Tecniche di Nostradamus

giovedì 17 dicembre 2015

L'enigma delle due "C"

In uno dei precedenti post ho promesso che avrei svelato uno dei misteri che, nell’epitaffio, Nostradamus propone ai solutori del rebus delle Centurie. Potrei farlo subito, naturalmente, ma temo che la reazione possa essere di scetticismo. La gente, di solito, non sa assolutamente nulla di steganografia e crittografia, soprattutto di quella dei secoli passati. Pensando che si tratti di giochetti più o meno ingenui, non è normalmente in grado di apprezzare l’ingegnosità di certi enigmi.

Proprio per questo motivo, per dimostrare che l’epitaffio è un vero e proprio testo criptico, stiamo cercando di portare alla luce le sue anomalie e, nei limiti del possibile, di capire la loro funzione. Abbiamo anzitutto provato a capire il significato del brano racchiuso tra le due “I” speciali (“Iudicio” e “cuIus”). Adesso proviamo a scoprire quello del brano racchiuso tra le due “C” grandi (Clarissimi e Conscriberentur).



In via preliminare, c’è una questione da chiarire; anzi, da ricordare, avendone parlato molte volte. In tutto ciò che Nostradamus scrive, ogni brano ha il suo mistero, slegato da quelli degli altri brani. E’ una situazione apparentemente strana, che trova però la sua conferma in una collaudata struttura, fondata su quei due fondamentali princìpi che, come ben noto, sono alla base di tutte le mie ricerche e scoperte:

I pezzi del disegno finale sono frammentati, apparentemente in disordine, in tutte le opere di Nostradamus; li ho spesso paragonati ai tasselli di un mosaico, mescolati alla rinfusa. Gli enigmi si ripetono tutti, due o più volte, in forme e circostanze diverse.

Bene! La volta scorsa abbiamo cercato di capire il significato del brano racchiuso tra le due “I” speciali. Se abbiamo interpretato correttamente quel caso, allora una funzione analoga deve essere svolta anche dal brano racchiuso tra le due “C” grandi, tenendo conto che, nell’ipotesi che stiamo portando avanti, l’epitaffio è una specie di miniaturizzazione dell’epistola ad Enrico II, che sappiamo essere un “manuale delle istruzioni”.
Perché queste due “C”? Qual è la loro funzione? Sorvolo sulle varie riflessioni ed arrivo direttamente alle conclusioni. Come nel caso delle “I”, l’evidenziazione grafica delle “C” sembra essere un invito a contare i numeri romani compresi nel brano ma, badate bene, compresi anche tra le “C”, cioè inferiori a 100; le “C”, in sostanza, sono un limite. Le dimensioni potrebbero esse stesse avere un significato: non solo i numeri da prendere in considerazione sono quelli inferiori a cento, perché “all’interno” delle “C”, ma anche perché, graficamente, i loro caratteri sono di dimensioni minori rispetto alle stesse "C".
Sia come sia, abbiamo 5 “L”, 1 “X”, 2 “V”, e 19 “I” (le due “I” speciali vanno escluse, in quanto sono delle vere e proprie “I” e non dei numeri romani).

Sommando, si ottiene 289. Sarà un caso, se a qualcuno fa piacere così (e allora, perché quelle “C” così diverse?), ma ci troviamo di fronte al numero (proprio 289) delle quartine pubblicate nella seconda edizione (Du Rosne) delle Centurie, in aggiunta alle 353 originarie.
Non è un numero che sto tirando fuori adesso, perché mi fa comodo. E’ un numero importante che, come ben sanno i lettori di “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”, viene fuori anche dalla frase enigmatica che si trova nel frontespizio dell’edizione Du Rosne delle Centurie. E’ un numero che, assieme ad altri, permette al decodificatore di individuare con certezza assoluta, in mezzo a tante contraffazioni, le fonti originali delle Centurie, nelle quali soltanto possono essere trovate le varie chiavi per la soluzione degli enigmi.

Per me la questione è chiara, perché sono ormai abituato a questi giochetti. Ma voi, forse, non siete convinti. Allora, spiegatemi perché la prima "u" di “unius” è una “v” (vnius), mentre la prima “v” di “eventus” è una “u” (euentus); e spiegatemi anche perché la "C" di "conscriberentur" sia messa in così tanta evidenza nel bel mezzo del discorso. Non sono forse questi degli espedienti per costringere il decrittatore a riflettere? Certo, si potrebbe pensare che sia stato il tipografo ad agire con leggerezza, tenuto anche conto, per quanto riguarda la "u" e la "v", che a quell'epoca alcuni caratteri erano intercambiabili; ed infatti, ad una leggerezza del tipografo è stata attribuito per quasi 500 anni anche quel famoso “3” che completa la “M”! Con quali risultati, lo sappiamo tutti.

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