovo Malachia di Armagh,
vissuto nel XII secolo.
Le
ragioni a sostegno della tesi della falsità sono essenzialmente tre:
- i
motti sono piuttosto precisi per i Pontefici eletti prima del 1595 (data della
pubblicazione) e alquanto vaghi, se non addirittura inspiegabili, per i
Pontefici successivi;
- nessuno,
nei quattro secoli antecedenti il 1595, aveva mai saputo nulla della profezia;
lo stesso Bernardo di Chiaravalle, tra le cui braccia si dice sia morto il
vescovo Malachia, non ne fa menzione nella sua “Biografia di Malachia”;
- è
solitamente abbastanza facile individuare in un Pontefice una caratteristica
che, in un modo o nell’altro, possa essere adattata a un motto generico.
A
sostegno della tesi opposta, cioè dell’attendibilità della lista, gioca la
straordinaria precisione di alcuni motti, anche recenti.
Fedele
allo stile dello studioso e del ricercatore che mi sono sempre imposto
trattando questi argomenti, non posso che lasciare aperta la questione.
Piuttosto,
verrei fare una riflessione sul nome assunto dal nuovo Papa. Pur non sapendo
se, scegliendo di farsi chiamare “Francesco”, egli voglia realmente riferirsi
al poverello di Assisi, sono portato a pensare che sia così.
Allora,
vorrei trascrivere l’ultimo brano del mio articolo sulla Chiesa del Graal del 16 febbraio scorso:
Si
sentirebbe stanco di assistere impotente agli scandali, alle lotte e ai crimini
che, nei secoli, hanno travolto le massime istituzioni della Chiesa. Non
potrebbe più tollerare i conflitti per il potere che, ancora oggi, dilaniano le
carni della Sposa di Cristo. Non potrebbe più consentire gli agi, i lussi e le
ricchezze che circondano coloro che, anziché professare umiltà e amore per il
prossimo, proclamando la Parola Cristiana, dedicano i loro sforzi agli intrighi
di palazzo.
Nello
stesso tempo, saprebbe che non può fare di tutta l’erba un fascio; come diremmo
oggi, saprebbe di non poter buttare via il bambino con l’acqua sporca. Saprebbe
che, sparsi per il mondo, ci sono migliaia e migliaia di umili servi del
Signore che danno perfino la vita per gli afflitti; saprebbe che, per duemila
anni, questi umili pastori hanno tenuto viva la fiaccola del Cristianesimo.
Perciò,
prenderebbe coscienza di dover agire per ripristinare la vera eredità di
Cristo. Capirebbe lo scopo finale della sua missione, di subentro a quella
petrina. Saprebbe che è giunta l’ora della Chiesa del Graal, a lui affidata. E’
a questo, appunto, che ci prepara la quartina VI,12 di Nostradamus.
La
realizzazione di quest’attesa significherebbe, per me, molto più di quanto
possa valere lo studio di versi profetici più o meno azzeccati. In questo mio
sogno mi conforta l’articolo odierno del Direttore di Repubblica (Rivoluzione a San Pietro), del quale riporto di seguito alcuni stralci in cui
l’autore, adottando concetti analoghi ai miei, intravede i primi segni della “Chiesa Giovannea”, che io preferisco
chiamare “Chiesa del Graal”.
°°°
Un
Papa a sorpresa, venuto dalla fine del mondo quasi a dire basta agli intrighi e
ai ricatti italiani della Curia
Un
gesto di apertura e di speranza che chiude un’epoca e porta il Papa fuori dai
sacri Palazzi, liberandolo dal potere per sperare di rtrovarlo pastore.
Un
richiamo quasi giovanneo, tanti anni dopo
E
la prova più grande di questa umiltà personale unita all’ambizione del
cambiamento viene dalla scelta del nome, che nessun Papa aveva mai osato
pronunciare per sé come successore di Pietro: Francesco. Un nome che è un
progetto e un vincolo per il pontificato, quasi la denuncia programmatica della
necessità di un gesto estremo, un ritorno alle origini, al Vangelo,
all’Annuncio, alla missione di una Chiesa disincarnata dal potere e dalle sue
pompe.
L’indicazione
di un Papa che sa di dover camminare tra i lupi, che è pronto a spogliare il
Vaticano dei suoi ricchi mantelli.
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