L’inversione del testo della lapide sembra solo un primo
passo piuttosto plausibile. Per il seguito, non è detto che sia necessario
lavorare sull’intero testo. Anzi, per vari motivi legati alla tecnica
crittografica, lo ritengo improbabile.
Personalmente ho fatto alcuni tentativi di decrittazione
lavorando sulla successione alfabetica ottenuta dalla lettera iniziale e da
quella finale di ogni parola (nel testo
invertito): in tutto 57 lettere, tenuto presente che esiste una parola formata
da una sola lettera.
Sarebbe lungo e tedioso illustrare i vari tentativi, tutti
infruttuosi, benché qualcuno di essi abbia presentato un esito interessante,
meritevole di approfondimento. In questa generica esposizione, rivolta a chi è
digiuno di crittografia, può apparire invece più utile individuare alcune
caratteristiche dalle quali la soluzione finale non può prescindere.
Anzitutto, nel testo originale colpisce subito una
artificiosa gestione degli spazi tra le parole, oltre che la storpiatura di
alcune di esse; abitudine piuttosto ricorrente nelle quartine di Nostradamus.
Così, “Nostredamus” è diviso in due parti: “Nostre
Damus”; “l’enfer” è privo di apostrofo,
in maniera da formare un’unica parola: “lenfer”; “m’appelle” è diviso nelle due
parole “ma pelle” (una singolarità da rivedere più sotto); “m’honore” è privo
di apostrofo: “mhonore”; il primo “avra la” è unito in modo da formare un’unica
parola: “avrala”.
Poiché appaiono divise alcune parole che dovrebbero essere
unite e appaiono unite alcune parole che dovrebbero essere divise, possiamo
dedurre che, se c’è intento crittografico (ribadisco fino alla noia che stiamo
lavorando su un’ipotesi di autenticità, senza escludere la burla), il numero
complessivo delle parole, 30 o 29 (con e senza l’intestazione) non dovrebbe
avere alcuna specifica funzione, altrimenti sarebbe stato sufficiente alterare
solo il necessario.
Un’attenzione particolare va rivolta alle parole “ma
pelle”, che sarebbero state ugualmente due se si fosse correttamente scritto
“m’apelle”. In realtà avrebbe dovuto essere “m’appelle”, ma sulla mancanza di
una “p” ci soffermeremo in seguito. E’ evidente, dunque, che al misterioso
crittografo serviva uno spazio e gli serviva proprio in quella posizione. Forse
esso è indizio di un incolonnamento tabellare di qualche tipo o forse, ipotesi
più probabile, la sua funzione è diversa considerato che, in crittografia,
anche lo spazio può assumere un ruolo analogo a quello dei caratteri
alfabetici. La stessa idea di prendere in considerazione solo le iniziali e le
finali di ogni parola trova una delle sue ragioni proprio nell’alterazione
delle parole attraverso la manipolazione degli spazi.
In ogni caso, sarei propenso a considerare come un punto
fermo la necessità di non prescindere dall’impostazione degli spazi nello
studio della lapide: un altro paletto dopo quello dell’inversione del testo.
Può sembrare poco, ma il primo passo della crittografia è quello di trovare
degli appigli intorno ai quali lavorare.
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