Riepilogando i concetti del
post precedente, possiamo dire che il “Gral”, rappresentato da 77-11, indica il
processo di realizzazione spirituale che permette all’uomo di raggiungere la
perfezione attraverso la riconciliazione col suo aspetto divino: per intenderci,
è il Samadhi degli yogi indù, il Nirvana dei Buddisti. E’ la trasformazione
dell’adamo terrestre in Adamo celeste della quartina VIII,66 di Nostradamus
(cfr. “Nostradamus: la Cabala, i Templari, il Graal”).
Il cristiano, che cerca la
divinità al di fuori di sé, trova invece redenzione e rifugio nella trinità,
così che il suo “Gral” diventa “Graal”, con la trasformazione del 77-11 in
77-111.
E’ una spiegazione che regge
oppure vogliamo classificare come semplice coincidenza questa straordinaria
identità tra il significato del Graal e l’aspetto cabalistico della parola?
Lascio a voi giudicare. Io dico soltanto che tutto il discorso portato avanti
finora si muove con coerenza lungo il filo di quella tradizione consolidata che
tende a identificare il Graal con la pietra filosofale e con la realizzazione
del mitico uomo nuovo; con la conoscenza in grado di far riacquistare all’uomo
la consapevolezza della sua vera natura; con il ritrovamento della parola
perduta. Nulla di estemporaneo, quindi, ma un insieme di concetti che si
incastrano alla perfezione l’uno nell’altro, consentendo un ragionamento che
non è pura e semplice speculazione, ma paziente ed attenta ricostruzione di un
mosaico, secondo uno schema le cui radici affondano nella notte dei secoli.
Ricordo, a chi ha letto il mio
libro sulle “Profezie dei Papi di Malachia”, che questo è anche il concetto che
sta alla base di quelle profezie che, da accozzaglia di motti più o meno
arraffazzonati intorno a una improbabile successione di pontefici, si trasformano
in enigma ben strutturato, la cui soluzione risiede in quanto fin qui esposto.
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