Tecniche di Nostradamus

domenica 23 agosto 2015

Domus Morozzo: Particolarità del testo

L’inversione del testo della lapide sembra solo un primo passo piuttosto plausibile. Per il seguito, non è detto che sia necessario lavorare sull’intero testo. Anzi, per vari motivi legati alla tecnica crittografica, lo ritengo improbabile.
Personalmente ho fatto alcuni tentativi di decrittazione lavorando sulla successione alfabetica ottenuta dalla lettera iniziale e da quella finale di ogni parola (nel  testo invertito): in tutto 57 lettere, tenuto presente che esiste una parola formata da una sola lettera.

Sarebbe lungo e tedioso illustrare i vari tentativi, tutti infruttuosi, benché qualcuno di essi abbia presentato un esito interessante, meritevole di approfondimento. In questa generica esposizione, rivolta a chi è digiuno di crittografia, può apparire invece più utile individuare alcune caratteristiche dalle quali la soluzione finale non può prescindere.

Anzitutto, nel testo originale colpisce subito una artificiosa gestione degli spazi tra le parole, oltre che la storpiatura di alcune di esse; abitudine piuttosto ricorrente nelle quartine di Nostradamus.
Così, “Nostredamus” è diviso in due parti: “Nostre Damus”;  “l’enfer” è privo di apostrofo, in maniera da formare un’unica parola: “lenfer”; “m’appelle” è diviso nelle due parole “ma pelle” (una singolarità da rivedere più sotto); “m’honore” è privo di apostrofo: “mhonore”; il primo “avra la” è unito in modo da formare un’unica parola: “avrala”.
Poiché appaiono divise alcune parole che dovrebbero essere unite e appaiono unite alcune parole che dovrebbero essere divise, possiamo dedurre che, se c’è intento crittografico (ribadisco fino alla noia che stiamo lavorando su un’ipotesi di autenticità, senza escludere la burla), il numero complessivo delle parole, 30 o 29 (con e senza l’intestazione) non dovrebbe avere alcuna specifica funzione, altrimenti sarebbe stato sufficiente alterare solo il necessario.
Un’attenzione particolare va rivolta alle parole “ma pelle”, che sarebbero state ugualmente due se si fosse correttamente scritto “m’apelle”. In realtà avrebbe dovuto essere “m’appelle”, ma sulla mancanza di una “p” ci soffermeremo in seguito. E’ evidente, dunque, che al misterioso crittografo serviva uno spazio e gli serviva proprio in quella posizione. Forse esso è indizio di un incolonnamento tabellare di qualche tipo o forse, ipotesi più probabile, la sua funzione è diversa considerato che, in crittografia, anche lo spazio può assumere un ruolo analogo a quello dei caratteri alfabetici. La stessa idea di prendere in considerazione solo le iniziali e le finali di ogni parola trova una delle sue ragioni proprio nell’alterazione delle parole attraverso la manipolazione degli spazi.
In ogni caso, sarei propenso a considerare come un punto fermo la necessità di non prescindere dall’impostazione degli spazi nello studio della lapide: un altro paletto dopo quello dell’inversione del testo. Può sembrare poco, ma il primo passo della crittografia è quello di trovare degli appigli intorno ai quali lavorare.

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