Nei misteri, e soprattutto nei
misteri mistici, le cose non stanno mai come sembrano. Perciò, o si cambia
prospettiva o si finisce inevitabilmente con l’inseguire i fantasmi. E’ quello
che, dagli studi che sto facendo, è successo coi segreti di Fatima.
Attenzione! Non sto negando (e
non posso farlo sulla base degli elementi dei quali attualmente dispongo) la
veridicità dei fenomeni, ma posso già affermare che la narrazione andrebbe
rivista.
Vi faccio un esempio che con
Fatima non ha niente a che vedere, ma solo apparentemente. E’ un chiaro esempio
di manipolazione di messaggi sacri effettuata per finalità “pratiche”, che di
mistico non hanno nulla.
La trepidante attesa della fine
del mondo e del ritorno del Signore, così viva tra i primi cristiani, trova
forte espressione nella prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi. L’Apostolo,
convinto che l’evento si debba verificare durante la sua stessa esistenza in
vita, scrive:
Ecco, perciò, che cosa vi annunziamo sulla parola
del Signore: noi, i viventi, i superstiti, alla venuta del Signore, non saremo
separati dai nostri defunti. Poiché il Signore stesso, al segnale dato, alla
voce dell’Arcangelo e alla tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima
risorgeranno i morti in Cristo; poi noi, i viventi, i superstiti, assieme ad
essi saremo rapiti sulle nubi in cielo verso il Signore (1 Tess., 4,15-17).
Evidentemente, la brutalità di
questa previsione terrorizza i credenti che, se da un lato vivono in un clima
apocalittico, dall’altro non possono non essere spaventati dall’idea di ciò che
viene dato per imminente. Viene allora scritta una seconda lettera, indirizzata
agli stessi Tessalonicesi, che sembra dettata dall’esigenza di allontanare la
minaccia e riportare un po’ di tranquillità:
Ora, circa la venuta del Signore nostro Gesù
Cristo e la nostra riunione con lui… Che se non verrà prima l’apostasia, si
riveli uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, l’avversario che
s’innalza al di sopra di ogni cosa chiamata Dio e oggetto di culto, fino ad
assidersi nel Tempio di Dio, proclamandosi Dio lui stesso…” (2 Tess., 2,1 e segg.).
Questa seconda lettera, come si
vede, propone il tema del figlio della perdizione che, sotto il nome di
Anticristo, diventerà il protagonista di tutte le future profezie sugli
avvenimenti degli ultimi tempi. Purtroppo, sotto il profilo profetico, i conti
non tornano; non si capisce, infatti, come un “ambasciatore divino” si possa
permettere di stemperare una precedente profezia per dare sollievo al popolo
impaurito.
Il punto è che le due lettere,
benché attribuite a Paolo ed inserite entrambe nel Nuovo Testamento, provengono
da autori differenti; anzi, l’autore
della seconda qualifica esplicitamente la prima come falsa. Egli, infatti,
scrive:
Ora, circa la venuta del Signore nostro Gesù
Cristo e la nostra riunione con lui, vi preghiamo, o fratelli, di non lasciarvi
così presto turbare lo spirito, né allarmare da rivelazioni o da dicerie o da
lettera data per nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente
(2, Tess. 2,1 e segg.).
Tuttavia, nonostante le
apparenze contrarie, gli studiosi ritengono autentica solo la prima delle due
lettere che, dal punto di vista stilistico, teologico e per altri aspetti, è
coerente con altre attribuite senza incertezze a Paolo.
La seconda, invece, sarebbe
opera di qualcuno che, vivendo in epoca successiva, avrebbe voluto
salvaguardare l’immagine di Paolo,
attribuendo l’errata profezia ad un falsario e spostando in avanti i tempi
della fine del mondo.
Esempio eclatante di come si
costruiscono le profezie e certificato di nascita di quell’anticristo che viene
poi preso a modello da santi e veggenti di tutte le epoche. Un falso clamoroso,
che è servito per dilazionare sine die l’avveramento di una profezia, “salvando
la faccia” a S. Paolo.
Confido che vogliate convenire
sul fatto che la seconda epistola contraddice la prima, pur provenendo, almeno
ufficialmente, dallo stesso autore. Nello stesso tempo, non potete certamente negare che lo stesso
autore della seconda sostenga che una sua precedente epistola è falsa. E,
poiché di epistole ai Tessalonicesi ce ne solo solo due, delle quali è la prima
a sostenere l’imminente venuta del Signore, i conti sono presto fatti.
Il teorema
è dunque dimostrato: le cose non sempre (anzi, quasi mai) stanno come sembrano.
Però sembrano spesso chiare, finché qualcuno non ci mostra il punto debole.
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