In uno dei precedenti post ho promesso che avrei svelato uno dei misteri che, nell’epitaffio, Nostradamus
propone ai solutori del rebus delle Centurie. Potrei farlo subito,
naturalmente, ma temo che la reazione possa essere di scetticismo. La gente, di
solito, non sa assolutamente nulla di steganografia e crittografia, soprattutto
di quella dei secoli passati. Pensando che si tratti di giochetti più o meno
ingenui, non è normalmente in grado di apprezzare l’ingegnosità di certi
enigmi.
Proprio per questo motivo, per dimostrare che l’epitaffio
è un vero e proprio testo criptico, stiamo cercando di portare alla luce le sue
anomalie e, nei limiti del possibile, di capire la loro funzione. Abbiamo
anzitutto provato a capire il significato del brano racchiuso tra le due “I”
speciali (“Iudicio” e “cuIus”). Adesso proviamo a scoprire quello
del brano racchiuso tra le due “C” grandi (Clarissimi e Conscriberentur).
In via preliminare, c’è una questione da chiarire; anzi,
da ricordare, avendone parlato molte volte. In tutto ciò che Nostradamus
scrive, ogni brano ha il suo mistero, slegato da quelli degli altri brani. E’
una situazione apparentemente strana, che trova però la sua conferma in una
collaudata struttura, fondata su quei due fondamentali princìpi che, come ben
noto, sono alla base di tutte le mie ricerche e scoperte:
I pezzi del disegno finale sono frammentati,
apparentemente in disordine, in tutte le opere di Nostradamus; li ho spesso
paragonati ai tasselli di un mosaico, mescolati alla rinfusa. Gli enigmi si ripetono tutti, due o più volte, in forme e
circostanze diverse.
Bene! La volta scorsa abbiamo cercato di capire il
significato del brano racchiuso tra le due “I” speciali. Se abbiamo
interpretato correttamente quel caso, allora una funzione analoga deve essere
svolta anche dal brano racchiuso tra le due “C” grandi, tenendo conto che,
nell’ipotesi che stiamo portando avanti, l’epitaffio è una specie di
miniaturizzazione dell’epistola ad Enrico II, che sappiamo essere un “manuale
delle istruzioni”.
Perché queste due “C”? Qual è la loro funzione? Sorvolo
sulle varie riflessioni ed arrivo direttamente alle conclusioni. Come nel caso
delle “I”, l’evidenziazione grafica delle “C” sembra essere un invito a contare
i numeri romani compresi nel brano ma, badate bene, compresi anche tra le “C”, cioè
inferiori a 100; le “C”, in sostanza, sono un limite. Le dimensioni potrebbero
esse stesse avere un significato: non solo i numeri da prendere in
considerazione sono quelli inferiori a cento, perché “all’interno” delle “C”,
ma anche perché, graficamente, i loro caratteri sono di dimensioni minori rispetto alle stesse "C".
Sia come sia, abbiamo 5 “L”, 1 “X”, 2 “V”, e 19 “I” (le
due “I” speciali vanno escluse, in quanto sono delle vere e proprie “I” e non
dei numeri romani).
Sommando, si ottiene 289. Sarà un caso, se a qualcuno fa
piacere così (e allora, perché quelle “C” così diverse?), ma ci troviamo di
fronte al numero (proprio 289) delle quartine pubblicate nella seconda edizione (Du Rosne) delle Centurie, in aggiunta alle 353 originarie.
Non è un numero che sto tirando fuori adesso, perché mi fa
comodo. E’ un numero importante che, come ben sanno i lettori di “Nostradamus:
la Cabala, i Templari, il Graal”, viene fuori anche dalla frase enigmatica che
si trova nel frontespizio dell’edizione Du Rosne delle Centurie. E’ un numero
che, assieme ad altri, permette al decodificatore di individuare con certezza
assoluta, in mezzo a tante contraffazioni, le fonti originali delle Centurie,
nelle quali soltanto possono essere trovate le varie chiavi per la soluzione
degli enigmi.
Per me la questione è chiara, perché sono ormai abituato a
questi giochetti. Ma voi, forse, non siete convinti. Allora, spiegatemi perché
la prima "u" di “unius” è una “v” (vnius), mentre la prima “v” di “eventus”
è una “u” (euentus); e spiegatemi anche perché la "C" di "conscriberentur" sia messa in così tanta evidenza nel bel mezzo del discorso. Non sono forse questi degli espedienti per costringere il
decrittatore a riflettere? Certo, si potrebbe pensare che sia stato il
tipografo ad agire con leggerezza, tenuto anche conto, per quanto riguarda la "u" e la "v", che a quell'epoca alcuni caratteri erano intercambiabili; ed infatti, ad una leggerezza del tipografo è stata attribuito per quasi 500 anni anche quel famoso “3” che completa la “M”! Con quali
risultati, lo sappiamo tutti.
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