Ricordo ancora una volta i presupposti sui quali ci stiamo
muovendo. L’epitaffio sembra essere una sorta di miniaturizzazione
dell’epistola a Enrico II, della quale riproduce alcuni enigmi, le cui
soluzioni sono indicazioni, destinate al decrittatore, per la ricostruzione
della chiave di lettura delle Centurie.
Tra questi enigmi, abbiamo probabilmente individuato la
duplicazione di quello che punta al destinatario delle Centurie (M3)
e l’indicazione del numero delle nuove quartine (289) che assegnano un ruolo di
primo piano all’edizione Du Rosne.
A beneficio di chi si fosse messo in ascolto adesso,
ricordo che soltanto quella edizione (unitamente, per certi aspetti, alla
Bonhomme) contiene “l’esatta” composizione delle frasi in latino dell’epistola
a Cesare, senza le quali la ricostruzione dell’intera chiave verrebbe
irrimediabilmente compromessa (per i crittografi: praticamente una chiave di
Vernam… in anticipo di alcuni secoli).
Di quest’ultimo aspetto tratta l’enigma dell’ultima parte
del brano in latino, quello racchiuso tra le due “I” speciali: “UGI. OPT. V.
FELICIT.”.
Come già fatto con le “I” e con le “C” dei precedenti
casi, anche adesso dobbiamo evidentemente fare qualche tipo di conteggio. Se
proviamo a sommare le “I” otteniamo un 3 (“III”), che non ci dice nulla o, se
preferite, ci dice tante di quelle cose da essere praticamente privo di ogni
valore. Se ci soffermiamo su tutti i caratteri romani, abbiamo tre “I”, una “V”
e una “L”. Ancora nulla.
Tuttavia, se ci pensiamo bene, siamo di fronte a una
particolarità: la parola “felicité” manca della “é” finale; e questo “deve”
avere uno scopo, non credete? Non può trattarsi di un’abbreviazione, perché non
avrebbe senso abbreviare una parola per una sola lettera; il punto finale ha solo
ingannevolmente lo scopo di far credere che esso abbia la stessa funzione
abbreviativa che assume dopo “opt” e dopo “v”, ma non possiamo tralasciare il
fatto che c’è un punto anche dopo “coniugi”, non certo a scopo abbreviativo.
Sembra che Nostradamus dica: ho messo i punti per
ingannarti, facendoti contemporaneamente capire che non intendevo affatto
abbreviare la parola “felicité”, così come non volevo abbreviare “coniugi”;
volevo invece farti capire che la “é” finale sarebbe stata eccessiva. Con questo,
volevo indurti a contare le lettere comprese tra le “I”.
Contiamole, dunque: sono 14. E, visto che stiamo parlando
di delimitatori costituiti da “I”, ci domandiamo se c’è un nesso con l’altra
espressione compresa pure tra le “I”, quella nell’ambito della quale abbiamo
rintracciato il “IIII”. Perché, altrimenti, ci sarebbero due brani delimitati
dalle “I”?
Le lettere del primo breve brano sono 13. Quelle del
secondo sono 14! Ci ricordano qualcosa?
Ma certo! Ci ricordano la quartina I,7 nella quale si parla
di “lettere” e di XIII congiurati che diventano XIIIJ, con l’aggiunta di un
nuovo elemento un po’ diverso dai precedenti. Vi mostro la quartina, ma non ve
la spiego, perché la spiegazione è lunga e
l’ho già data in passato; tra l’altro, ci porterebbe assai lontano dal
tema dell’epitaffio. Chi è interessato può andare a questo link.
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